terry
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lunedì 18 giugno 2007
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osannato senza ragione, non ci andate
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Un film buono per un pubblico - e una critica - di bocca buona. Alla fine tutto ruota intorno ad una macchina da scrivere portatile che l'astuto commediografo nasconde sotto la classica mattonella, che qui è la soglia di un parquet. Quei furboni della Stasi rivoltano la casa da cima a fondo ma non la trovano. Una banda di ladruncoli avrebbe fatto meglio. A quel punto è inutile che gli attori si sforzino più. E' tutto finito.
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serena
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lunedì 18 giugno 2007
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e lo stupro cosa sarebbe?? (x riccardo)
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È vero che la TV rincretinisce, ma qui siamo a livelli di guardia e di rischio da Protezione Civile.
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(di ricky)
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riccardo
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lunedì 18 giugno 2007
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intenso
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Senza una lacrima o scena di violenza, viene resa magistralmente la drammaticita' del periodo.
Ottima resa!
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catia p.
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venerdì 15 giugno 2007
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un sobrio capolavoro
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Se questo film non riuscirà pian piano a penetrare la vostra corazza, superando le rigide apparenze e toccando qualcosa che si nasconde nella profondità della vostra anima, vuol proprio dire che avete il cuore di pietra.
Se, al contrario, da veri spettatori che spiano quanto succede nel film (proprio come il suo straordinario protagonista fa nella storia), vi lascerete coinvolgere dal dipanarsi di questo dramma perfetto, ne guadagnerete lacrime e sangue, emozioni vere, e la consapevolezza della vostra umanità.
Lo sconcertante Sistema della Berlino est a pochi anni dalla caduta del muro viene scosso dal suo interno, da qualcuno che imparerà la passione dalle vite degli altri e tenterà di proteggere questa cosa bellissima, ma precaria, da un regime crudele che sempre fa le sue vittime.
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Se questo film non riuscirà pian piano a penetrare la vostra corazza, superando le rigide apparenze e toccando qualcosa che si nasconde nella profondità della vostra anima, vuol proprio dire che avete il cuore di pietra.
Se, al contrario, da veri spettatori che spiano quanto succede nel film (proprio come il suo straordinario protagonista fa nella storia), vi lascerete coinvolgere dal dipanarsi di questo dramma perfetto, ne guadagnerete lacrime e sangue, emozioni vere, e la consapevolezza della vostra umanità.
Lo sconcertante Sistema della Berlino est a pochi anni dalla caduta del muro viene scosso dal suo interno, da qualcuno che imparerà la passione dalle vite degli altri e tenterà di proteggere questa cosa bellissima, ma precaria, da un regime crudele che sempre fa le sue vittime.
L'impassibile e meraviglioso capitano della Polizia di Stato ruba la scena all'affascinante scrittore. A quest'ultimo è affidato l'ingrato compito di rappresentare la parte peggiore della casta intellettual-borghese: serva del Sistema, narcisista, con moti d'orgoglio ritardatari, piegata su se stessa e che nascondendosi dietro alla pretesa di fare cultura, non sa mai dire nulla in modo diretto, nemmeno grazie.
Oscar più che meritato come miglior film straniero.
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[+] ndì a durmì
(di andrea pertigi)
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gaia
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venerdì 8 giugno 2007
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non andate a vederlo, è tutta una montatura
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Film decisamente mediocre, ma gonfiato ad arte da chissà chi nel fine settimana. Finora funziona! A Milano resiste nelle sale, ma è una palla unica!
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michael vronsky
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giovedì 7 giugno 2007
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un racconto morale sulla dignità dell'uomo
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Era duro vivere dall’altra parte del muro a Berlino Est, nella Deutsche Demokratische Republik, la Repubblica Democratica Tedesca meglio nota come la DDR. Duro in un paese dove la libertà di espressione è inevitabilmente messa in discussione da un sistema prevaricatore teso a minacciare qualsiasi forma di legittimità.
Essere minimamente sospettati di andare contro il Partito significava compromettere per sempre la propria vita. Il presso da pagare era altissimo, e in particolar modo per gli intellettuali era asfissiante vivere in questo incessante clima di tensione, poiché le persone di cultura erano quelle maggiormente ritenute possibili cospiratori.
Fautrice di questo inquietante “Maccartismo all’incontrario” era la STASI, la polizia di Stato che con i suoi innumerevoli agenti sparsi per tutto il territorio s’insinuava morbosamente nelle vite altrui, raccogliendo frammenti di quotidianità, alla spasmodica ricerca di impercettibili indizi in grado di poter distruggere un’esistenza, isolandola a tempo indeterminato.
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Era duro vivere dall’altra parte del muro a Berlino Est, nella Deutsche Demokratische Republik, la Repubblica Democratica Tedesca meglio nota come la DDR. Duro in un paese dove la libertà di espressione è inevitabilmente messa in discussione da un sistema prevaricatore teso a minacciare qualsiasi forma di legittimità.
Essere minimamente sospettati di andare contro il Partito significava compromettere per sempre la propria vita. Il presso da pagare era altissimo, e in particolar modo per gli intellettuali era asfissiante vivere in questo incessante clima di tensione, poiché le persone di cultura erano quelle maggiormente ritenute possibili cospiratori.
Fautrice di questo inquietante “Maccartismo all’incontrario” era la STASI, la polizia di Stato che con i suoi innumerevoli agenti sparsi per tutto il territorio s’insinuava morbosamente nelle vite altrui, raccogliendo frammenti di quotidianità, alla spasmodica ricerca di impercettibili indizi in grado di poter distruggere un’esistenza, isolandola a tempo indeterminato.
Questo è il lavoro che svolge Gerd Wiesler, inflessibile capitano della STASI, occhi di ghiaccio e atteggiamento severo. Un giorno gli viene ordinato di spiare il noto scrittore George Dreyman nella sua abitazione, poiché forse è un dissidente. Allora Wiesler dalla sua postazione di controllo comincia a svolgere il compito di interlocutore.
L’opera prima dell’esordiente Florian Henckel Von Donnersmarck è un capolavoro indiscusso. Ed è innanzitutto un film spiazzante per la sua attualità. In epoche come questa in cui la violazione della privacy è un’inarrestabile sopraffazione, “Le vite degli altri” è necessario per scuotere le coscienze.
Una cruda metafora sulla contaminazione che si propaga a livelli parossistici, a macchia d’olio come una terribile epidemia: la STASI attraverso i suoi microscopici insediamenti. Un parassita. Essere inanimato capace di trarre nutrimento soltanto tramite la dominazione di organismi viventi immersi nel loro pacifico habitat.
Una minaccia costante, attiva e mai esausta. “Le vite degli altri” è un film intenso, realista e mai ridondante: bravo Henckel Von Donnersmarck che ci proietta in un preciso contesto storico senza mai spettacolarizzare quelli avvenimenti, a differenza di altri registi che si servono della Storia per romanzare insulse fiction.
“Le vite degli altri” ha il grande pregio di non risultare mai agiografico, neanche nelle ultime sequenze dopo il crollo del muro, e né tanto meno cade mai nella retorica. La regia lucida e semplice ( assenti virtuosismi: spazio a campi, controcampi, importanti primissimi piani) garantisce al film un’atmosfera di implacabile freddezza, in piena sintonia con l’aria inquieta che si respirava in quelli anni.
Preda di incontrollabili paranoie, irrimediabili soprusi fisici e psicologici, l’uomo consapevole di non essere più padrone di sé stesso, cerca di porre un freno a tutto ciò: ecco che Gerd Wiesler, (uno straordinario Ulrich Muhe che recita con gli occhi) stufo della sudditanza psicologica e dello squallore esistenziale nella quale è circoscritto, a base di cibi precotti e amplessi a pagamento, decide di cambiare dando una svolta alla sua vita, prendendo una posizione determinante all’interno della situazione.
“Le vite degli altri” è un racconto morale sulla dignità dell’uomo, la tangibile dimostrazione che nonostante la prevaricazione che un regime totalitario impone, l’umanità dell’individuo affiora, e il peso della coscienza esercita un ruolo decisivo, poiché una dittatura può annichilire la mente e il corpo, ma non l’anima. L’essenza di noi stessi implica le conseguenze delle azioni che facciamo.
Ottima sceneggiatura mai prolissa, notevole la suspence che non cala mai di ritmo, eccezionali gli interpreti.
E nel finale, negli occhi azzurri di Wiesler una volta minacciosi ma ora colmi di bontà, s’intravede finalmente un barlume di speranza e redenzione per il genere umano. Commovente.
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sergio
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martedì 5 giugno 2007
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x serena
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su Hollywood ti do ragione, anche se a volte alcuni film spettacolari come i primi due spiderman sono piacevoli, pur con sceneggiature da asilo infantile, non credo che il cinema debba essere solo impegnato, bensì un contenitore poliedrico, il problema è che oggi il 90 per cento dei film sono del genere effetti speciali e basta, esagerazioni varie, storie strappalacrime stile '800, commedie da cassetta stile " l'amore non va in vacanza ", ma è quello che la gente vuole, d'altronde se in tv i record d'ascolto li fanno il G.F, la Stalla, L'isola, e sicuramente anche il " fogne " inventato ne " la cena per farli conoscere " sarebbe un successo, direi che i conti tornano in pieno, il pubblico è fatto così.
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su Hollywood ti do ragione, anche se a volte alcuni film spettacolari come i primi due spiderman sono piacevoli, pur con sceneggiature da asilo infantile, non credo che il cinema debba essere solo impegnato, bensì un contenitore poliedrico, il problema è che oggi il 90 per cento dei film sono del genere effetti speciali e basta, esagerazioni varie, storie strappalacrime stile '800, commedie da cassetta stile " l'amore non va in vacanza ", ma è quello che la gente vuole, d'altronde se in tv i record d'ascolto li fanno il G.F, la Stalla, L'isola, e sicuramente anche il " fogne " inventato ne " la cena per farli conoscere " sarebbe un successo, direi che i conti tornano in pieno, il pubblico è fatto così. Poi non voglio fare lo snob, ogni tanto va bene un film da cassetta, ma bisognerebbe variare un pò, come nella dieta!Per quanto riguarda il film in argomento dai dati che vedo a destra direi che non si può dire un successo di botteghino....Per quanto riguarda le donne mi sembra che ci converso piacevolmente, e poi, non ho mai avuto la capacità di farle tacere! Ciao!!(ribadisco 4 stelle così faccio media con la tua 1!)
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[+] "femminista!!!" non è una categoria aristotelica
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serena
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martedì 5 giugno 2007
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cosa si trova oggi al cinema (x sergio)
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Bisognerebbe riflettere su come oggi il VUOTO dilagante al cinema fa accontentare un largo pubblico di prodotti non ben riusciti (come Le vite degli altri). Magari avrai letto quella frase di Neruda in cui il cileno parlave della letteratura di tesi molto di moda ai tempi (cito a memoria): "Poverette quelle opere che non riescono a diventare anche qualcos'altro". Certo, essendo morto nel 73, magari qualcuno avrà scritto qualcosa di nuovo più recentemente... La riflessione però è ancora valida. Abbiamo gli occhi appannati per via delle montagne di stupidate sfornate a Hollywood, con cui la TV nostrana farcisce le nostre serate.
Poi per quanto riguarda i tuoi commenti sulle "femministe", mi sa che tu continui a usare le etichette del passato che fanno molto comodo per cercare di mettere a tacere le donne.
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Bisognerebbe riflettere su come oggi il VUOTO dilagante al cinema fa accontentare un largo pubblico di prodotti non ben riusciti (come Le vite degli altri). Magari avrai letto quella frase di Neruda in cui il cileno parlave della letteratura di tesi molto di moda ai tempi (cito a memoria): "Poverette quelle opere che non riescono a diventare anche qualcos'altro". Certo, essendo morto nel 73, magari qualcuno avrà scritto qualcosa di nuovo più recentemente... La riflessione però è ancora valida. Abbiamo gli occhi appannati per via delle montagne di stupidate sfornate a Hollywood, con cui la TV nostrana farcisce le nostre serate.
Poi per quanto riguarda i tuoi commenti sulle "femministe", mi sa che tu continui a usare le etichette del passato che fanno molto comodo per cercare di mettere a tacere le donne. Mi sembrano argomenti un pochino superati.
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riccardo74
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lunedì 4 giugno 2007
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donnersmarck si nutre delle regie degli altri
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Film claustrofobico che mette in scena il marcamento a uomo tra controllori e controllati che finiscono per incrociarsi in un gioco che impedisce il movimento, sullo sfondo di una società repressiva, e quindi violenta, capace di rivolgere, anche verso se stessa, questa inaudita violenza fino al dramma personale del suicidio.
Il suicidio come tragica prospettiva individuale e triste statistica sociale è senza dubbio il protagonista del film. Un protagonista negato (non esistevano statistiche ufficiali nella DDR su questo aspetto) e forse per questo ancora più insidioso e traumatico.
La dimensione labirintica tracciata dal film, è tipica dello schema del regista cinese Zhang Yimou che con Ju Dou del 1990, Lanterne Rosse del 1991 e il suo ultimo lavoro, la città proibita del 2006, racconta mirabilmente dell’impossibilità, se non con il suicidio appunto o con la pazzia, di liberarsi dalle strettoie convenzionali dell’esistenza.
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Film claustrofobico che mette in scena il marcamento a uomo tra controllori e controllati che finiscono per incrociarsi in un gioco che impedisce il movimento, sullo sfondo di una società repressiva, e quindi violenta, capace di rivolgere, anche verso se stessa, questa inaudita violenza fino al dramma personale del suicidio.
Il suicidio come tragica prospettiva individuale e triste statistica sociale è senza dubbio il protagonista del film. Un protagonista negato (non esistevano statistiche ufficiali nella DDR su questo aspetto) e forse per questo ancora più insidioso e traumatico.
La dimensione labirintica tracciata dal film, è tipica dello schema del regista cinese Zhang Yimou che con Ju Dou del 1990, Lanterne Rosse del 1991 e il suo ultimo lavoro, la città proibita del 2006, racconta mirabilmente dell’impossibilità, se non con il suicidio appunto o con la pazzia, di liberarsi dalle strettoie convenzionali dell’esistenza.
Ma ancora la capacità dell’esordiente regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck è quella di filmare la violenza in tutti i suoi aspetti. Il Capitano Gerd Wiesler (bravissimo e ispirato Ulrich Mühe) ricorda Anthony Hopkins (in una scena in cui si nasconde nella penombra dell’atrio di un portone per non essere visto dal drammaturgo Georg Dreyman, interpretato da Sebastian Koch, finisce per somigliargli anche fisicamente) e come lui, in Hannibal Lecter del silenzio degli innocenti, si nutre delle vite degli altri.
E Henckel von Donnersmarck si nutre dei grandi del cinema giocando con le regole dell’intimità della casa. Una casa continuamente violata da chi ti spia (molti gli accenti voujeristici della finestra sul cortile) in un giallo angolare, o ancora meglio a tutto tondo, dove tutto nasce e muore nella dimensione privata della casa voluta da Hitchcock nel suo “… delitto perfetto”.
Esemplare la scena in cui in ascensore l’agente della Stasi, Capitano Gerd Wiesler, si ritrova con un bambino di 5 o 6 anni, l’unico personaggio libero del film, che dice in faccia, senza mezzi termini, all’agente: “E’ vero quello che dicono di te, che sei della stasi? E tu che sai della Stasi?- risponde l’agente- Chi ti ha detto questo? Il mio papà. -Risponde il bambino-. E come si chiama il….?”. L’agente si ferma, non vuole saperlo. Sa che se verrà a conoscenza di quel nome lui dovrà svolgere per forza di cose il suo mestiere. No, lui non può chiederlo quel nome, semplicemente perché non vuole saperlo. Forse è in quel momento, in quel preciso momento, che il Capitano sente di non poter più svolgere il proprio mestiere, nella prospettiva, accarezzata anche per un solo istante, di poter essere finalmente libero.
Bravissima Martina Gedeck nei panni del personaggio femminile suo malgrado costretta al ruolo di protagonista.
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[+] x riccardo:ma perchè non lasci perdere?!!!
(di ordell)
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alberto m.
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domenica 3 giugno 2007
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ammiro i tedeschi
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Ancora una volta i tedeschi ci dimostrano che sanno fare i conti, difficilissimi, con la loro triste storia del secolo passato.
Un film europeo che non cede a facili sentimentalismi o ad una facile retorica: scarno, essenziale, romanzato quanto basta, ci fa ri-vivere da spettatori impotenti ma fortemente convolti un pezzo di storia spesso ignorato.
Una regia composta, che scruta con ferma pacatezza una storia paradigmatica, rappresentanza di tante storie.
Anche il cattivo che diventa buono, unico ammiccamento alle facili aspettative dello spettatore, viene inserito in un contesto "minimalista" per cui non provoca alcun fastidio, anzi una sorta di nemesi liberatoria.
Ottime le interpretazioni senza fronzoli di Sebastian Koch e Ulrich Muhe, a dimostrazione di quanti talenti si aggirino per l'Europa.
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