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Quando vedo un film di Moretti esco sempro dalla sala con la sensazione di aver visto un film su Moretti. Notazione ovvia, ogni regista mette in scena parti di sé nelle sue opere. Ma nel caso di Moretti questa impressione è particolarmente vivida, come se l'autore rappresentasse i suoi fantasmi e le sue idiosincrasie senza particolari mediazioni. Anche in Habemus papam, la storia narrata con mano leggera, che mescola un registro ironico con uno sguardo benevolo sui limiti umani, appare più come un manifesto delle inquietudini dell'autore piuttosto che un apologo sulla secolarizzazione della Chiesa.
La vicenda del cardinale di Parigi che viene designato Papa e non riesce a sopportare il peso dell'investitura potrebbe aprire un dibattito teologico delle implicazioni profonde: infatti, se si assume che il conclave sceglie il papa assecondando il disegno divino, una designazione errata rappresenterebbe la prova della fallibilità della Chiesa.
Ma non è questo il fulcro del film, come non lo è il rapporto tra lo psicoanalista con il papa e con il collegio dei cardinali, anche se ho trovato divertenti e irresistibili diverse sequenze. Il perno del film è una riflessione sul rapporto tra l'impegno, la vocazione e il piacere della vita, il rapporto tra essere e dover essere, la relazione tra le aspirazioni e gli obblighi, tra le tensioni desideranti e il ruolo assegnato.
Seguendo questa chiave di lettura, Habemus papam mi è parso un ottimo film, un lavoro che non drammatizza la vicenda trattata e narra la fragilità umana con uno sguardo divertito e autoironico, peculiare di un regista che ha raggiunto una compiuta maturità artistica.
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recensioni di critica, pubblico e dizionari.
