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Rassegna stampa di Moana Pozzi

Moana Pozzi (Anna Moana RosaPozzi) è un'attrice italiana, sceneggiatrice, è nata il 27 aprile 1961 ad Alessandria (Italia) ed è morta il 16 settembre 1994 all'età di 33 anni a Lione (Francia).

EDMONDO BERSELLI
L'Espresso

Aveva trasformato un mestiere abbastanza tremendo in una specie di tesi di laurea permanente. Foucault, Derrida, abissi psicologici, massimalismi della fisicità. Parlava del suo corpo come di uno strumento tecnico, un’estensione della volontà da usare in modo estremo. Collezionava flirt e passioni di alto livello mondano, citandoli quasi sempre per nome e cognome: da Luciano De Crescenzo a Marco Tardelli, da Renzo Arbore a Massimo Troisi, da Francesco Nuti a Nicola Pietrangeli con tanto di voti per le loro qualità personali e amorose, voto minimo al grande centrocampista della Roma Falcao.
Eppure, fuori dalla mondanità romana e dal giro dei morti di fama, non aveva esitazioni a farsi accarezzare nuda, durante i suoi spettacoli furibondi e strampalati con Ramba, cioè Ileana Carusio, e l’altra “puledra di razza della scuderia di Riccardo Schicchi”, l’italo-tedesca Petra Scharbach, concedendosi a folle di gente sudata e male in arnese che allungava disperatamente le mani. Talmente sensibile al richiamo della sessualità da girare metri e metri di pellicola su un’orgia con quattro maschi, per poi filare «a farmi scopare in bagno appoggiata a un lavandino» con il più attraente di questi, un tale Marc, passando dalla brutalità del film porno all’urgenza desiderante della realtà.

MAURO GERVASINI
Film TV

Come si diventa icone della cultura popolare? Vivendo scandalosamente e bruciando a doppia velocità. Come Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison... Oppure Marilyn, che a lei piaceva tanto... Ma no, forse Moana (nome autentico: in polinesiano significa “dove è più profondo il mare”) era soprattutto una rockstar, anche se il suo unico eccesso era nell’amore. Con un modo tutto suo, perché scandalizzava soprattutto per la sua professionalità, la sua preparazione, la sua voglia di essere attrice attraverso il corpo ma non solo per il corpo. Distante dagli altri “cliché” delle porno-interpreti di quegli anni ruggenti e rampanti, gli eighties, così lontani eppure vicinissimi. Lei a modo suo li aveva riempiti con la sua presenza mai ingombrante, mai volgare eppure senza un briciolo di quello che comunemente (e moralisticamente) si chiama “pudore”. Diversa soprattutto da Cicciolina, amica e rivale che poi l’accusò di copiarla o di aver vissuto di rendita a sua immagine e somiglianza. Niente di più falso: Ilona Staller era la pornostar dei sogni bagnati di una generazione assuefatta al virtuale, la si vedeva sempre in flou, la si associava a contesti bianchissimi, quasi asettici, profumati di bolle di sapone come in lunghi spot al ralenti. Moana no. Lei bucava/bruciava io schermo ed era quasi tattile, era tanta ed era nostra, era carne e non sogno. Lo capì Federico Fellini, che la chiamava “la mia Moanina“, e che a Marcello Mastroianni fa dire, quando la vede al solito generosa in Ginger & Fred, «Chiappa tonda, fava gioconda!». Era nostra perché bellezza non impossibile, popolana nonostante i modi eleganti e una raffinatezza a volte ostentata, a volte non del tutto naturale, tipica delle persone che vorrebbero apparire l’esatto contrario non di ciò che sono ma di ciò che tu pensi che siano. La sua carriera è un film aperto. Di lei si sa tutto dalla sua viva voce, diventata testimonianza nel suo libro, ormai di culto, La filosofia di Moana, del 1991. E adesso tutto di lei ritorna, rielaborato e rimontato stile Blob, in Moana di Mardo Giusti (Mondadori, 189 pp.’ € 15). Tornano i suoi racconti e le testimonianze degli altri, chi vedeva in lei una diva e chi una puttana (questi ultimi, almeno pubblicamente, furono però una minoranza), tornano le liste degli amanti, con i voti ai più focosi, i nomi e i cognomi dei potenti, degli attori, dei calciatori che passarono dal suo letto una notte o più. Tornano le opinioni che di lei aveva l’uomo della strada, di solito adorante se suo spettatore, e a volte quelle della donna della strada. Da quest’ultima molto odiata e molto amata, Moana. Perché vista come icona di cui essere gelose (chissà se anche invIdiose) oppure come “mercante” del proprio corpo e quindi, per estensione 51mbolica, del corpo di ogni donna secondo quell’ottica femminista che lei non condivideva. Moana, come è noto, faceva quello che faceva per sua scelta. O meglio, semplicemente, perché le piaceva farlo; e questo, più dei resto, creava scandalo. Non la dostringeva nessuno a fare l’amore davanti a una cinepresa, e ogni volta con un uomo diverso. E mai, neppure alla fine, quando una morte precoce e cattiva stava per portarsela via, si fece complice dei media che la descrivevano come in cerca di redenzione. La nuova Maddalena. Fu, invece, Moana fino all’ultimo. Che non vuole dire a una sola dimensione, bella o brutta, piacevole o disgustosa che sia. Anche chi prosegue adesso il suo processo di santificazione dovrebbe arrendersi all’evidenza della sua umanità. Si è voluto a tutti i costi scavare oltre la maschera, andare dietro il personaggio, e ci si è trovati di fronte a una persona che lontano dai set a luci rosse ostentava una sicurezza di sé a tratti sospetta; che a volte a fare la pornostar intellettuale che sul comodino tiene De Sade e riflette a voce alta sul concetto di volontà in Nietzche ci “faceva”. E per dimostrare agli altri di essere sempre naturale, spontanea e pronta, senza accorgersene tornava a recitare. Moana fragile, anche. In amore, per esempio. E chissà che proprio questa fragilità, alla fine dei suo percorso svelata con la solita morbosità dai giornalisti (specie se televisivi), non l’abbia riavvicinata al pubblico femminile. Che per strada la fermava e le chiedeva l’autografo, facendole i complimenti per la sua... libertà.

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