kronos
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sabato 4 gennaio 2020
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algido e schematico
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Garrone ha sempre offerto il "meglio" di sè nel dramma iperrealistico, ovvero quel genere di film in cui senza prendersi troppi rischi si può portare a casa un David di Donatello e il plauso incondizionato della critica Radical-Chic sinistrorsa. Specialmente se noia e povertà regnano incondizionate dall'inizio ai titoli di coda.
Gli va riconosciuto, tuttavia, il coraggio di tentare di tanto in tanto la strada del genere fantastico: lui almeno ci prova ;-)
Peccato però che il fantasy richieda doti che non gli appartengono: creatività, enpatia coi personaggi, gusto musicale, spirito dadaistico e, perchè no, un pizzico di goliardia.
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Garrone ha sempre offerto il "meglio" di sè nel dramma iperrealistico, ovvero quel genere di film in cui senza prendersi troppi rischi si può portare a casa un David di Donatello e il plauso incondizionato della critica Radical-Chic sinistrorsa. Specialmente se noia e povertà regnano incondizionate dall'inizio ai titoli di coda.
Gli va riconosciuto, tuttavia, il coraggio di tentare di tanto in tanto la strada del genere fantastico: lui almeno ci prova ;-)
Peccato però che il fantasy richieda doti che non gli appartengono: creatività, enpatia coi personaggi, gusto musicale, spirito dadaistico e, perchè no, un pizzico di goliardia.
Niente di tutto ciò.
E così, dopo il "racconto dei racconti" ecco un altro tentativo sbilenco, fortunatamente premiato dal box office natalizio (periodo in cui si va al cinema a prescindere).
Anche stavolta pare che tutti gli sforzi registici si siano concentrati sull'apparato visivo e scenografico: squallido e poveristico come piace a Garrone, peraltro in linea con la fiaba, ma al contempo assai ricercato ed appropriato. Ma l'impianto narrativo risulta di uno schematismo disarmante, dilettantesco, riducendo il tutto a un insieme di quadri scollegati, algidi. Quel tocco musicale e surreale che i veri maestri sfruttano per creare magia, calore, atmosfera è totalmente assente nel cineasta romano.
E gli interpreti?
Tutto sommato il phisique du role ci sarebbe, non appaiono malvagie le scelte di casting, ma la direzione e la recitazione in presa diretta lasciano a desiderare, contribuendo a quella fastidiosa sensazione di legnosità narrativa che pervade tutto il film.
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viver93
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venerdì 27 dicembre 2019
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pinocchio ai tempi degli adattamenti netflix
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Da piccolo ricordo che papà mi svegliava prima di andare a scuola e vedevamo su qualche canale disperso della Rai il pinocchio di Comencini. Quel piccolo rituale mi ha fatto innamorare della figura di Pinocchio per gli insegnamenti di vita e per l'avventura meravigliosa del burattino che voleva diventare un bambino vero. Lo stesso Pinocchio di Benigni, fresco di premio Oscar, era stato un piccolo capolavoro a suo modo (sebene impallidisse rispetto alla prima versione) e non riesco a spiegarmi come sia possibile che lo stesso Benigni abbia accettato di prendere parte a questa farsa. La poetica e i valori nascosti tra le righe di questa storia sono stati presi a martellate da una regia sbrigativa, una sceneggiatura che schiaccia attori importanti in poche battute che non lasciano al personaggio la possibilità di presentarsi al pubblico e di far venire fuori le proprie peculiarità.
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Da piccolo ricordo che papà mi svegliava prima di andare a scuola e vedevamo su qualche canale disperso della Rai il pinocchio di Comencini. Quel piccolo rituale mi ha fatto innamorare della figura di Pinocchio per gli insegnamenti di vita e per l'avventura meravigliosa del burattino che voleva diventare un bambino vero. Lo stesso Pinocchio di Benigni, fresco di premio Oscar, era stato un piccolo capolavoro a suo modo (sebene impallidisse rispetto alla prima versione) e non riesco a spiegarmi come sia possibile che lo stesso Benigni abbia accettato di prendere parte a questa farsa. La poetica e i valori nascosti tra le righe di questa storia sono stati presi a martellate da una regia sbrigativa, una sceneggiatura che schiaccia attori importanti in poche battute che non lasciano al personaggio la possibilità di presentarsi al pubblico e di far venire fuori le proprie peculiarità. Insomma un Pinocchio ai tempi degli adattamenti Netflix con buona pace della caratterizzazione dei personaggi. Secondo il regista (e a quanto pare anche secondo la critica) il pubblico non ha più il tempo di avvicinarsi ai personaggi che non hanno bisogno di presentazione e di un inserimento all'interno della storia, vengono sparati come proiettili e volano via prima ancora di aver lasciato qualcosa allo spettatore. Un chiaro esempio di ciò è il mangiafuoco di Proietti che rappresenta evidentemente un potenziale enorme inespresso.
Tutto ciò senza considerare la vena quasi parodistica che stizzisce e non diverte. Ne è un chiaro esempio la figura del grillo parlante che viene ripetutamente umiliato con gaggine da cinepanettoni (cadute rovinose dalle scale e scivoloni maldestri, insomma cose mai viste!), al posto di fungere da voce della ragione litiga con pinocchio come fosse più immaturo del burattino stesso, con scene che hanno la presunzione di voler far ridere ma lasciano semplicemente perplessi per il vilipendio che è stato fatto a un personaggio cruciale della favola. Il grillo è solo uno dei tanti personaggi storpiati e ridicolizzati da una sceneggiatura pietosa. Ne sono altri validissimi esempi la fata turchina (perde completamente la sua funzione pedagogica, si diverte con pinocchio e lo perdona ripetutamente senza insegnargli alcunchè), il gatto e la volpe (anni luce dall'interpretazione di Franco e Ciccio), il tonno (ecc..) per una regia che ha ricordato una parodia di quelle alla Maccio Capatonda, forse con queste premesse il film sarebbe valso il prezzo del biglietto, ma con il racconto vergognoso fatto dalla critica del film non c'è molto da ridere non ci resta che piangere.
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[+] il grillo un personaggio cruciale della favola?
(di paolo salvaro)
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vincenzo
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domenica 30 agosto 2020
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flop
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Nell'ultimo film di Matteo Garrone, autore in picchiata da tre film a questa parte compreso il sopravvalutato Dogman, c'è tutto il brutto della cattiva fiction italiana: sguardo banale e sbrigativo sul look, con scopiazzamenti a destra e a manca, senso del racconto scolastico, montaggio scollato, attori macchiette.
Il senso è quello di un'operazione a tavolino dove il calcolo supera la voglia di narrare una storia: e che storia!
Collodi è distante mille miglia, film mascherato da successo al botteghino e ignorato dai 6 politici della critica.
Flop.
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folignoli
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sabato 4 gennaio 2020
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la semplificazione di collodi
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Una operazione di mercato, senza anima né passione, uno sfoggio inutile di scenografie talmente curate da apparire finte, che non riescono a rappresentare la povertà, quella povertà che probabilmente è il motore di tutta la storia, ben caratterizzata invece, dai paesaggi lividi del film di Comencini, tutt'ora inarrivabile sotto ogni punto di vista. Federico Ielapi è la punta di diamante di tutto il racconto è il faro che riesce ad illuminare un film opaco, banalizzato nella storia, affrettatamente portata al termine. Scene cruciali come quella della balena o di mangiafuoco o del circo, vengono concluse rapidamente, negando loro, tutto quel peso specifico che nel film di Comencini e prim'ancora nel libro, hanno.
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Una operazione di mercato, senza anima né passione, uno sfoggio inutile di scenografie talmente curate da apparire finte, che non riescono a rappresentare la povertà, quella povertà che probabilmente è il motore di tutta la storia, ben caratterizzata invece, dai paesaggi lividi del film di Comencini, tutt'ora inarrivabile sotto ogni punto di vista. Federico Ielapi è la punta di diamante di tutto il racconto è il faro che riesce ad illuminare un film opaco, banalizzato nella storia, affrettatamente portata al termine. Scene cruciali come quella della balena o di mangiafuoco o del circo, vengono concluse rapidamente, negando loro, tutto quel peso specifico che nel film di Comencini e prim'ancora nel libro, hanno. Per chi già conosce la storia di Pinocchio è normale seguire la trama, ma mettendosi (paradossalmente) nei panni di chi non l'ha mai sentita, la trama spicciola di questo film risulterebbe alquanto incomprensibile. Il film è un Bignami della storia di Carlo Collodi, un racconto semplificato per bambini delle elementari, un abbecedario appunto, ovvero un libro per imparare a leggere. Tuttavia, il film scorre bene, grazie anche agli attori in ottima forma, soprattutto quelli meno conosciuti che sono in grado di caratterizzare e condire una trama fin troppo scontata. Passare da un film come Dogman a Pinocchio, significa per Garrone, interrompere quella strada che si era faticosamente creata con pellicole neorealiste e crude (citando anche Primo Amore e Reality) che potevano lanciarlo anche al di sopra di Paolo Sorrentino. Avrei preferito più coraggio, tagliando quelle scene (balena, Lucignolo, circo) inserite giusto per compiacere il pubblico, ma appena tratteggiate, concentrandosi sull'aspetto psicologico di questo burrattino alla ricerca di se stesso. Se avesse avuto questo coraggio, con la sua tecnica, Garrone probabilmente avrebbe realizzato il suo personaggio, in grado di ritagliarsi uno spazio nella iconografia delle avventure di Pinocchio.
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cicciovictor
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mercoledì 1 gennaio 2020
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manca la magia: il naso che si allunga!
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per chi ha visto il film: immaginate di non conoscere la storia, e di vederla per la prima volta rappresentata: capireste la magia di questo burattino/bambino al quale cresce il naso quando dice bugie? Che è il motivo del successo mondiale ed eterno del libro di Collodi. Avviene una sola volta e quasi non se ne accorge nemmeno Pinocchio che non si allarma più di tanto, mentre la fatina ci ride sopra e questo naso lungo diventa soltanto un ingombrante arnese che scompiglia gli oggetti in tavola. In ultimo, scompare sotto le beccate degli uccellini. Mah! scelta del regista? clamorosa dimenticanza? O forse sono io che non ho capito nulla? Per chi ha visto il Pinocchio di Comencini, è inevitabile farne un confronto, e personalmente trovo che Garrone sia quasi sempre secondo.
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per chi ha visto il film: immaginate di non conoscere la storia, e di vederla per la prima volta rappresentata: capireste la magia di questo burattino/bambino al quale cresce il naso quando dice bugie? Che è il motivo del successo mondiale ed eterno del libro di Collodi. Avviene una sola volta e quasi non se ne accorge nemmeno Pinocchio che non si allarma più di tanto, mentre la fatina ci ride sopra e questo naso lungo diventa soltanto un ingombrante arnese che scompiglia gli oggetti in tavola. In ultimo, scompare sotto le beccate degli uccellini. Mah! scelta del regista? clamorosa dimenticanza? O forse sono io che non ho capito nulla? Per chi ha visto il Pinocchio di Comencini, è inevitabile farne un confronto, e personalmente trovo che Garrone sia quasi sempre secondo. A cominciare da Pinocchio, che era un commovente Andrea Balestri assolutamente spontaneo e commovente, mentre Federico Ielapi è ingabbiato nel trucco. Sul Gatto e la Volpe, che sono i due personaggi di contorno più presenti nella rappresentazione di Garrone, il divario è abissale! non mi spiego la scelta di una Volpe che sovrasta il Gatto, relegato a ripetere le parole del compare. Non pare affatto una coppia di furfanti. Si salva la fotografia, la veridicità delle scene, dei costumi. Ammetto che sono personalmente parziale nel commento, per aver occasionalmene rivisto solo lo scorso anno l'intero film di Comencini, e di non riuscire a analizzare Garrone senza confrontarlo
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luca scialo
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venerdì 3 gennaio 2020
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freddo e sbrigativo, ansiosamente fedele al libro
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Di Matteo Garrone si può dire tutto, ma non che non sia un regista ambizioso. Che intraprenda progetti basati su storie di non facile trasposizione cinematografica. Il primo film di un certo impegno è stato Gomorra, molto attinente al libro e lontano parente della serie Tv. Dotato di una morale e ben lungi dal produrre pericolosi miti per il popolino. Poi arrivarono Reality, critica ad un format televisivo capace di adulterare la visione della realtà nelle persone; il Fantasy internazionale Il racconto dei racconti; ed ancora Dogman, racconto Noir di un vero caso di cronaca della periferia romana anni '80. Ed ora il regista romano, forse accodandosi al rinato filone hollywoodiano che sta riportando in auge le mitiche favole della nostra infanzia, ci prova con una sua versione di Pinocchio.
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Di Matteo Garrone si può dire tutto, ma non che non sia un regista ambizioso. Che intraprenda progetti basati su storie di non facile trasposizione cinematografica. Il primo film di un certo impegno è stato Gomorra, molto attinente al libro e lontano parente della serie Tv. Dotato di una morale e ben lungi dal produrre pericolosi miti per il popolino. Poi arrivarono Reality, critica ad un format televisivo capace di adulterare la visione della realtà nelle persone; il Fantasy internazionale Il racconto dei racconti; ed ancora Dogman, racconto Noir di un vero caso di cronaca della periferia romana anni '80. Ed ora il regista romano, forse accodandosi al rinato filone hollywoodiano che sta riportando in auge le mitiche favole della nostra infanzia, ci prova con una sua versione di Pinocchio. Sua per modo di dire, visto che si attiene fedelmente al libro originale. Anzi, la sua trasposizione pecca di una ansiosa devozione al libro, finendo per presentarci un prodotto finale freddo e distaccato. Senza alcun approfondimento e narrazione dei personaggi. Limitandosi al compitino, con la garanzia di potersi avvalere di attori di tutto rispetto (su tutti, Roberto Benigni e Gigi Proietti), senza però dar loro il giusto peso e la giusta importanza. Ad aiutarlo anche la fotografia di una Toscana già favolistica di suo. Mentre è da apprezzare lo scarso utilizzo della tecnologia, in favore del trucco vecchio stile. Il che ben si integra alle ambientazioni, evitando di produrre artifizi hollywoodiani o sorrentiniani. Ciò nonostante, restano lontani sia la tenerezza della versione Disney, che il calore dello sceneggiato di Comencini. Inutile poi il paragone con il Pinocchio del 2002, diretto ed interpretato proprio da Benigni. Che comunque vestiva bene i panni del discolo burattino, essendo all'epoca ancora in gran forma giullaresca ed aizzato come simbolo dell'anti-berlusconismo (sebbene a distribuire quel film fu proprio Medusa, del gruppo Mediaset). Dato che anche quel film non convinse e scaldò più di tanto. La pellicola pecca anche di sbrigatività e lo si evince subito dal fatto che dopo un quarto d'ora dall'inizio già vediamo Pinocchio bello che creato, dare grane a Geppetto. Presentato in un paio di minuti (in particolare, con la scena dell'osteria dove tenta buffamente di far aggiustare porta e sedia per guadagnarsi un pasto). La scena che resta impressa è quella della trasformazione di Pinocchio e Lucignolo in asini. Drammatica nella sua violenza pedagogica. Ma è l'unico momento, per quanto segnante, realmente pedagogico del film. La fata finisce sempre per perdonarlo, mentre il Grillo (interpretato da Davide Marotta, il mitico Ciripì Kodak dello spot anni '80) sembra più una macchietta anni '80. Anziché un saggio consigliere. Ed invece Pinocchio, attraverso le tante disavventure del burattino senza fili, è proprio la favola classica più istruttiva e moralistica di tutte. Più che alle tre versioni cinematografiche precedenti succitate, forse questo Pinocchio si avvicina di più a La vita è bella. Sarà per la presenza in entrambi i casi di Benigni nel ruolo di padre, che cerca di difendere il figlio dalle insidie del mondo esterno. Lo strumento utilizzato è sempre l'immaginazione, per combattere nel primo caso la solitudine, e nel secondo la bruttura della realtà.
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felicity
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martedì 28 aprile 2020
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un pinocchio con grandi problemi di sceneggiatura
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Anche un capolavoro della letteratura, un libro che è stato capace di travalicare le ambizioni del proprio autore e segnare per sempre la storia del mondo, può essere imperfetto, e che nel momento in cui Matteo Garrone decide di trasporlo pedissequamente da pagina a schermo, il risultato non può che essere un film in cui i personaggi sembrano calati dall’alto, senza motivazioni convincenti, senza un background e senza alcuna tridimensionalità; dove le cose accadono senza il minimo nesso logico e in cui non c’è l’ombra di una coerenza interna.
Il cinema ha necessariamente una sua grammatica e raccontare una storia sul grande schermo richiede il rispetto di regole flessibili ma precise, che qui sono totalmente ignorate.
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Anche un capolavoro della letteratura, un libro che è stato capace di travalicare le ambizioni del proprio autore e segnare per sempre la storia del mondo, può essere imperfetto, e che nel momento in cui Matteo Garrone decide di trasporlo pedissequamente da pagina a schermo, il risultato non può che essere un film in cui i personaggi sembrano calati dall’alto, senza motivazioni convincenti, senza un background e senza alcuna tridimensionalità; dove le cose accadono senza il minimo nesso logico e in cui non c’è l’ombra di una coerenza interna.
Il cinema ha necessariamente una sua grammatica e raccontare una storia sul grande schermo richiede il rispetto di regole flessibili ma precise, che qui sono totalmente ignorate.
Il risultato uccide ogni drammaturgia e dinamica evolutiva dei personaggi, risultando peraltro anche discretamente noioso.
Questo Pinocchio del 2019 è un’operazione filologicamente mirabile, che però mentre cerca di rispettare e rendere giustizia alle migliori sfumature dell’originale di Collodi cade rovinosamente vittima proprio dei limiti di quello che era un romanzo a puntate per bambini.
Si ricaverà comunque un posto importante nell’ultracentenaria storia di questo grande racconto popolare, anche e soprattutto per la
straordinaria componente visiva, ma rimarrà anche come il capitolo più debole nella filmografia del Garrone sceneggiatore.
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carlosantoni
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lunedì 23 dicembre 2019
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imparare a (ri)diventare un bambino
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Parto da una premessa che può suonare come una critica parziale: c’è qualcosa che manca in questo bel film di Garrone, qualcosa che non fa pensare che sia un capolavoro: forse è un po’ troppo lento, quasi didascalico nella descrizione dei vari passaggi del racconto collodiano. Lo dico perché apprezzando molto Garrone mi sarei aspettato francamente di più; fatta questa premessa, lo valuto tuttavia un lavoro notevole, come se ne vedono pochi.
I punti di forza del film, dal punto di vista estetico, sono diversi. Senz’altro la fotografia, in particolare le riprese notturne, una più fiabesca dell’altra, piene di fascino e di mistero.
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Parto da una premessa che può suonare come una critica parziale: c’è qualcosa che manca in questo bel film di Garrone, qualcosa che non fa pensare che sia un capolavoro: forse è un po’ troppo lento, quasi didascalico nella descrizione dei vari passaggi del racconto collodiano. Lo dico perché apprezzando molto Garrone mi sarei aspettato francamente di più; fatta questa premessa, lo valuto tuttavia un lavoro notevole, come se ne vedono pochi.
I punti di forza del film, dal punto di vista estetico, sono diversi. Senz’altro la fotografia, in particolare le riprese notturne, una più fiabesca dell’altra, piene di fascino e di mistero. Poi gli esterni in cui le varie scene sono state girate: riconosco le colline tipiche toscane delle crete, qualche fugace carrellata (credo) su Civita di Bagnoregio nel viterbese; di altre location, per esempio quelle collocate a ridosso di località marittime, non saprei che dire di preciso, ma è evidente la loro ubicazione in qualche regione del Meridione: forse in Sicilia o in Puglia: tutte scelte con cura, tutte ammalianti. In questo modo Garrone ha “strappato” la fiaba di Pinocchio alla sua origine strettamente toscana, contribuendo a conferirle un respiro nazionale, che poi è il respiro minimo che il capolavoro di Collodi si merita. Riguardo alla colonna sonora direi che ci sono degli alti e dei bassi, non l’apprezzo quando si fa troppo melensa e convenzionale, l’apprezzo molto quando adotta registri cupi e misteriosi da fiaba cattiva.
Una menzione particolare va senz’altro tributata ai trucchi, che trasformano in maniera stupefacente i volti degli attori nei musi animaleschi dei personaggi: divertentissimi in particolare quelli del gatto e della volpe, del giudice-scimmia e del grillo parlante! Per non parlare del volto di Pinocchio, che sotto uno strato di legno (non so come realizzato) mantiene integre tutte le espressioni più dolci e profonde di un bambino.
Riguardo alla recitazione, direi bravo Benigni, specialmente nelle scene iniziali, dove meglio viene in evidenza la sua bravura originaria, dimenticata man mano che diventava una star e un giullare di regime, sempre stucchevolmente ridanciano. Molto bravi Papaleo e Ceccherini, credibili, anche loro come Benigni (e come tutti direi) mai sopra le righe. Ma soprattutto bravissimo il bambino che interpreta Pinocchio, Federico Ielapi, tenero e innocente sempre, nonostante le sue furberie infantili. Ci regala spesso uno sguardo pulito, commovente.
E lodevole la sceneggiatura, che ci restituisce lo spaccato di un mondo infantile necessariamente e giustamente irrequieto e ribelle alle astruserie dei grandi, alle loro coercizioni, ai loro inganni, alle loro violenze più efferate. Mentre Pinocchio impara a sue spese a diventare bambino, ognuno di noi impara (o dovrebbe imparare) a ridiventarlo, perché il segreto della vita vera sta lì più che altrove.
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great steven
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domenica 12 gennaio 2020
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il pinocchio delle origini campestri e magiche.
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PINOCCHIO (ITALIA/FRANCIA/REGNO UNITO, 2019) di MATTEO GARRONE. Con FEDERICO IELAPI, ROBERTO BENIGNI, MARINE VACHT, ROCCO PAPALEO, MASSIMO CECCHERINI, GIGI PROIETTI, ALESSIO DI DOMENICANTONIO, ALIDA BALDARI CALABRIA, DAVIDE MAROTTA, PAOLO GRAZIOSI, MASSIMILIANO GALLO, TECO CELIO, MARIA PIA TIMO, MAURIZIO LOMBARDI, GIGIO MORRA Il terzo adattamento cinematografico di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, dopo quelli del 1972 e del 2002, si proponeva, nelle intenzioni del regista, di mantenere una fedeltà consapevole al messaggio racchiuso intimamente da Collodi quando pubblicò a dispense quello che sarebbe diventato il più famoso romanzo per ragazzi al mondo.
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PINOCCHIO (ITALIA/FRANCIA/REGNO UNITO, 2019) di MATTEO GARRONE. Con FEDERICO IELAPI, ROBERTO BENIGNI, MARINE VACHT, ROCCO PAPALEO, MASSIMO CECCHERINI, GIGI PROIETTI, ALESSIO DI DOMENICANTONIO, ALIDA BALDARI CALABRIA, DAVIDE MAROTTA, PAOLO GRAZIOSI, MASSIMILIANO GALLO, TECO CELIO, MARIA PIA TIMO, MAURIZIO LOMBARDI, GIGIO MORRA Il terzo adattamento cinematografico di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, dopo quelli del 1972 e del 2002, si proponeva, nelle intenzioni del regista, di mantenere una fedeltà consapevole al messaggio racchiuso intimamente da Collodi quando pubblicò a dispense quello che sarebbe diventato il più famoso romanzo per ragazzi al mondo. Una promessa che è stata adempiuta. Questa versione ci mostra la storia come un profondo racconto di formazione, una strada costituita da peccati, ricadute, redenzioni e sconfitte che infine conduce al premio più ambito: per il burattino quello di diventare un bambino in carne ed ossa; per gli spettatori (e in origine lettori) il raggiungimento di un’età adulta matura e responsabile al termine del cammino dell’adolescenza. Abbiamo qui a che fare con un Pinocchio che pone l’accento in particolar modo sulla presa di coscienza da parte del protagonista degli errori che si possono commettere intraprendendo la via della testardaggine o la concupiscenza della ricchezza facile. Impunito e bugiardo, Pinocchio non è certo un personaggio letterario fra quelli che demordono più facilmente, nonostante le tipiche caratteristiche di un fanciullo inesperto del mondo: non dimentica gli affetti per lui più importanti e si dedica con impegno al lavoro e allo studio quando proprio non vede di fronte a sé altra soluzione praticabile, ma sempre col pensiero fisso ad un miglioramento per sé o per un suo caro. Tutti ricordano che lo scrittore toscano, in un primo momento, volle punire il suo eroe, interrompendo il libro all’impiccagione della quercia: il fatto che abbia poi scritto il seguito, spinto dalle proteste bonarie dei suoi giovanissimi lettori, esemplifica la sua volontà di chiarire che, con una materia tanto preziosa per le mani, intendesse dare speranza pur mettendo al contempo in guardia dai pericoli chiunque avesse voluto emulare le gesta del simpatico personaggio. Garrone non tradisce Collodi: governando un cast di contributi tecnici in cui si privilegia l’attenzione ad un trucco assai efficace piuttosto che gli effetti speciali, offre al pubblico centoventi minuti di sublime poesia, costruendo un dramma bucolico che non disdegna in sé momenti di ilarità e dà il giusto spazio alla violenza necessaria di una rappresentazione comunque necessitante di cupezza. Dialoghi rarefatti, i debiti tagli alla pagina scritta per snellire la messinscena, musiche accattivanti e una magnifica scenografia che si avvale dei paesaggi collinari della Toscana centro-settentrionale sono la carta vincente di questo film gustabile anche dagli adulti, pensato fra l’altro per riavvicinare la fascia più giovane della nostra popolazione alla letteratura, poiché un buon esempio fornito da un’arte a sostegno di un’altra più antica e che in essa si completa è davvero un atto di genuina generosità. Dal regista di apologhi gangsteristici della terra italica, fiabe cinematografiche rievocanti atmosfere secentesche e brutali testate di cronaca convertite dietro la macchina da presa, è uscito un delizioso mix di avventura picaresca, luoghi di catalizzazione della trasgressione giovanile, dolce creatività, sudore della fronte e tenerezza giuliva, il tutto all’insegna di una morale educativa che travalica i limiti dello spettacolo. Un maggior calore nelle performances avrebbe tuttavia permesso di conferirgli una personalità più distinta e definita, quantunque il tono non risulti troppo freddo e distaccato a danno della credibilità o dell’intensità. Gli attori sono infatti da applauso e i caratteristi di contorno si rivelano eccezionali nel ridare dignità a quelle figure di secondo piano che nel romanzo rivestono un’importanza narrativa fortemente strategica e che le varie versioni di Pinocchio tra XX e XXI secolo (soprattutto il pessimo cartoon della Disney) avevano oscurato con cruda ignominia. Fotografia: Nikolaj Bruel. M. Vacht, che impersona la Fata Turchina da adulta, è doppiata da Domitilla D’Amico.
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dandy
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lunedì 1 febbraio 2021
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ancora una volta.
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Ennesima versione delle avventure del più celebre burattino del mondo.Garrone(che sceneggia con Ceccherini)cerca l'attenzione totale al testo originario(non del tutto rispettata) e alle prime edizioni illustrate(da Enerico Mazzanti nel 1883 e Carlo Chiostri nel 1901).Si serve della fotografia spenta di Nicolaj Bruel per conferire un'atmosfera generale di miseria e squallore decisamente azzeccata(anche il Paese dei Balocchi è volutamente antispettacolare)e riprende certi tocchi ambigui dal precedente "Il racconto dei racconti"(la mutevole Fata Turchina,la mostruosità del Pescecane).Ma qui all'innegabile meraviglia visiva nonchè ottima direzione degli attori(dal piccolo Iealpi alla coppia Ceccherini-Papaleo a un Benigni abbastanza misurato,e al momento l'unico ad aver interpretato sia Geppetto che Pinocchio in due film differenti)non corrisponde la stessa passione .
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Ennesima versione delle avventure del più celebre burattino del mondo.Garrone(che sceneggia con Ceccherini)cerca l'attenzione totale al testo originario(non del tutto rispettata) e alle prime edizioni illustrate(da Enerico Mazzanti nel 1883 e Carlo Chiostri nel 1901).Si serve della fotografia spenta di Nicolaj Bruel per conferire un'atmosfera generale di miseria e squallore decisamente azzeccata(anche il Paese dei Balocchi è volutamente antispettacolare)e riprende certi tocchi ambigui dal precedente "Il racconto dei racconti"(la mutevole Fata Turchina,la mostruosità del Pescecane).Ma qui all'innegabile meraviglia visiva nonchè ottima direzione degli attori(dal piccolo Iealpi alla coppia Ceccherini-Papaleo a un Benigni abbastanza misurato,e al momento l'unico ad aver interpretato sia Geppetto che Pinocchio in due film differenti)non corrisponde la stessa passione .Il risultato complessivamente è alquanto freddo,e di certo incapace di coinvolgere adeguatamente i bambini a cui dovrebbe rivolgersi,specialmente se si avvicinano per la prima volta alla fiaba.La storia come ricerca della moralità del protagonista manca di un vero e proprio leit motiv,anche perchè sono stati espunti certi elementi chiave(la detenzione in prigione,la morte di Lucignolo,il cane Melampo)e lo stesso Pinocchio perde quasi totalmente l'avventatezza e la vivace irriverenza che dovrebbero causarne la maturazione di coscienza.Non spiacevole ma certamente non indispensabile.Gli ottimi effetti speciali,inclusi quelli del protagonista,sono quasi interamente non digitali(alcuni degli attori interpretano più ruoli:Marotta oltre al Grillo interpreta Pantalone e un coniglio;Massimiliano Gallo è un Corvo e un Mastino e il fratello Gianfranco un altro Mastino,la Civetta e Medoro)Belle musiche di Dario Marianelli.Girato in Toscana presso la Tenuta La Fratta,nel Lazio e in Puglia.Tra i produttori c'è Jeremy Thomas.5 David di Donatello(scenografie,acconciature,trucco,effetti visivi e costumi) e da un buon successo di pubblico.
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