Vengeance

Un film di B.J. Novak. Con Isabella Amara, Nathaniel Augustson, Grayson Berry, Dove Cameron.
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Commedia, durata 94 min. - USA 2022. - Universal Pictures uscita giovedì 8 settembre 2022. MYMONETRO Vengeance * * * - - valutazione media: 3,09 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Vengeance o "Fair is evil, foul is good" Valutazione 3 stelle su cinque

di Alessandro Spata


Feedback: 1173 | altri commenti e recensioni di Alessandro Spata
domenica 20 novembre 2022

Attenzione! Contiene spoiler
Mi limiterò ancora una volta a proporre qualche riflessione stimolata dalla visione del film che non ho trovato poi così brutto proprio perché ha il pregio di far riflettere al di là della bontà dell’opera in sé (ed è questo che ne fa un buon film, a prescindere direbbe Totò, per quanto mi riguarda). Allora, ciò che ho visto molto semplicemente: Un percorso di “redenzione” a suo modo quello del protagonista cha da personaggio farsesco,accecato dall’ ambizione, si fa tragico nella scoperta inattesa riguardo al peso delle proprie debolezze. Un’illuminazione che lo porterà a maturare una sorta di ripugnanza persino verso le proprie azioni passate.
Strana “redenzione” quella che lo porta al quel gesto estremo, catartico, forse, nella parte finale del film. Ma poi perché liberatorio quel gesto? Da che cosa pretenderebbe di liberarsi “Manalowitz-Novak?”.
In effetti, qui sembra che il tema principale del film ruoti semplicemente intorno alla crescita simbolica del protagonista che si emancipa dall’imbarazzante classismo da “fighetto democratico hollywoodiano” che crede di “avere sempre la verità in tasca”, per finire poi lentamente con l’empatizzare (in parte) con gli “zotici texani” che non sono evidentemente tutti “retrogradi, analfabeti che mangiano sugna e pane di mais tre volte al giorno”. Sebbene alla fine vista anche l’evoluzione inaspettata dei fatti, Ben sia costretto quasi a ricredersi e non risparmi comunque critiche feroci ai suoi interlocutori “buzzurri” (quasi volesse immergersi lui e i suoi texani di turno in un sano bagno di realtà) Come a voler ribadire forse che lo stereotipo qualche dose di “verità” pur sempre la contiene, disgraziatamente. Ma la questione è molto più complessa e sfaccettata e Novak seppure con qualche afflato retorico di troppo e con un certo eccesso verboso a tratti (ma dipende sempre dai punti di vista) sembra esserne consapevole proprio in virtù anche, forse, di quel gesto estremo (dalla valenza molto simbolica) che compie alla fine del film.
Ed è proprio la scena finale della morte del “discografico-intellettuale” che è realmente emblematica, secondo me, di tutto il racconto.
In quel momento l’impressione è che Ben, come folgorato sulla via di Damasco, acquisisca coscienza di sé e delle proprie responsabilità verso gli “altri”. Nell’Altro che gli sta di fronte che sproloquia di “registrazioni e dischi della vita assortiti e di persone considerate unicamente alla stregua di semplici astrazioni e mai come persone reali in carne e sangue”, si rispecchia un uomo ripiegato ossessivamente su se stesso, un’Io che non vede al di là del proprio perimetro.
La discussione con Quinten Sellers ha avuto l’effetto di un’epifania, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso della sua prosopopea. Tanto è sconvolto che alla fine si sente obbligato comunque a vedere l’Altro non poi così diverso da sé e sotto diversi aspetti. E questo alla fin fine che lo atterrisce e lo disgusta. Il discografico-filosofo col suo sguardo sorta di specchio nel quale Ben si riflette, lo smentisce e lo disarma. Anzi, meglio sarebbe dire, lo “arma” visto che impugnata una pistola gliela scaricherà addosso con discreta freddezza.
Deve essergli passata tutta la vita davanti al povero Ben. Una vita che adesso percepisce improvvisamente come mai pienamente corrispondente a sé, sempre instabile e sfuggente, sempre ambigua priva di un’essenza determinata. E si sarà sentito anche più in colpa dato che quel linguaggio così aulico, ma sostanzialmente manipolatorio, di Quinten lo aveva persino affascinato, soggiogato quasi. In sostanza, sviluppa inaspettatamente la certezza di non riuscire più ad impersonare un’identità culturale davvero esemplare e di non essere poi così certo della sua autorevolezza, del suo valore e della sua serietà e saggezza. L’imprevisto e provvido insight, lo fa sentire un’ipocrita perbenista che con il suo lavoro diventa complice della tossicità di questo mondo. I suoi post in fondo, sebbene pubblicati su “The New Yorker”, rivista famosa per il suo sistema di intransigente verifica delle notizie e la raffinatezza editoriale, adesso gli sembra che contribuiscano soltanto ad avvelenare una cultura in cui l’Io brutalmente travalica tante volte i suoi limiti con un’arroganza infinita beffandosi colpevolmente della vita delle persone reali trattate alla stregua di mere “registrazioni”, o di semplici fantasie che fatalmente si trasformano poi in preconcetti e pregiudizi.
Un percorso questo che comincia a maturare già prima della morte del discografico.
Allora, se è vero che l’«inferno sono gli Altri», come direbbe Sartre, è altrettanto certo adesso per Ben che gli Altri non sono soltanto gli “zotici texani”. E non è che liberandosi del discografico-filosofo improvvisamente tornerà ad essere padrone di se stesso.
Senza voler fare dei “rozzi texani” il capro espiatorio di quest’inferno, tuttavia emerge questa situazione paradossale: da una parte Ben si deve confrontare con una (in)cultura in cui con un fervore spesso caotico si espande ad esempio il complesso fenomeno del “negazionismo biologico”. Fenomeno questo rafforzato da elementi filosofici ed esoterici. Un frullato di misticismo e “medicina praticona”, che si tinge poi sfacciatamente di opportunismo politico e liberismo radicale”. Una “cultura” dove abbondano le superstizioni, i pregiudizi antiscientifici, le teorie mai sperimentate e le speculazioni complottiste. Dove l’irrazionale ha ormai penetrato in profondità il tessuto sociale in cui emergono quelli che puntualmente “non credono ai loro occhi”, mai, e si ergono ingenuamente a “costruttivisti radicali”, ma senza aver compreso il senso “radicale” del Costruttivismo.
Dall’altra la sua cultura di appartenenza quella che ha sempre considerato corretta (politicamente se non altro) e molto “cool”, ma che favorisce anche le diseguaglianze create dal mercato globale, che tace di fronte allo sfruttamento di intere popolazioni, che distrugge senza pietà l’ecosistema del pianeta, che rivela di non saper credere nell’idea di uno sviluppo sostenibile. Che mette a rischio la democrazia stessa con l’utilizzo irresponsabile dei mezzi di comunicazione e non solo di quelli online. Dunque, Ben entra in stallo. - Muri dappertutto si ergono intorno a lui. E allora, se "l'enfer, c'est les autres", chi sono veramente gli altri?
Allora, a chi o cosa si può credere? O meglio, “come faccio a valutare correttamente una situazione, se quella è filtrata inesorabilmente dalla gran cassa dei media?(Oltre che dalla mia mente?) Se è vero che ciò che vedo è sempre un’immagine soggettiva del mondo, o un’immagine che gli altri mi rimandano e non la realtà “oggettiva”, come posso riuscire a capire qual è l’atteggiamento e il modo di pensare adeguati in questo frangente? Nonostante tutto questo bailamme in cui si contorce, all’improvviso tutto è più chiaro a Ben. E così fa una scelta. Ben non trova di meglio che uccidere. E così facendo uccide idealmente se stesso? La sua azione omicida diventa idealmente un’abiura della sua stessa cultura di cui andava tanto fiero?
 O forse vuole più semplicemente rimarcare che tutto sommato non è propriamente vero che “tutti siamo colpevoli allo stesso modo”. Ci sono pur sempre diversi gradi di responsabilità. Certo è inutile negare che nella società civile avanzata quella del politicamente corretto e del sostegno ai diritti civili di cui Ben si considera tra i massimi esponenti persistono pur sempre - interessi diversi e contrastanti, se non effettivamente discriminatori che sono legati alla proprietà, all’educazione, al lavoro, al genere, all’etnia -. Tutto giusto, tutto vero, ma il discografico Sellers-Kutcher “merita” pur sempre di morire o no?
Con questo omicidio Ben intende per paradosso evitare di ricadere nello stesso abisso contemplativo del discografico che non vede colpevoli perché tutti sono colpevoli? E così facendo si propone come giustiziere novello Charles Bronson che libera la società civile dai cattivoni di turno? O finisce per fomentarlo ancora di più questo abisso, semmai? E mentre sta lì ad ascoltare Quinten si sarà ricordato anche di Crawl (Clint Obenchain) che mette insieme tutto e il suo contrario e ripete che se è vero che uno è colpevole, lo è “solo in parte… perché è molto più complicato di così: c’è il deepstate in combutta con spacciatori di pillole, cartelli, pedofili, la legge e sappi che ne fai parte anche tu” Ben. E tutto sommato Ben somiglia anche un po’ a Crawl: in fondo anche lui è particolarmente “bravo a tracciare connessioni tematiche tra elementi apparentemente disparati e ad usarli per illustrare un fatto o una teoria più ampia”. Sempre di associazioni strampalate si tratta, forse. E allora perché stupirsi se la globalizzazione, il libero mercato, la cancellazione dei generi, l’immigrazione, i vaccini finiscono tutti in un immenso calderone e diventano così -gli agenti della modernità che mirano a sopprimere le diversità? -.
E poi Ben non ha anche lui “sfruttato una famiglia in lutto”, dopo tutto? E Abilene non potrebbe in fondo “essersi drogata perché soffriva e soffriva perché qualcuno a malapena ricordava il suo nome?” Qui - tutto è simbolo - persone comprese. Ma il simbolo qui viene preso come pretesto a supporto dell’idea che non c’è alcuna verità o che la verità è tutta disgregata in una miriade di opinioni soggettive, le quali, proprio in quanto relative, finiscono per essere considerate comunque valide ed equivalenti in un tripudio di relativismo gnoseologico. 
Non so se è chiaro ma Ben uccidendo Quinten sta sostanzialmente utilizzando la sua stessa perversa logica quella che rivendica - la libertà di fare quello che ci pare -. Perché se non è più in gioco la realtà “oggettiva” (ontologica, direbbero quelli bravi) del “non uccidere”, allora in ballo rimane soltanto la - libertà di scelta personale e l'etica della responsabilità individuale - che certuni rivendicano con tanto ardore: nel senso che se alla fine la “realtà oggettiva” mai è conosciuta “in-sé”, ma ciascuno di noi ha pur sempre il suo modo peculiare di sperimentarla, allora finiamo comunque per operare una scelta fino all’estremo di scegliere tra credere o no alla stessa concreta esistenza della realtà, persino. Quindi, anche la massima “non uccidere” può essere declinata secondo il nostro modo caratteristico di “esser-ci” e pensare in questo mondo. Al punto che l’opzione uccidere e non uccidere assumono la stessa valenza. Quello che resta è soltanto la responsabilità che ci prendiamo di fronte alle conseguenze della nostra scelta. E così Ben sceglie di uccidere. E qui non è in gioco la moralità dell’azione in sé, ma soltanto la sua interpretazione della giustizia, la sua percezione tutta soggettiva del bene e del male, del senso della vita e della morte. E allora tutto diventa lecito improvvisamente.
Quinten Sellers, come le streghe di Macbeth, ma senza filastrocche, è uno capace di manipolare grazie al sapiente uso delle parole, un po’ come Ben in fondo. Anche Ben “è bravo nel fare le domande giuste, è bravo nel far parlare le persone”, ma questo fa di lui un manipolatore tout court?Tuttavia, le parole di Quentin quasi naturalmente suonano spesso subdole e seducenti soprattutto quando suggeriscono che le cose non sono esattamente come appaiono e con tono davvero Shakespeariano sembra voler insinuare che  “fair is evil, foul is good” (il giusto è malvagio, il malvagio è giusto) non c’è differenza alcuna, insomma. Le sue parole trovano terreno fertile nella mente già confusa di Ben, adesso incerto più che mai, costretto com’è a dibattersi tra il concetto di rettitudine e quello di corruzione.
Uccidendo Quinten, Ben, una sorta di Macbeth all’incontrario, sta uccidendo la “veglia della coscienza”.Una coscienza che non dorme mai, che è sempre online quella che favorisce il mainstreaming di qualsiasi cosa e l'eterno cicaleccio delle chat (i post monologati, ampollosi soliloqui dove si ci si scambiano infamie inaudite spesso) Qui vige la lusinga dell'ego dove pullulano orde di consumatori allucinati, come in preda a droghe psichedeliche, che non si spengono mai, non vanno mai in pausa per paura di smarrirsi forse nella loro realtà squallida e meschina. O come direbbe Ben “vi Inventate delle folli storie del cazzo per poter spiegare perché le vostre vite facciano schifo perché la verità è troppo spaventosa per essere affrontata….”
Eliminare il discografico ha il significato simbolico di staccare seppure per un momento la spina; si invoca idealmente un benefico senso di abbandono, il sano sonno ristoratore che implica fiducia, rilassamento e distacco da certa miscela e non solo mediatica di certo orrore e perversione morale.
Ben è davvero un eroe di tipo shakespeariano che invece di porre fine alla propria esistenza, suicidandosi  per il disonore, si scaglia contro il suo nemico per ribadire l’indipendenza della propria volontà. Non più il suicidio pratica l’eroe tragico moderno, ma l’omicidio come estrema forma di controllo su se stesso e sulle proprie scelte o almeno così si illude Ben. Potrà sembrare un’azione ingenua e irrazionale quella che pretende di eliminare un Altro per non cadere vittima delle sue farneticazioni. Un gesto estremo, ma coerente tutto sommato che vorrebbe dimostrare (a se stesso più che altro) di essere ancora libero nonostante ciò che gli viene imposto dall’esterno. Auguriamo a Ben di poter ritrovare un sonno tranquillo e di non fare la fine che toccò a Macbeth, che invece non riuscirà più a dormire dopo l’assassinio del re.
Quinten e Ben appaiono come due figure speculari, ma mai completamente equivalenti. E non solo perché presupponiamo che non possano essere considerati responsabili allo stesso modo dei guai di questo mondo e tantomeno comunque è equiparabile la loro responsabilità nella morte di Abilene, ma anche perché ci sono alcune differenze sostanziali tra i due personaggi tragici. Ben prova ad avvedersi, si sforza adesso di meditare sulle conseguenze delle proprie azioni e a tratti sembra voler abdicare persino anche a costo di rinunciare alle proprie ambizioni narcisistiche di successo mediatico che tra l’altro, stanno mettendo a dura prova la sua morale e compromettendo il suo equilibrio esistenziale, persino. Quinten è totalmente incosciente, cinico, implacabile, deciso e determinato ad arrivare fino alle estreme conseguenze della sua contorta idea di mondo e non intende per nessun motivo rinunciare a questa sua attitudine inesorabile e irresistibile che gli permette di esercitare potere sulle persone oltre che di arricchirsi sulla loro pelle. Uno muore assassinato l’altro forse dovrà convivere per sempre con i propri sensi di colpa e col proprio pervasivo senso di inadeguatezza. Non deve essere facile per Ben borioso com’è (stato) potremmo dire, perfino beffardo nel celare una pochezza d’animo dietro i byte di una rivista blasonata online, convivere con l’idea di non essere poi così tanto Cool. Non uno che «Think Different» ma che al contrario si è semplicemente venduto ad un sistema di massificazione digitale. Effettivamente vista in questo modo la “Coolness” fa tutto un altro effetto.
Su un aspetto si può concordare col discografico quando sentenzia che “Tutti quanti hanno un’idea. E ciascuno farà della propria versione la sua causa. E l’altra parte sosterrà la tesi contraria solo per schierarsi dalla parte opposta…”. Qui Novak dimostra di aver studiato. Perché vista in questo modo si potrebbe ammettere che l’opposizione ad esempio alla realtà di un’emergenza sanitaria sia soltanto l’ennesimo pretesto per dare sfogo ad una “reazione particolaristica”: il sorgere cioè a volte persino violento di una spinta opposta, oserei dire “naturale”, verso la separazione. Un impulso alla separazione che alcuni sentono più di altri indubbiamente attraverso il quale l’individuo può ancora – sentire di esistere - o meglio può continuare ad aver consapevolezza della sua - presenza nel mondo -.
La conseguenza più immediata e rovinosa di tale assunto è che unico scopo diventa alla fine non tanto l'affermazione di un principio o la difesa delle proprie ragioni, ma la “contrapposizione” stessa.
E tuttavia Ben in uno scatto di coscienza o risvegliatosi dalla trance di questi pensieri ipnotici, realizza che non si può mettere dopotutto sullo stesso piano uno che scrive dei post su una rivista come il The New Yorker e uno che lascia morire di overdose una ragazza senza chiamare i soccorsi e si trincera dietro pseudo argomentazioni di tipo filosofico e sociologico e psicologico e persino antropologico per giustificare tale efferatezza. Il discografico Sellers-Kutcher è il simbolo di una pretesa ormai abbastanza generalizzata che attribuisce un senso universalistico alla libertà intesa come un’anarchia solipsistica in nome della quale si pretende di ricavare diritti inalienabili. Filosofo pedante dal pensiero anarcoide questo soltanto è Quinten Sellers il cui elevato pensiero, il nobile intelletto, si risolve nell’abisso della “depravazione contemplativa” che lo induce contemporaneamente a spacciare ossicodone e a lasciare morire le persone tanto è pur sempre di “astrazioni” che stiamo parlando, mai di persone reali. E non te la puoi cavare così. La “verità” è che le persone come te “non sono persone serie e forse è arrivato il momento in cui siete voi a dover prendere sul serio noi”. Qui effettivamente pare che stiamo parlando del paradosso di due mondi che appaiono separati all’interno dello stesso territorio ognuno che sembra rispondere alla propria forza di gravitàe a differenti leggi fisiche, logiche e biologiche  persino e con niente che li colleghi. Nemmeno fossimo in un film distopico di fantascienza tipo “Upside Down”.
E così Ben alla fine uccide per sanare questa intollerabile ambiguità in cui si dibatte. E non troverà niente di meglio che “vendicare” la povera Abilene (lui che non riusciva proprio a vendicare i morti) e così facendo forse col suo solito slancio ideale un po’ ipocrita da democratico di alto bordo o da radical chic, qualcuno direbbe, si trasforma in un assassino anche lui, illudendosi di risarcire le tante persone “qualsiasi” che ogni giorno muoiono di indifferenza, malattia, fame, guerra, overdose. Ma eliminare un simbolo corrisponde a compiere un atto di giustizia? Come se vendicare una persona equivalesse di per sé a chiarire la “generalizzata forza sociale” che fa da sfondo alla morte ingiustificata e all’ingiustizia collettiva.Insomma il Quinten e Ben sembrerebbero diventare le due facce di una stessa medaglia il cui presupposto è che non esiste la realtà in sé ma soltanto l’interpretazione, più o meno emotiva, che ne facciamo in base alle nostre idee preconfezionate o maturate da lì a poco, eventualmente.Forse è giunto davvero il momento di smettere di “seguire il cuore…” e di provare a seguire il cervello “perché quando si segue il cuore la terra diventa piatta e nei vaccini ci sono i microchip” che mutano il nostro codice genetico persino e “il cambiamento climatico è una finzione e gli spacciatori messicani uccidono tua sorella” e - i migranti stanno operando la sostituzione etnica -. E “la pandemia finisce per non essere più una realtà, ma soltanto il risultato di una – raffinata e calcolata impostazione delle osservazioni sperimentali - il frutto di un’interpretazione arbitraria dei dati a disposizione”
In effetti, non sappiamo quanto questa “implosione”, continuerà a esercitare un influsso sulle azioni e pensieri di Ben. Perché il legame con Quinten non è destinato verosimilmente a scindersi nemmeno dopo la morte di quest’ultimo. Invece tra i due “si è creato un legame…al cento per cento”. E per il semplice motivo che permangono nella realtà tutti quei presupposti che hanno fatto di loro una coppia tutto sommato simmetrica, seppure i suoi membri mai possano considerarsi esattamente equiparabili. Ormai il tarlo del dubbio è stato inoculato nella mente di Ben. Come lo risolverà? Sempre in bilico tra la realtà della vita concreta e la virtualità del world wide web. Riuscirà alla fine il nostro eroe vendicativo a sopravvivere ai propri fantasmi?
Avrei terminato il film con due massime:- Distinguere ciò che si conosce da ciò che si crede – sempre (Sant’Agostino). E “Siate per voi stessi ciò che tutti voi siete in voi stessi: siate razionali”, direbbe Hegel.
Da proiettare nelle scuole.

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