
Anno | 2010 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 75 minuti |
Regia di | Bruno Bigoni |
Uscita | giovedì 14 aprile 2011 |
Distribuzione | Teodora Film |
MYmonetro | 2,71 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 20 aprile 2011
Giornale di viaggio che rievoca una storia stratificatissima ed una contemporaneità imprevedibile. In Italia al Box Office Il colore del vento ha incassato 5,5 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Di che colore è il vento? Se lo potrebbe chiedere l'ultimo documentario di Bruno Bigoni, diario di persone e di viaggio su una nave mercantile che solca il Mediterraneo. Più che road movie quindi "ship movie", perché la troupe stessa si è mossa sull'imbarcazione vettore di tutta la storia.
Barcellona, Tangeri, Sousse, l'isola di Lampedusa e Bari, la "perla dell'Adriatico" Dubrovnik, il Libano di Sidone e l'attracco finale a Genova. Di solito rotte di ricche crociere ma "per il colore del vento" sono anche sentieri marini di tragedie e speranze, cadute e risalite sulle note di "Crueza de Mä" di Fabrizio De Andrè. Ogni porto è una storia fatta di persone che fa parlare il mare, i suoi figli e le sue musiche con un picco di bellezza nell'episodio di Ivana, ragazza di Dubrovnik che vuole aggiornare il suo diario di bimba coi ricordi degli adulti rispetto al conflitto serbo-croato del '91.
La nave della storia di Bigoni e dei suoi protagonisti cammina spedita, alimentata dal forte sentimento e dalla sete di conoscenza. Le acque baciano o minacciano tutti i testimoni: coloro che hanno dovuto attraversarle stipati con ventimila passeggeri come Violeta o per altri che hanno dovuto difenderle come i croati. Ammirabile quindi la soluzione poetica di far diventare il Mediterraneo un protagonista plurisimbolico, ingombrante ma discreto, presente più nel suono della risacca che nelle numerose immagini che lo ritraggono. Attraversare il mare è bello ma pericoloso: "il colore del vento" quindi si scontra su un grande scoglio narrativo, cioè l'ambizione spropositata di raccontare tante storie e culture diverse in 75 minuti. Troppa carne al fuoco per il documentario che, tranne nel caso di Dubrovnik, affronta in modo molto veloce racconti dal potenziale grandissimo e sfruttati non a dovere. Un esempio su tutti il troppo rapido affresco di Genova e le sue prostitute cantate anche da De Andrè, sottofondo non solo musicale ma anche spirituale di questo colore (troppo ambizioso) del vento.