Titolo originale | Sàidékè balái |
Anno | 2011 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Taiwan |
Durata | 150 minuti |
Regia di | Wei Te-Sheng |
Attori | Nolay Piho, Chih-Hsiang Ma, Masanobu Ando, Sabu Kawahara, Vivian Hsu, Ma Ju-Lung Landy Wen. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 24 aprile 2012
Il primo kolossal girato a Taiwan racconta la storia di una comunità aborigena.
CONSIGLIATO SÌ
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Inizi del XX secolo. Gli orgogliosi guerrieri dell'Arcobaleno difendono le loro tradizioni ancestrali dagli invasori stranieri e non, finché la Cina non cede Taiwan al Giappone. Ne segue un sanguinoso scontro di civiltà tra l'esercito di occupazione nipponico e la furia degli indomabili aborigeni.
Con il coraggio che è proprio di chi ha pochi film alle spalle (uno solo, parlando di lungometraggi) ma già vanta un clamoroso successo al botteghino (Cape n. 7), Wei Te-sheng si cimenta con un genere di cui poco o nulla conosce - il film di guerra - e lo affronta in maniera impavida, dimostrando, nonostante alcune ingenuità, di saperlo padroneggiare. Complice forse l'influenza di un produttore come John Woo, sempre più coinvolto nei meccanismi dell'industria taiwanese, Seediq Bale riprende in parte il respiro epico del maestro di Hong Kong, concentrandosi sul meticoloso studio, a metà tra antropologia e epos, di una minoranza etnica poco nota come quella degli aborigeni di Wushe, indomiti Guerrieri dell'Arcobaleno pronti a tutto per difendere la propria terra e le proprie tradizioni dall'intrusione degli invasori stranieri. Il villain è ancora una volta il Giappone, popolo del Sole come gli indigeni lo sono dell'Arcobaleno, ma lontano mille miglia per concezione della vita, della natura e del ruolo dell'uomo a contatto con essa: la civilizzazione nipponica non riesce a scalfire la natura selvaggia e libera (ma spesso inutilmente brutale) dei guerrieri animisti di Wushe, neanche dopo un ventennio di dominazione. Un'opera vibrante e intensa, quella di Wei Te-sheng, come un Apocalypto ancor più incline a svelare tutto ciò che sta ai confini del filmabile (difficilmente sostenibili le sequenze di suicidio collettivo o di infanticidio), che incontra i suoi unici, seppur assai evidenti, limiti nelle ingenuità che minano la narrazione.
Un uso abbondante ma poco curato di CGI e il ricorso eccessivo allo slow motion inficiano l'ultima parte, ma non ne cancellano la natura di affresco a tinte forti della tragedia di un popolo trascurata dai libri di storia, in cui anche star - qui totalmente private del consueto glamour - come Masanobu Ando (Battle Royale) e Vivian Hsu si mettono al servizio di una tragica epopea cosparsa di lacrime e sangue.
Un grande racconto epico cinese (per la precisione si parla di Taiwan), valori virili e grande azione. John Woo non può essere lontano. E infatti per il nuovo film di Te-Sheng Wei, che reduce dal successo di Cape n.7 (il film che ha incassato di più in Cina dopo Titanic) è ora in concorso al festival di Venezia, Woo è produttore e a sorpresa durante le interviste al regista si palesa anche lui, il re dell’action asiatico.