Racconta Edward Wagenknecht (Fifty Great American SilentFilms; 1912-1920) che quando Desse Lasky riuscì a convincere la più famosa prima donna dell'opera lirica, Geraldine Farrar, a prodursi nella cinematografia, allora considerata ancora una pratica umiliante, egli diede ad Hollywood un prestigio che, richiamava quello ottenuto dal cinema francese quando la divina Sarah Bernhardt aveva accettato di apparire in La Reine Elisabeth, nel 1912.
Comunque, anche se non fu possibile udire la sua splendida voce, Miss Farrar costituì, sin dal suo primo film, una grande attrazione che si mantenne inalterata durante i cinque anni (1915-19) in cui dedicò le sue estati alla realizzazione dei quattordici film che costituiscono il suo tesoretto cinematografico.
Lasky fece le cose in grande, un vagone speciale per l'andirivieni con parenti e amici tra New York e Hollywood, villa con piscina e servitù a spese della produzione, un compenso di 20.000 dollari alla settimana e, ciliegina sulla torta, Cecil B. DeMille a sua disposizione come regista.
Carmen (1915), il film di debutto, seguì il testo di Merimée e non il libretto dell'opera, per evitare il personaggio di Micaela, non gradito alla Farrar. Fu un grosso successo che si riverberò anche sui film successivi. La seconda estate hollywoodiana - un'estate torrida, secondo i ricordi di Jeanie Mac Pherson, sceneggiatrice del film - passò tutta nella realizzazione di Joan the Woman. E malgrado il grande caldo la Farrar, esaltata dal ruolo e costretta nella ferrea armatura con cui la pulzella d'Orleans si batteva contro gli inglesi, ci dette dentro con tutto l'entusiasmo possibile. DeMille, che si misurava per la prima volta con il kolossal, genere destinato a diventare poi la sua specialità, diresse con molta cura e attorniò con un cast di prim'ordine la Farrar, la quale ancora una volta riscosse un tributo di apprezzamenti sia dal pubblico che dalla critica (anche se qualche recensore non mancò di far notare che la trentacinquenne protagonista appariva un tantino matura per la parte di Giovanna d'Arco).
Subito dopo segui The Woman God Forgot (1917), l'altra grossa produzione ambientata al tempo degli Aztechi: fu l'ultima volta che Geraldine lavorò con DeMille. La Paramount l'affidò a Reginald Barker, che le lasciò mano libera: dal western The Hell-Cat (1918) al montano The Turn of the Wheel (1918), dov'è una avventuriera a Montecarlo; dalla storia di bigamia di Shadows (1919) allo stravagante The Flame of the Desert (1919), dove è un'americana che si innamora di uno sceicco, anticipando di due anni l'exploit di Rodolfo Valentino. Diretta da Frank Lloyd sarà la protagonista di un film antibolscevico, The World and Its Woman (1920) e si ritirerà dall'attività cinematografica con The Woman and the Puppet (1920), prima delle numerose versioni del fortunato romanzo di Pierre Louys.
Per quanto l'intera filmografia di questa celebrata artista, idolatrata nei teatri lirici americani, seconda sola a Caruso nella popolarità, sia l'espressione di un'astuta speculazione commerciale, va però rilevato che Geraldine Farrar impegnò notevolmente il suo estro nella costante ricerca di una recitazione che non risentisse della sua origine di cantante, e il più delle volte riuscì a superare il lezioso birignao teatrale che altre cantanti, dinnanzi alla macchina da presa, non hanno saputo evitare.

Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.