Anno | 2010 |
Genere | Documentario |
Produzione | Paesi Bassi, Austria |
Durata | 110 minuti |
Regia di | Noël Burch, Allan Sekula |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 26 agosto 2010
Lo spazio dimenticato del nostro tempo è il mare. È lì che la globalizzazione diventa più visibile (e violenta).
CONSIGLIATO SÌ
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La catena globale dei trasporti via mare, su navi, chiatte, treni e camion, sta portando l'economia mondiale sull'orlo di un abisso. Poggiamo i piedi sulla terra, ma il sistema economico a cui obbediamo è in moto perpetuo nello spazio dimenticato dell'acqua. Qui, enormi navi trasportano unità innumerevoli di quello che è il simbolo della civiltà odierna: il container. Vista dall'alto sembra una partita a tetris, ma l'oceano non è un cyberspazio: è l'organo vitale del nostro pianeta, e noi lo stiamo annullando, non visti, colonizzandolo per cercare una soluzione al problema della "roba" che ci sommerge, della produzione da dislocare, di un mercato da copiare.
Seguito, su pellicola, di "Fish Story" di Allan Sekula, artista americano di origine polacca, The Forgotten Space impressiona per la qualità del lavoro in ogni singolo aspetto del tutto, laddove di solito il documentario chiede qualche sconto, in ragione dell'urgenza del soggetto, e lo spettatore come il critico si è abituato a concederlo senza borbottare. Qui, al contrario, tutto è scrupoloso, testardo, innegabile, perché frutto di ricerca e osservazione, mente e occhio. Lo sono le immagini, straordinarie, che si devono all'esperienza di Sekula nell'espressione fotografica; il testo, che non è commento ma vero e proprio saggio; lo stile, che ragiona sulla forza del montaggio, anche in senso autocritico (gli inserti dei film classici americani): un contributo teorico, questo, firmato inequivocabilmente da Burch.
Il risultato, nel contenuto, è un'opera aperta, una denuncia sostanziata, un'analisi lucida, più spietata di un algido noir orientale, più inquietante di un disaster-movie negli abissi. Ma la scelta espressiva non è quella di gridare allo shock, bensì di restare fedeli ad un approccio didattico, strenuamente argomentato, capace di farsi anello di una catena di ricerca più ampia, politica ed economica. Ne va un po' dell'attenzione dello spettatore, ma lo strumento è prezioso e, visivamente, lo spettacolo del reale supera la fantasia.