31 milioni di euro di incasso in due settimane, obiettivo dei 40 milioni a portata di mano, concorrenza sbaragliata (ma Albanese sta andando forte), polverizzazione del record di introiti di La vita è bella di Benigni, sale ultragremite. Questo è l’ultimo film di Zalone in “soldoni”: numeri da capogiro, considerate le difficoltà in cui versa il settore dello spettacolo e l’esaurimento del favore natalizio. Si discuterà a lungo dei motivi di questo inatteso successo, che ha positivamente impressionato anche i (pochi) critici che se ne sono occupati.
Il film non merita una profonda disamina. Certamente è un film onesto, che rifugge dalla trivialità come strumento per suscitare la facile risata, è pulito, si avvale di una maschera fresca e goffamente simpatica come quella di Zalone, peraltro già sperimentata sia in TV sia nella prima prova cinematografica ben accolta dal pubblico. Ma la carne che gli autori hanno gettato sul fuoco è eccessiva (amore, amicizia, lavoro precario, Vaticano, terrorismo, Nord, Sud e chi più ne ha più ne metta). La storia si dipana tra Milano e la Puglia per poi terminare a Roma, secondo lo stereotipo, francamente abusato oltre ogni misura, dell’ingenuo sempliciotto e un po’ cialtrone, che si muove tra corrotti, opportunisti, furbacchioni, raccomandati, ed alla fine ne esce in qualche modo vincente perché i suoi vizi sono inferiori a quelli di chi gli sta intorno. Siamo alle solite, cioè all’ennesimo tentativo di riportare in vita la vecchia, gloriosa commedia all’italiana, che peraltro si avvaleva di autori e attori di tutt’altra levatura, senza scostarsi più di tanto da uno schema ormai obsoleto e masochistico incentrato sui vizi, la mediocrità e qualche spruzzata di virtù dell’italiano medio. Copione, situazioni e dialoghi non lasciano il segno, salvo alcune gags divertenti (il bacio dell’anello, l’indigestione di cozze e poco altro). La regia è piatta ed alcune scene fuori misura (irritante è la lungaggine del balletto dell’interruttore). Gli unici punti di forza sono l’esperienza di Papaleo, i guizzi di Caparezza e la buona prova dell’emergente Michele Alhaique nella parte del segretario del cardinale, personaggi di contorno ma capaci di dare un valore aggiunto alla storiella. Piuttosto debole la parte che si svolge a Milano, più gradevole quella girata nel paesino pugliese, dove Zalone e Papaleo offrono il meglio di se stessi.
Il successo del film si inquadra in un risveglio del cinema italiano comico-brillante, che sta monopolizzando le sale (e l’ondata sembra tutt’altro che finita) , domina le classifiche dei biglietti venduti, miete consensi. Per una volta la valanga americana ha ceduto il passo ai prodotti nazionali. Nell’ambito di tale fenomeno, a tinte fortemente “meridionali” e nazional-popolari, emerge il cine-orecchiette in salsa pugliese, già portato recentemente all’attenzione del pubblico da Papaleo con il gradevolissimo Basilicata coast to coast. L’affermazione di Benvenuti al Sud, girato in Campania, è un altro segmento di questa tendenza che sembra al momento inarrestabile. E se in questo impetuoso flusso si inserisce un giovale pelato, un po’ goffo e dalla parlata sgangherata, che evidentemente si presta alla generale richiesta di ilarità, non c’è da stupirsi se scatta il consenso a tutto campo, il transfert di identificazione, la mitizzazione del salvatore delle domeniche grigie e noiose. I portafogli dei produttori sono gonfi, il botteghino fa gli straordinari, la gente ride e l’Italia (del cinema) va. Non resta che prenderne atto.
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