Pinocchio

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Il Pinocchio delle origini campestri e magiche. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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domenica 12 gennaio 2020

PINOCCHIO (ITALIA/FRANCIA/REGNO UNITO, 2019) di MATTEO GARRONE. Con FEDERICO IELAPI, ROBERTO BENIGNI, MARINE VACHT, ROCCO PAPALEO, MASSIMO CECCHERINI, GIGI PROIETTI, ALESSIO DI DOMENICANTONIO, ALIDA BALDARI CALABRIA, DAVIDE MAROTTA, PAOLO GRAZIOSI, MASSIMILIANO GALLO, TECO CELIO, MARIA PIA TIMO, MAURIZIO LOMBARDI, GIGIO MORRA Il terzo adattamento cinematografico di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, dopo quelli del 1972 e del 2002, si proponeva, nelle intenzioni del regista, di mantenere una fedeltà consapevole al messaggio racchiuso intimamente da Collodi quando pubblicò a dispense quello che sarebbe diventato il più famoso romanzo per ragazzi al mondo. Una promessa che è stata adempiuta. Questa versione ci mostra la storia come un profondo racconto di formazione, una strada costituita da peccati, ricadute, redenzioni e sconfitte che infine conduce al premio più ambito: per il burattino quello di diventare un bambino in carne ed ossa; per gli spettatori (e in origine lettori) il raggiungimento di un’età adulta matura e responsabile al termine del cammino dell’adolescenza. Abbiamo qui a che fare con un Pinocchio che pone l’accento in particolar modo sulla presa di coscienza da parte del protagonista degli errori che si possono commettere intraprendendo la via della testardaggine o la concupiscenza della ricchezza facile. Impunito e bugiardo, Pinocchio non è certo un personaggio letterario fra quelli che demordono più facilmente, nonostante le tipiche caratteristiche di un fanciullo inesperto del mondo: non dimentica gli affetti per lui più importanti e si dedica con impegno al lavoro e allo studio quando proprio non vede di fronte a sé altra soluzione praticabile, ma sempre col pensiero fisso ad un miglioramento per sé o per un suo caro. Tutti ricordano che lo scrittore toscano, in un primo momento, volle punire il suo eroe, interrompendo il libro all’impiccagione della quercia: il fatto che abbia poi scritto il seguito, spinto dalle proteste bonarie dei suoi giovanissimi lettori, esemplifica la sua volontà di chiarire che, con una materia tanto preziosa per le mani, intendesse dare speranza pur mettendo al contempo in guardia dai pericoli chiunque avesse voluto emulare le gesta del simpatico personaggio. Garrone non tradisce Collodi: governando un cast di contributi tecnici in cui si privilegia l’attenzione ad un trucco assai efficace piuttosto che gli effetti speciali, offre al pubblico centoventi minuti di sublime poesia, costruendo un dramma bucolico che non disdegna in sé momenti di ilarità e dà il giusto spazio alla violenza necessaria di una rappresentazione comunque necessitante di cupezza. Dialoghi rarefatti, i debiti tagli alla pagina scritta per snellire la messinscena, musiche accattivanti e una magnifica scenografia che si avvale dei paesaggi collinari della Toscana centro-settentrionale sono la carta vincente di questo film gustabile anche dagli adulti, pensato fra l’altro per riavvicinare la fascia più giovane della nostra popolazione alla letteratura, poiché un buon esempio fornito da un’arte a sostegno di un’altra più antica e che in essa si completa è davvero un atto di genuina generosità. Dal regista di apologhi gangsteristici della terra italica, fiabe cinematografiche rievocanti atmosfere secentesche e brutali testate di cronaca convertite dietro la macchina da presa, è uscito un delizioso mix di avventura picaresca, luoghi di catalizzazione della trasgressione giovanile, dolce creatività, sudore della fronte e tenerezza giuliva, il tutto all’insegna di una morale educativa che travalica i limiti dello spettacolo. Un maggior calore nelle performances avrebbe tuttavia permesso di conferirgli una personalità più distinta e definita, quantunque il tono non risulti troppo freddo e distaccato a danno della credibilità o dell’intensità. Gli attori sono infatti da applauso e i caratteristi di contorno si rivelano eccezionali nel ridare dignità a quelle figure di secondo piano che nel romanzo rivestono un’importanza narrativa fortemente strategica e che le varie versioni di Pinocchio tra XX e XXI secolo (soprattutto il pessimo cartoon della Disney) avevano oscurato con cruda ignominia. Fotografia: Nikolaj Bruel. M. Vacht, che impersona la Fata Turchina da adulta, è doppiata da Domitilla D’Amico.

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