luigiiodice
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martedì 21 novembre 2017
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speriamo che questo plagio non sia segno di decadenza
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Quello che c'è di buono in "The Place" (soggetto, trama, intrecci, personaggi, belle battute) è di "The booth at the end", la serie tv che il film traspone, a tratti goffamente, in una versione cinematografica italiana. La serie è stata presa, tradotta sbrigativamente (ma tradotta letteralmente, battuta per battuta, scena per scena), girata con attori da cartellone e presentata ad un festival come lungometraggio (sia la serie sia il film durano 2 ore). La sensazione poi è che Genovese non abbia veramente capito il senso della serie da cui ha tratto il film, la sua potenza. Si è limitato a ripetere una successione di scene e dialoghi già fatti da altri. Da quel Christopher Kubasik che appare solo di sfuggita nei titoli e che ne è il vero autore.
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Quello che c'è di buono in "The Place" (soggetto, trama, intrecci, personaggi, belle battute) è di "The booth at the end", la serie tv che il film traspone, a tratti goffamente, in una versione cinematografica italiana. La serie è stata presa, tradotta sbrigativamente (ma tradotta letteralmente, battuta per battuta, scena per scena), girata con attori da cartellone e presentata ad un festival come lungometraggio (sia la serie sia il film durano 2 ore). La sensazione poi è che Genovese non abbia veramente capito il senso della serie da cui ha tratto il film, la sua potenza. Si è limitato a ripetere una successione di scene e dialoghi già fatti da altri. Da quel Christopher Kubasik che appare solo di sfuggita nei titoli e che ne è il vero autore. Il soggetto non è liberamente tratto da. Il soggetto è quello. E sono sicuro di non stare rivelando niente di nuovo, se ne sono già accorti in tanti. A coloro che ancora credono che il film sia originale e che lo apprezzano in quanto una "nuova buona idea italiana", rivolgo l'invito di vedere la serie, anche solo i primi minuti. Penso che Genovese, forse per impazienza o per superficialità (non voglio pensare sia stato per pigrizia) si sia lasciato sfuggire una grande occasione. L'occasione di un'opera d'arte cinematografica, di una grande narrazione. Perché il racconto, qui, non emoziona. Sebbene l'idea da lui individuata fosse buona. Avrebbe avuto tutte le carte in regola per far provare paura, rabbia, curiosità, ansia, coinvolgimento, tristezza... Invece ha solo tradotto i dialoghi che ne parlavano. Peccato. Un compito copiato male.
Spero che The Place sia solo un inciampo del cinema italiano e non una sua nuova tendenza. Perché in questi ultimi anni film come Perfetti sconosciuti, Lo chiamavano Jeeg Robot, Smetto Quando Voglio e Indivisibili sembravano averci fatto ben sperare in idee originali veramente
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[+] io non guardo la tv
(di claudiarammy)
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[+] hanno tradotto dall'inglese all'italiano
(di mariocicala)
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antoniop.
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domenica 12 novembre 2017
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commedia mancata
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Film statico e poco cinematografico. Unico luogo, il bar; questo ha fatto si che mi concentrassi su Mastrandrea e sul suo personaggio. Aspettative molto alte, purtroppo niente da fare. L’uomo per tutta la durata del film è stato seduto ad un tavolino, poco empatico molto distante. Sono state “toccate e sfiorate “ tante storie, nessuna di essa raccontata. Tutti gli attori si sono mostrati poco empatici, poco drammatici.
Sicuramente questo film ha lasciato molto all’immaginazione , solo perché tutto è stato vissuto e raccontato con superficialità ; ma dove sono quei dettagli che tanto venivano evocati ?
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ananas59
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domenica 12 novembre 2017
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una furba operazione di mercato
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Una spudorata operazione commerciale. Genovese, forte del successo di Perfetti Sconosciuti, ruba il soggetto ad una serie statunitense e fa un film a costo zero di qualcosa che, forse, avrebbe retto a teatro....ma gli incassi non sarebbero stati paragonabili. Il film è insopportabilmente noioso, claustrofobico e ossessivo. Alcuni tra i migliori attori italiani sono costretti a dialoghi scadenti e ad una mimica facciale ripetitiva, quasi macchiettistica. Mastandrea non ha nulla di misterioso, né di seducente, né di diabolico.
Un film davvero pessimo.
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mariocicala
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sabato 18 novembre 2017
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perché questo film non è plagio?
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Avete visto la serie Netflix “The Boot at the End”? Quest’ultimo film di Genovese ne è la copia italiana: stessi personaggi, con stessi desideri, stesse prove date per raggiungerli, stesso intreccio di storie, tesse scene e, la cosa più incredibile, stessi dialoghi, stesse battute, stessi movimenti dei personaggi (tipo la suora che si nasconde la collana con il crocefisso nella scollatura del maglioncino). Stessa durata, due ore. Com’è possibile? Com’è possibile che Genovese abbia scritto questo film e l’abbia presentato come suo e poi gli abbiano fatto scrivere nei titoli di testa “liberamente tratto da”? Com'è possibile che dopo il successo di "Perfetti sconosciuti" abbia rischiato così una denuncia per plagio? Ne aveva bisogno? In Italia ci sono ormai fior fiori di sceneggiatori, e corsi e concorsi di sceneggiatura da cui emergono sempre più ottimi autori (penso all’ormai storico Premio Solinas).
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Avete visto la serie Netflix “The Boot at the End”? Quest’ultimo film di Genovese ne è la copia italiana: stessi personaggi, con stessi desideri, stesse prove date per raggiungerli, stesso intreccio di storie, tesse scene e, la cosa più incredibile, stessi dialoghi, stesse battute, stessi movimenti dei personaggi (tipo la suora che si nasconde la collana con il crocefisso nella scollatura del maglioncino). Stessa durata, due ore. Com’è possibile? Com’è possibile che Genovese abbia scritto questo film e l’abbia presentato come suo e poi gli abbiano fatto scrivere nei titoli di testa “liberamente tratto da”? Com'è possibile che dopo il successo di "Perfetti sconosciuti" abbia rischiato così una denuncia per plagio? Ne aveva bisogno? In Italia ci sono ormai fior fiori di sceneggiatori, e corsi e concorsi di sceneggiatura da cui emergono sempre più ottimi autori (penso all’ormai storico Premio Solinas). Se proprio non vuoi buttarti su un’idea originale, perlomeno non attribuirtene la paternità. Non promuovere, ma nemmeno per un attimo, questo film come un soggetto tuo. "Liberamente tratto da" vuol dire che ci metti del tuo, che cambi qualcosa, che prendi spunto da ma poi inventi almeno un po'. Qui addirittura il colore rosa dell'insegna al neon del locale è uguale. Lo trovo sinceramente scandaloso. Mi hanno segnalato la serie dopo che avevo visto il film, devo ammettere annoiandomi un po’. Certo, mi hanno detto, viene da una serie tv, non è cinema! Ma queste spiegazione mi sembrava troppo semplice: insomma le serie tv ormai hanno raggiunto livelli altissimi. Così l’ho vista. Non-è-possibile. Non è possibile copiare ogni cosa (quasi ogni inquadratura) di un lavoro altrui e attribuirsene il merito autoriale. E’ una truffa, pure per lo spettatore. Che non intende certo andare al cinema a vedere un collage di puntate di una serie tv disponibile su Netflix. Vi prego, spiegatemi come possa essere successo. Non voglio credere che il cinema italiano sia così a corto d'idee. Perfetti sconosciuti, Lo chiamavano Jeeg Robot e Indivisibili, solo per citarne alcuni, sembrava ci stessero portando in un'altra direzione.
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[+] te lo spiego io perchè non è plagio ....
(di petri)
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[+] questo copiare fa male al cinema
(di luigiiodice)
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alesimoni
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venerdì 17 novembre 2017
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poche idee, molta noia
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Replicare il successo di "Perfetti Sconosciuti" era molto difficile e le aspettative erano altissime per il ritorno di Paolo Genovese. Purtroppo sono state ampiamente disattese. E' difficilissimo riuscire a fare un film all'interno della stanza, con lo stesso interlocutore, e tenere sempre viva l'attenzione dello spettatore. Occorrono una sceneggiatura eccezionale, un montaggio serrato, ottimi attori e un buon sonoro: tutte cose che ci sono nel film precedente e non in questo. Tralasciando che l'idea alla base del tutto non è originale, ma tratta da una serie tv, non ci appassiona mai del tutto alle vicende dei protagonisti nonostante con il procedere del film si tenti di innalzare la tensione narrativa e l'intreccio cominci a dipanarsi.
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Replicare il successo di "Perfetti Sconosciuti" era molto difficile e le aspettative erano altissime per il ritorno di Paolo Genovese. Purtroppo sono state ampiamente disattese. E' difficilissimo riuscire a fare un film all'interno della stanza, con lo stesso interlocutore, e tenere sempre viva l'attenzione dello spettatore. Occorrono una sceneggiatura eccezionale, un montaggio serrato, ottimi attori e un buon sonoro: tutte cose che ci sono nel film precedente e non in questo. Tralasciando che l'idea alla base del tutto non è originale, ma tratta da una serie tv, non ci appassiona mai del tutto alle vicende dei protagonisti nonostante con il procedere del film si tenti di innalzare la tensione narrativa e l'intreccio cominci a dipanarsi. La questione di fondo che si cercava di fa emergere è lo specchiarsi dentro sé stessi e capire che, in caso di necessità, ognuno di noi si trasformerebbe in un mostro pur di raggiungere il proprio scopo ma il risultato è una gran noia, nonostante i sempre ottimi Mastandrea (anche se con un ruolo così, in cui fa sempre la stessa faccia e le stesse mosse, è dura!) e Giallini.
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antoniop.
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domenica 12 novembre 2017
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commedia mancata
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Film statico e poco drammatico. Dal punto di vista cinematografico, avere per tutta la durata del film la stessa scena , stesso bar , ha penalizzato lo stesso Mastrandrea. Infatti tutte le mie aspettative ad un certo punto si erano focalizzate su di lui, senza però trovare un riscontro positivo. Poco empatico e molto distante.Gli altri attori interpretano le loro storie con poca enfasi ma soprattutto con molta rapidità , quasi superficialità .
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flyanto
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martedì 14 novembre 2017
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un uomo capace di realizzare i desideri
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Un uomo che siede ad un bar/tavola calda viene quotidianamente avvicinato da svariati individui che gli chiedono dei desideri impossibili o quasi. Egli prontamente suggerisce loro delle "soluzioni" per far sì che questi si realizzino, comunicando loro come si devono comportare e cosa devono fare. Tutti puntualmente eseguono "gli ordini" e chi in un modo, chi in un altro, od affatto, vedranno in qualche modo cambiare qualcosa nella propria esistenza. Questa in breve costituisce la storia del film "The Place" del regista Paolo Genovese.
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Un uomo che siede ad un bar/tavola calda viene quotidianamente avvicinato da svariati individui che gli chiedono dei desideri impossibili o quasi. Egli prontamente suggerisce loro delle "soluzioni" per far sì che questi si realizzino, comunicando loro come si devono comportare e cosa devono fare. Tutti puntualmente eseguono "gli ordini" e chi in un modo, chi in un altro, od affatto, vedranno in qualche modo cambiare qualcosa nella propria esistenza. Questa in breve costituisce la storia del film "The Place" del regista Paolo Genovese.
Una pellicola distante dalle solite commedie che gira Genovese: "The Place" (dal nome dal bar/tavola calda in cui si svolge l'intera vicenda) è, infatti, un film drammatico, strutturato quasi come una pièce teatrale e, pertanto, molto dialogato, privo di qualsiasi azione ed ambientato, appunto, in un unico luogo. La sua tematica 'metaforica' presenta una sorta di 'Deus ex machina' che muove o, più precisamente, fa muovere le sue pedine al fine di far comprendere loro le reali situazioni, il più delle volte anche a caro prezzo. Lo spunto sicuramente appare buono ma, purtroppo, la sua realizzazione meno. "The Place" , infatti, risulta innanzitutto poco realistico nel suo insieme, troppo 'pretenzioso' nella sua esposizione e, a tratti, anche pesante: Genovese qui non ha saputo ben maneggiare la propria materia (ben più abile risulta nelle genere della commedia o nel suo precedente "Perfetti Sconosciuti" strutturato anch'esso come una pièce teatrale) creando così un lavoro che sembra più un esercizio di stile e null'altro. Insomma, un' occasione sprecata!
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gaetanograziano
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domenica 19 novembre 2017
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l'idea di fondo è interessante ma non decolla
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Grande occasione per comporre un film da ricordare. E invece rimane senza peso psicologico. Anzi i temi messi in campo non vengono trattati con quella adeguata profondità che ci si aspettava. Ed è un vero peccato perché poteva coinvolgere emozionalmente lo spettatore, considerato lo svolgimento teatrale dell'azione con la sua unità di luogo. E proprio in rapporto a quest'ultimo aspetto non poteva che emergere solitaria su tutti la interpretazione superba e convincente di Giulia Lazzarini, indiscussa grande attrice del nostro teatro, unica preziosa nota positiva di questo film.
[+] è decollato eccome se mai ha volato un po' troppo
(di claudiarammy)
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vincenzori
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lunedì 11 dicembre 2017
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un film pretenzioso e irritante
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Dieci bravi attori da cartellone e una domanda da grande storia: "Cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che desideri?". Il film si apre su un bar colorato di periferia, con Mastrandrea seduto al tavolo in fondo alla sala. E lì rimane. Lì rimane Mastrandrea e lì rimane anche il film. I vari personaggi che gli sfilano davanti entrano, pronunciano battute da esercitazione teatrale, escono. Per due ore.
The Place avrebbe potuto essere una grande opera, grande come l'idea da cui prende origine (il mistero semplice e metafisico della serie The Booth at the End) e con cui si vende.
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Dieci bravi attori da cartellone e una domanda da grande storia: "Cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che desideri?". Il film si apre su un bar colorato di periferia, con Mastrandrea seduto al tavolo in fondo alla sala. E lì rimane. Lì rimane Mastrandrea e lì rimane anche il film. I vari personaggi che gli sfilano davanti entrano, pronunciano battute da esercitazione teatrale, escono. Per due ore.
The Place avrebbe potuto essere una grande opera, grande come l'idea da cui prende origine (il mistero semplice e metafisico della serie The Booth at the End) e con cui si vende. Si è infranto invece su una sequela di dialoghi banali e battute altisonanti. E attori che non possono credere a quello che gli tocca dire.
I film in un ambiente unico con più personaggi si possono fare, e con Perfetti sconosciuti Genovese ha già dimostrato che si possono fare alla grande. Ma non puoi pretendere di affrontare temi alti (la vita e la morte, il bene e il male, la violenza, Dio e il trascendente) con parole così povere, personaggi così piatti, trame così prevedibili.
La noia che ho provato vedendo questo film potrebbe riflettere la superficialità con cui è stato scritto.
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ninoraffa
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venerdì 1 dicembre 2017
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l'uomo dei dettagli
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Seduto a tutte le ore in un bar di periferia, un uomo ha potere di soddisfare i desideri. Un prevedibile viavai di persone siede al suo tavolo con le richieste più varie – dalla bellezza alla notte infuocata con una starlette – e lui le accontenta. Naturalmente in cambio di qualcosa. Il prezzo richiesto l’uomo lo legge in un libro-quaderno che ha sempre davanti, e può consistere in azioni innocue come aiutare delle vecchiette ad attraversare la strada, difficili come rimanere incinta per una suora, oppure criminali come violentare una donna o uccidere una bambina. Non c’è un nesso evidente tra desiderio e corrispettivo. L’uomo si definisce come uno che chiude degli accordi, insiste con tutti che sono liberi di accettare o meno, e sembrerebbe quasi sollevato se loro rifiutassero.
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Seduto a tutte le ore in un bar di periferia, un uomo ha potere di soddisfare i desideri. Un prevedibile viavai di persone siede al suo tavolo con le richieste più varie – dalla bellezza alla notte infuocata con una starlette – e lui le accontenta. Naturalmente in cambio di qualcosa. Il prezzo richiesto l’uomo lo legge in un libro-quaderno che ha sempre davanti, e può consistere in azioni innocue come aiutare delle vecchiette ad attraversare la strada, difficili come rimanere incinta per una suora, oppure criminali come violentare una donna o uccidere una bambina. Non c’è un nesso evidente tra desiderio e corrispettivo. L’uomo si definisce come uno che chiude degli accordi, insiste con tutti che sono liberi di accettare o meno, e sembrerebbe quasi sollevato se loro rifiutassero. Non gl’importa come le azioni chieste in cambio vengano portate a termine, gl’interessa però conoscerne i dettagli che va scrivendo sul suo libro. Non chiede né sembra interessato a compensi per sé.
Chi è l’uomo che abita il bar? Etichettarlo non è agevole e forse non ha troppa importanza. Un subordinato dio gnostico, un diavolo post-moderno, una sgualcita parca in abiti d’ufficio, un sacerdote-profeta spossato e scettico? Scena dopo scena scopriamo un essere saturo di destini, assonnato e insonne, incredulo al bene e al male, rassegnato alla cieca volontà degli uomini, che non fa nulla per dissuaderli o sedurli, che ha quasi pena di accontentarli, che scrive e soprascrive nel suo libro sacro le loro azioni, ovvero i dettagli che gli stanno tanto a cuore. Un essere, che intuiamo soprannaturale, indifferente e forse decaduto, a cui rimane l’unico potere di leggere nella sua caotica scrittura le combinazioni spesso delittuose che realizzeranno i desideri umani. Un essere in possesso, e forse posseduto, dal dono dubbio di sfogliare nel suo libro la trama unica del mondo, ovvero l’incessante intrecciarsi e collidere di tutte le vite, e lo sfasciarsi, e qualche volta il ricomporsi di ogni vita con i pezzi delle altre.
Dall’altra parte del tavolino i suoi clienti: dominati da un’unica idea, potenzialmente assassina come tutte le idee assolute, fosse anche quella di salvare un figlio, oppure sentire Dio; liberi di rifiutare l’accordo, eppure già scritti nel libro che viene scritto e riscritto con le loro stesse scelte; capaci di scambiare e confondere bene a male, di mostruosità a partire dalle migliori intenzioni, d’inattesi riscatti dopo una serie di abiezioni. D’idee assassine si muore, si uccide, ma si può anche risorgere.
Se The Place, il bar, fosse un luogo fisico potrebbe rappresentare il paradiso perduto in cui si è insinuato il caos; oppure il tempio dissacrato in cui offriamo i nostri voti, talvolta abietti, in cambio d’incerte preghiere che neppure comprendiamo. Ma ci sono altre soluzioni. Se il luogo fosse il teatro della nostra coscienza, l’uomo che lo abita - l’uomo dei desideri - sarebbe uno specchio: il limite indicibile che siamo disposti a superare per soddisfare un’ossessione, come pure il conflitto interiore attraverso cui possiamo liberarcene.
Angela è la proprietaria del bar. E’ veritiero il suo nome? A sera fa le pulizie e rassetta la sala, come un principio d’ordine nel caos; parla d’amore e si siede davanti all’uomo, unica a non chiedergli qualcosa. Prova (invano) a farlo ridere, e lui in tutta la storia ha un unico sguardo d’umanità proprio riferito a lei. Angela gli sta di fronte alla pari, oppure è superiore proprio in virtù del suo amore? L’ultima inquadratura riserva una sorpresa e (forse) una speranza. Si brucia un altro desiderio, il libro passa di mano, e l’uomo si trova dall’altra parte del tavolo. Ha anche lui qualcosa da chiedere? O addirittura, sin dall’inizio, il ruolo di dispensatore di destini è il prezzo sgradito pagato in cambio di qualcosa che anche lui ha chiesto? Oltre Angela c’è qualcun altro? La spirale dei desideri e dei prezzi - il gioco di specchi - da qualche parte finisce? Chi guarda dall’alto la strada, e l’interno del bar attraverso la vetrata? Esiste veramente qualcuno là fuori?
Interrogativo e plurimo quest’ultimo film di Paolo Genovese, tratto dal soggetto originale della serie “The booth at the end”. Girato dentro un bar in perfetta unità di luogo, The Place completa la triade aristotelica d’unità di azione e tempo nel meccanico susseguirsi di movimenti scenici, di giorni e notti. Privo di avvenimenti, se non quelli raccontati dai personaggi, lo svolgimento è tutto giocato sui dialoghi, sul non detto, su espressioni e sfumature. Ottimo Valerio Mastandrea, affiatati e all’altezza gli altri comprimari, una menzione speciale per Alba Rohrwacher perfetta nella parte. The Placepostula domande, insensate per molti, cruciali per altri, neppure ipotizzando soluzioni. Domande che comunque difficilmente contemplano un’unica risposta. Almeno da questa parte della realtà.
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[+] il limite estremo del desiderare
(di cesare)
[ - ] il limite estremo del desiderare
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