Anno | 1968 |
Genere | Cortometraggio |
Produzione | Italia |
Durata | 26 minuti |
Regia di | Carmelo Bene |
Attori | Carmelo Bene, Lydia Mancinelli . |
Tag | Da vedere 1968 |
MYmonetro | 3,25 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 1 settembre 2011
Carmelo Bene chiuso in una stanza, senza avere legami con il mondo esterno.
CONSIGLIATO SÌ
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Entrato nella stanza 805 dell'Hotel Hermitage, un uomo - interpretato dallo stesso Carmelo Bene - si siede davanti ad un mazzo di fiori blu. Si sveste, fuma, fissa la sua immagine allo specchio, si getta sul letto, cammina, continua ad agitarsi. Poi la visione di una donna sconosciuta, simile nell'aspetto alla Renée Falconetti di La passione di Giovanna d'Arco di Dreyer. Un biglietto scritto per lei, mille altri rituali, specchi barocchi, e la simulazione di una risposta.
Ispirandosi ad un racconto del suo Credito italiano V.E.R.D.I., Bene debutta dietro alla macchina da presa con un cortometraggio che è tanto un'efficace dichiarazione di poetica quanto un esempio di cinema d'avanguardia di spiazzante lucidità, sebbene fosse considerato dallo stesso autore solo come una verifica generale per il successivo esordio nel lungometraggio di Nostra Signora dei Turchi (1968). Nell'utilizzo della voce off come motivo conduttore, nei riferimenti biblici, nel tema portante della solitudine e nella ricerca di un linguaggio espressivo in grado di valicare i limiti della tradizione c'è già la chiave di un'opera cinematografica che nella sua brevità - cinque anni, dal '67 al '73, e altrettanti titoli - ha lasciato un segno indelebile nella storia della settima arte. Volutamente ostico e spesso inaccessibile, questo primo lavoro breve è anche una straordinaria prova di attore, un gioco-forza estremamente fisico, la messa in immagine di un corpo che lotta contro se stesso e cerca di divincolarsi dai propri angusti limiti. La mancanza di un senso comune, nelle azioni compiute dal protagonista e nella progressione della vicenda, trova legittimità in una visione a flusso continuo che somma reminiscenze storiche, ricordi famigliari e ossessioni senza apparente soluzione di continuità, secondo il metodo caro all'artista salentino di "aggiungere per sottrarre". Asfissiante, tragico e ironico come gli altri tasselli dell'itinerario cinematografico di Bene, che sceglie Lydia Mancinelli, presenza fissa nel suo lavoro per un lungo periodo, per interpretare il ruolo dell'estatica donna sconosciuta.
Secondo cortometraggio di uno dei geni scomodi nostrani per eccellenza.Impossibile da apprezzare o anche solo da capire se non si ha già una certa conoscenza dell'interprete/regista.Una riflessione dissacratoria e decadente sulla solitudine di Bene stesso,che usa in maniera ironica frammenti di arie verdiane sottolineando vagheggiamenti alla madre-amante,e semi-parodizza le maschere [...] Vai alla recensione »