•  
  •  
  •  
Apri le opzioni

Rassegna stampa di Tinto Brass

Tinto Brass (Giovanni Tinto Brass) è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, montatore, assistente alla regia, è nato il 26 marzo 1933 a Milano (Italia). Tinto Brass ha oggi 91 anni ed è del segno zodiacale Ariete.

GIANNI VALENTINO
Il Venerdì di Repubblica

Ha una dichiarata passione per le belle donne e per il cinema erotico. Ma la tentazione cui il regista veneziano non riesce davvero a resistere sono i sigari. un amore per cui, anni fa, perse letteralmente i sensi.
«Wonderful performance». Così disse sir Arthur John Gielgud, tra i più importanti attori shakespeariani d'Inghilterra, quando vide la reazione di Tinto Brass al suo primo vero cubano. «Eravamo a cena, durante le riprese di «Caligola» racconta il regista veneziano «e mi offrirono un sigaro. Nonostante, all'epoca, fumassi quattro pacchetti di sigarette Gauloises senza filtro al giorno l', esperienza fu drammatica. Ebbene, mentre parlavo con il mio attore Malcolm McDowell, assaggiai il cubano. L'effetto fu tale che finii con la testa nel piatto, perdendo i sensi. Fortunatamente a pochi passi c'era un mio amico zingaro, una sorta di guardia del corpo che ogni tanto ancora oggi lavora con me. Ci pensò lui a soccorrermi. Mi riempì la schiena di cazzottí violentissimi e piano piano sono rinvenuto. Anche se un po' m'è dispiaciuto perdere quelle visioni di giostre e caroselli che avevo nella trance. Gielgud non aveva capito niente: pensava fosse recitazione. Macché. Quella sera è nata l'avversione per le sigarette e il mio amore profondo peri sigari con tabacco Havana. Era il 1976».

MARIO SOLDATI

Tinto Brass, Tinto Brass... Comincio col dire che mi piace il nome. Sono intuizioni che ben difficilmente «go wrong». Vorrei tanto sapere se è parente, figlio, nipote di Italico Brass. Brass è un pittore veneto: giuliano, anzi, come lascia supporre subito il primo nome: Italico. È nato, infatti, a Gorizia, nel 1870, è morto a Venezia nel 1943. Era un pittore, fino a una trentina di anni fa, almeno in Italia notissimo. Domiciliato a Venezia, dipingeva quasi esclusivamente paesaggi veneziani e scenette d'ambiente veneziano, con molta bravura e piacevolezza postimpressionista: con una pennellata franca, rapida, allegra, sciabolante, quasi furiosa.
Il bello è che gli stessi aggettivi potrebbero essere riferiti al modo di girare di Tinto. Anche questo primo nome, Tinto, fa pensare a un abbreviativo di Tintoretto, o di Tintor: e che, perciò, in qualche modo, gli sia stato imposto a causa di Italico. Né il presagio del nome fallì. Se mai, da quando il cinema esiste, il modo di girare, cioè il modo di usare la macchina da presa, è stato rivelatore e caratteristico di una personalità, questa è proprio la volta. A parte il valore estetico, di cui poi diremo, non esiste nessun altro film italiano e straniero, da me visto, che mostri un cinema più lontano dalla forma teatrale e più vicino a quella letteraria pura. Se fosse uscito soltanto dieci anni fa, questo film avrebbe fatto gridare dallo stupore. Ma è certo che, in questi dieci anni, a poco a poco, tutta una schiera di registi, sempre meno timidamente, ha svincolato il cinema dalla maniera rigorosamente oggettiva di un'azione drammatica che si svolga attraverso personaggi apparentemente autonomi, per avvicinarlo alla maniera di un racconto, di una divagazione, di una serie di riflessioni, che avvengano nell'animo di un personaggio che dice «io», e che è, o più o meno, assimilato all'autore medesimo del film, ossia al regista. Abbiamo visto che tale maniera, tanto in voga nella letteratura narrativa di oggi, è stata adottata anche dall'Anderson in Io sono un campione. Tuttavia, le sensazioni e i ragionamenti del protagonista, in questo film, erano organizzazioni intorno a uno schema di racconto drammatico abbastanza tradizionale: ricordiamoci che Anderson viene, appunto, dalla regia teatrale. Nel film di Brass, invece, il racconto e il dramma, che esistono, sono immersi in una forma addirittura diaristica, rotti a ogni istante dal ritmo apparentemente casuale delle divagazioni e delle associazioni personali: come non accade neppure nel più moderno dei drammi e come, invece, è prerogativa di tanti romanzi di oggi: per non fare che esempi italiani: Pavese, Vittorini, Brancati...

GIAN PIERO BRUNETTA

L'aggettivo che la critica adotta in maniera concorde per definire l'opera prima di Tinto Brass, Chi lavora è perduto, del 1963, è «anarchico»: il film pare contenere una rabbia, uno spirito di rivolta e di rifiuto di ogni forma di stabilizzazione sociale, ideologica, istituzionale, da apparire diverso da tutta la produzione degli altri esordienti. C'è chi però tenta di capovolgere il discorso comune, per vedere come il film metta in opera una quantità di atti di mediazione superiori a quelli di rottura. La rottura, in pratica, non sarebbe altro che scelta di un punto di vista esterno alla dinamica del mondo contemporaneo: «Da Venezia questo film guarda il mondo - scrive Michelangelo Notarianni - il capitalismo, il comunismo, la Svizzera, il proletariato, la borghesia, la Chiesa, lo Stato, la fabbrica e il manicomio, le contese ideologiche del nostro tempo». Sullo sfondo della prima opera di Brass restano effettivamente questi e altri temi, mentre in primo piano c'è una storia fatta di tanti segmenti in parte irrelati tra loro, come scomposta è la vita del protagonista. Brass, a suo modo, cerca di raccontare come l'alienazione sia ormai un male diffuso e lo fa sorridendo e seguendo il suo protagonista che deambula per le calli di Venezia ripetendo la frase «Che stanco che so'».

PRESSBOOK

Nato da una severa famiglia di origine giuliana, e nipote del pittore Italico Brass, Tinto Brass si trasferì giovanissimo a Venezia. Nel 1957 si laureò in Giurisprudenza a Padova. Appassionato di cinema più che di giurisprudenza, sul finire degli anni Cinquanta trascorse un biennio come archivista alla "Cinémathèque" di Parigi, avvicinandosi agli ambienti della nascente Nouvelle Vague. In seguito tornerà in Italia come aiuto-regista di Alberto Cavalcanti.
Già assistente di maestri del cinema del calibro di Roberto Rossellini e Joris Ivens, esordì nella regia con il lungometraggio In capo al mondo (1963), anarchico apologo sul disagio giovanile, del quale curò anche la sceneggiatura e il montaggio. Con una sorta di "anarchismo umoristico" il film narrava circa i disagi di un giovane che stenta ad integrarsi nella società, ma questa insofferenza verso il potere e le sue istituzioni non venne apprezzata dai censori dell'epoca, che gli imposero di rigirare la pellicola da capo. Per tutta risposta Brass gli cambiò solo il nome (lo denominò Chi lavora è perduto), rendendo ancora più esplicito il messaggio politico-sociale.
Dopo essere stato coinvolto, con alterni risultati, in alcune produzioni di carattere commerciale (la fiaba "fantascientifica" Il disco volante del 1964; La mia signora con Alberto Sordi del 1964, un film collettivo del quale firma due episodi accanto a Luigi Comencini e al suo estimatore Mauro Bolognini; lo spaghetti-western Yankee del 1966), il regista tornò a moduli espressivi più intimi con i successivi Col cuore in gola (1967), L'urlo (1968), Nerosubianco (1969; nella cui locandina il regista, scrivendo in stampatello le lettere dalla seconda alla quinta, creava un emblematico gioco di parole), Dropout (1970) e La vacanza (1971), ultimo film brassiano in cui l'erotismo non la fa da padrone.

Vai alla home di MYmovies.it »
Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | Serie TV | Dvd | Stasera in Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | TROVASTREAMING
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati