Si presenta come un remake del film di Hathaway con John Wayne, è in realtà un'opera molto personale, che bene s'inserisce all'interno della filmografia dei Coen e che al tempo stesso rispetta maggiormente il romanzo di Charles Portis. Narrativamente costruito con la tecnica del flashback, nello specifico sul racconto della non più giovane protagonista, “Il Grinta” non manca, come da buona tradizione Coen, di dotarsi di un saldo contorno biblico, a partire dalla citazione iniziale dal Libro dei Proverbi, fino alle battute dei personaggi. Battute impregnate non tanto dalla moralità del sentimento religioso, quanto dalla presenza nel mondo dei vivi di leggi ultraterrene che regolano, parrebbe in maniera inconscia, il comportamento e l'agire delle pedine in campo (presente e puntuale è infatti il riferimento alla contrapposizione tra legge naturale e legge postiva). Ma non si tratta certo di una pellicola che si può ridurre alla sola presentazione un West guidato dalla Parola di Dio. Nient'affatto, perchè è anche e soprattutto l'avventura di una ragazzina, Mattie Ross, che al sottoscritto ha ricordato i migliori personaggi di Mark Twain, quella loro percezione del viaggio, della scoperta di sé e del processo di maturazione, nel bene e nel male, che li ha resi celebri e ha reso grande, grandissimo, se mi permettete, il loro inventore. Tormentata da un'ansia di vendetta estremamente lucida e razionale (tanto che si potrebbe concepire “Il Grinta” come un “unicum” nella rosa dei film che si occupano, appunto, del tema della vendetta) che non le permette, simbolicamente, di dormire per tre giorni di fila, tra la compagnia dei morti (sempre fisicamente presenti) e quella di una vecchietta dal sonno agitato, Mattie incrocierà l'universo degli adulti nei suoi lati più violenti ed estremi, ben rappresentati dal magnifico Jeff Bridges nei panni dello sceriffo Rooster Cogburn, figura la cui profonda e sostanzialmente problematica umanità emergerà nel corso del film tra sorsi di whisky e colpi di Colt, ed è curioso, a parer mio, che il primo, nel dipanarsi della vicenda, a trattarla veramente da adulta e da donna matura sia uno dei principali antagonisti, ossia “Lucky” Ned Pepper. Il processo di crescita e maturazione di Mattie, drammatico e spietato come il mondo che la circonda, troverà simbolicamente conferma e suggello nella perdita dell'avambraccio, in seguito al morso di un serpente, nell'inaspettatamente malinconico finale, influenzato da una certa poetica alla Spoon River, ma anche dal “tempus fugit” virgiliano e accompagnato da tenere, sottili note di piano. Comparse tipicamente coeniane sono il veterinario vestito con una pelliccia d'orso e il fuorilegge ritardato che imita i versi degli animali. Visivamente, e non solo, speciale.
[+] lascia un commento a marco michielis »
[ - ] lascia un commento a marco michielis »
|