Il padrino

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Epopea criminosa con risvolti da dramma moderno. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 5 giugno 2014

IL PADRINO (USA, 1972) diretto da FRANCIS FORD COPPOLA. Interpretato da MARLON BRANDO – AL PACINO – JAMES CAAN – DIANE KEATON – ROBERT DUVALL – JOHN CAZALE – TALIA SHIRE – STERLING HAYDEN – RICHARD CASTELLANO – RICHARD CONTE – AL LETTIERI § Tratto dal superlativo romanzo scritto in lingua inglese di Mario Puzo (1969), che ha collaborato alla sceneggiatura con il regista. Don Vito Corleone è un boss italoamericano che governa da due generazioni un clan mafioso che ha le mani in pasta nelle case da gioco, nella prostituzione, nella droga, nelle armi e nell’importazione dell’olio d’oliva. Ha quattro figli, diversi capiregime e un numero indefinito di persone che vengono a chiedergli favori ai quali solo lui può porre soluzione. Dopo esser stato ferito in uno scontro a fuoco dai malavitosi avversari, i capiregime affidano al terzogenito Michael di uccidere il mandante dell’attentato e un poliziotto corrotto in combutta con quest’ultimo, e poi lo fanno emigrare in Sicilia finché le acque non si calmano, e al suo ritorno il padre gli lascia in eredità il suo impero criminale e tutti gli affari di famiglia, per poi morire di vecchiaia. Michael Corleone saprà gestire, sebbene all’inizio fosse alquanto riluttante, il mondo di malvivenza e criminalità preso in adozione con maestria, metodo e abnegazione, vendicando la morte del fratello Santino e sterminando tutti i nemici della cricca durante il battesimo del suo primo figlio. Sarà incoronato lui come nuovo padrino della Famiglia Corleone. Questo film che ebbe ovunque un successo consistente e notevole, e che spezzò in due la critica che lo lesse principalmente come un panegirico della morale criminale e dell’epoca gangsteristica per antonomasia, raffigura un sistema famigliare e di clan con un retrogusto malinconico per quei legami che animavano l’America dell’immediato dopoguerra, eppure possiede anche una fertile e plumbea ambiguità, dettata specialmente dal parallelismo mafia-politica che nel seguito (Il padrino – Parte II) diverrà uguaglianza e da un’epopea e una logica del crimine che fa capo ad una struttura patriarcale di stampo italico più che statunitense. Il libro di Puzo (nato nel 1920) è adattato con sufficiente fedeltà, con qualche taglio che ha rimosso dalla rappresentazione su grande schermo i passaggi meno cruenti e più contemplativi e descrittivi, cosicché ne sia uscita una sceneggiatura che ha omesso dai dialoghi il termine "mafia" ed è stata attenta e precisa nella magistrale ricostruzione dei rapporti che imperversano fra la violenza fisica e l’omertà delinquenziale. Ottimo il disegno dei personaggi, che costituiscono un punto di forza non indifferente di questo film potente, accattivante e impressionante: Vito Corleone è impersonato da un M. Brando (premiato con l’Oscar al migliore attore) invecchiato di 20-25 anni con cotone fra i capelli e una mandibola artificiale in bocca per allargargli le mascelle, capace di misurati e tranquilli eloqui caratterizzati da una glaciale pacatezza e da una tenebrosa severità come di influssi collerici che ne mettono in evidenza la grande abilità recitativa; c’è il rabbioso, premuroso e violento Sonny di J. Caan; il rispettoso, ingenuo e poco intelligente Fredo di J. Cazale; l’energica, fedele e sardonica Costanza di T. Shire, nipote del regista; il proteiforme, mutevole e successivamente anche spietato Mike di A. Pacino; l’ignara, corretta e ineluttabile Kay di D. Keaton; il viscido, meschino e agghiacciante Sollozzo di S. Hayden (già protagonista, sedici anni prima, di Rapina a mano armata di Stanley Kubrick). Coppola dirige il film con sapiente bravura dimostrando di conoscere ciò di cui parla pur senza condividere le ragioni che espone con eccellente correttezza e onestà intellettuale: il suo è uno sguardo più distaccato che affascinato. Forte del successo, Coppola ebbe mano libera nel gettare in un caleidoscopio di ambizioni il suo intento di trasformare un gangster movie in una tragedia moderna, un’elevata metafora sul nuovo continente dopo la fine del sogno americano. Fotografia di Gordon Willis e musiche di Nino Rota, celeberrime e riproposte in altre occasioni, d’una lentezza sublime che sottolinea la cupezza che permea l’opera da capo a fondo, esplodendo con forza nelle scene clou. Due Academy Award anche al film e al copione. 

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