Anno | 2017 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 72 minuti |
Regia di | Pierpaolo Verdecchi |
MYmonetro | 3,00 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 3 luglio 2017
Le vicende di un gruppo di senegalesi che, per motivi economici, si ritrovano a vivere in un sobborgo dell'Europa ormai in crisi.
CONSIGLIATO SÌ
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Un gruppo di senegalesi ha occupato nella periferia di Barcellona una fabbrica dismessa facendola divenire un'abitazione. Si tratta di immigrati irregolari che si trovano in una città che speravano avesse un atteggiamento diverso nei loro confronti.
La Barcellona che il documentario di Perpaolo Verdecchi ci presenta sin dalla sequenza di apertura non è la città della movida, aperta, accogliente che il cinema di Almodovar (e non solo) ha contributo a far essere nell'immaginario collettivo. Siamo catapultati dentro un'azione repressiva della polizia nei confronti di immigrati senegalesi con immagini che ce ne restituiscono la tensione, grazie anche a uno splendido bianco e nero che ben si presta per incentrare l'attenzione sulle vite di chi spera di trovare nella vecchia Europa un clima diverso da quello con cui dovrà misurarsi di fatto.
Il gruppo che sta al centro dello schermo con i suoi vissuti è legato da una forma di religione che si ispira all'Islam ma che non ha nulla da spartire con l'estremismo, considerando come norme fondamentali il lavoro, la tolleranza e il rifiuto della violenza.
Le vicende a cui assistiamo (code infinite per pratiche burocratiche, improvvisati nostalgici del franchismo che non nascondono il loro desiderio di decisioni radicali) si ripetono non solo in Spagna ma in tanti Paesi dell'Unione Europea. Quello che però colpisce qui in particolare sono le modalità con cui il regista quasi pedina i suoi protagonisti e, soprattutto, una scena in particolare. È ormai pratica purtroppo quotidiana assistere a salvataggi in mare di barconi di migranti e un documentario come Fuocoammare ha saputo sintetizzarne la tragicità. Qui però, attraverso la narrazione di uno degli appartenenti al gruppo, ci viene offerta un'immagine quasi conradiana del rapporto con il mare. Il giovane racconta come si sia messo al timone dell'imbarcazione su cui si trovava e abbia contributo a non farla affondare. La descrizione è così vivida e ricca di particolari da far percepire anche al più ostile degli spettatori quanto elevato debba essere lo stato di necessità di chi affronta situazioni simili. Sono parole che si trasformano in immagini mentali che finiscono con il fissarsi nella memoria.
Un gruppo di senegalesi si ritrova a vivere in un sobborgo dell'Europa ormai in crisi.
Il gruppo è eterogeneo, ha occupato nella periferia di Barcellona una ex-fabbrica dismessa, trasformandola in una casa. Sono tutti immigrati irregolari, per loro Barcellona non è la città da cartolina che si aspettavano alla partenza, ma danzano in una metropoli complessa, escludente e controllata. Vivono di espedienti, qualcuno ricicla il ferro, altri riparano le reti dei pescatori, altri si dedicano allo spaccio di strada. Voglio raccontare la loro dimensione collettiva, risposta istintiva al rifiuto da parte della società "di fuori", escludente e repressiva verso gli irregolari. Che è anche una risposta ricca, fatta di solidarietà e sostegno, problemi e soluzioni condivise.
Una dimensione collettiva fatta non solo di solidarietà materiale, ma anche di comunione spirituale che molto ha a che fare con la cultura religiosa a cui il gruppo fa riferimento, la confraternita islamica dei Baye Fall, una forma di religione che rinnega qualsiasi attaccamento materiale e i cui pilastri fondanti sono il lavoro, la tolleranza, il rifiuto della violenza, dell'individualismo. Una sfumatura di Islam molto diverso dalla dicotomia moderato/radicale che conosciamo. Ma è difficile mantenere integra la spiritualità con cui si è arrivati e le crepe da dove si dissipa aumentano con gli anni.