Ritratto di una donna forte ed indipendente che nasconde un passato di sofferenza. Espandi ▽
In ospedale, al capezzale di sua madre, l'americana Esther Horowitz riceve una lettera con una missione: rintracciare in Israele una donna vissuta negli anni Trenta in quelle terre. Tra una peripezia e l'altra, spinta dall'urgenza di scoprire la verità si farà aiutare dal professore Zayde e scoprirà la storia del contadino vedovo Moshe e della grintosa Yehudit, che coinvolse anche il romantico sognatore Yaakov e il pratico commerciante Globerman in una sorta di "tribù" di padri protettori per il figlio.
I ruoli femminili risultano assolutamente centrali e di spessore, forti delle convincenti interpretazioni della memorabile Ana Ularu e di Mili Avital, ma convincono anche i personaggi maschili. Questo film non è un giallo, non è un thriller, non è un film storico, e non è solo un film che racconta l'esperienza degli ebrei che a inizio Novecento lasciarono l'Europa per sfuggire alle persecuzioni con il proposito di costruire una nuova società. È una storia sull'importanza delle proprie radici, sulla genitorialità e tanto altro.
Il film è una plurisfaccettata storia d'amore (a due binari, due epoche e più trascorsi emotivi), in cui l'altro è ancora di salvezza, empatia e supporto insostituibile, in una parola: casa.