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La stupidità può essere salvifica: un piatto di cozze crude o un’allegra rozzezza possono raggiungere mete insperate. Il film di Gennaro Nunziante interamente costruito su Checco Zalone si fonda su di un paradosso non originale nella storia del cinema: un protagonista muove inconsapevolmente gli eventi e si accontenta di non spingersi al di là del proprio naso. Il pregio di “Che bella giornata” consiste nel non pretendere di essere più di ciò che è –un tipo di intrattenimento che non mantiene tutte le sue promesse- ma al tempo stesso il limite si concretizza nel non muoversi al di fuori dell’assunto iniziale: creare lo spunto di uno sketch senza che ciò comporti aperture verso un modo –uno qualsiasi- di creare lo spessore della storia. Il ritmo e l’impostazione delle inquadrature presentano una forza centripeta che riconduce ogni elemento della narrazione alla battuta o allo sberleffo del personaggio principale. Nel momento in cui il film non muove un passo che non sia guidato da questa bussola, viene a mancare l’elemento cruciale di ogni commedia: la leggerezza, il senso di gioco, la libertà di guardare da prospettive diverse. I comprimari non deludono, come mostra l’arguta interpretazione di Tullio Solenghi e Ivano Marescotti, ma il risultato è un film chiuso in se stesso in cui il dinamismo della vicenda finisce con l’avvitarsi su se stesso.
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