Il 30 novembre Woody Allen ha compiuto 90 anni: è stato un compagno di viaggio divertente, assiduo, impegnativo. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
Il 30 novembre Woody Allen ha compiuto 90 anni. Naturalmente lo conosco bene, ho visto tutti i suoi film qualcuno più volte, ma ho rivisto i suoi fondamentali e ho condiviso la programmazione che ha concluso il ricordo con Midnight in Paris (guarda la video recensione), scelta decisamente appropriata.
L’artista ebreo fa film da 54 anni, è giusto, sacrosanto, che venga celebrato. E’ stato nel tempo un compagno di viaggio divertente, assiduo, impegnativo, negli ultimi lavori è diventato dissacrante, magari cattivo. Avrà avuto le sue ragioni.
In estrema sintesi. E’ l’intellettuale che si è interrogato sul senso della vita e su una società frenetica dai valori ambigui e senza cultura. Ha risposto alle domande che ci poniamo tutti attraverso un racconto divertente, ma sapendo scherzare su argomenti come la religione, la morte, la psicologia, proponendo paradossi impossibili, che solo lui, ma sono di Woody Allen, è bene starci attenti. Certo, dopo che ti ha fatto sorridere ti chiede di pensare e ti dice: ho cercato di darti una mano, a modo mio, ma niente va preso troppo sul serio, nemmeno io.
Il suo è uno spazio immenso, ha raccontato l’umanità, tutta, e nessun artista è stato esplorato come lui. Dunque, secondo il registro al quale sono purtroppo costretto, devo selezionare, scegliere i temi. E’ lo stesso Allen che in questo caso mi soccorre, perché il suo Midnight in Paris (guarda la video recensione) è un vero e proprio catalogo dei suoi modelli e delle sue passioni. E’ come se dicesse: signori se state attenti a questo mio racconto potrete intuire almeno in parte – del tutto non ci sono riuscito neppure io - la mia vocazione e l’impegno che ho messo per trasmetterla.
Il film. È opinione comune, in realtà è più di un’opinione è un fatto, che la Parigi degli anni Venti valesse Atene del quarto secolo avanti Cristo e Firenze del Rinascimento. Arte, cultura, politica, scien¬za: si progettava un restyling delle discipline. Con una differenza, Atene e Firenze erano il posto di culture proprie, quasi esclusive, mentre Parigi era la sede dell’intelligenza e dell’incanto del mon¬do. Il protagonista di Midnighit in Paris è Gil, uno sceneggiatore che per un sortilegio alla Allen si ritrova in quella Parigi, in un ambiente di quella stagione. C’è tanta gente, si sta organizzando una festa per Jean Cocteau. Gli si fa incontro Zelda Fitzgerald, poi arriva suo marito Scott, seduto al piano c’è Cole Porter che suona "Let’s fall in love". E là in fondo, cir¬condata da un capannello di uomini, Joséphine Baker canta e balla la Conga. Gil, naturalmente è stravolto dal sogno. È dove avrebbe sognato di essere, nella stagione dell’oro del secolo. Scott gli presenta Ernest (Hemingway, naturalmente), non manca una visita a Gertrude Stein, protagonista del “salotto” che accoglieva tutte le leggende, e lì ci sono Picasso, Matisse, Belmonte il torero. Arriva altra gente, e che gente, che si integra nel gruppo. Trattasi di Thomas Eliot, Salvador Dalì, Man Ray e Luis Buñuel.
Il quello scenario dorato, sognato e impossibile, la magia del cinema, e di Allen, ha collocato in magnifico disordine molte delle fonti, delle intelligenze, delle anime che ci hanno reso più consapevoli e migliori, e anche più capaci di affrontare il dolore e magari più felici. A molti di loro dobbiamo la nostra educazione alla cultura, al sentimento, alla bellezza. Proprio come Woody.
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