•  
  •  
  •  
Apri le opzioni

Rassegna stampa di Frank Capra

Frank Capra è un attore italiano, regista, produttore, è nato il 18 maggio 1897 a Bisacquino (Italia) ed è morto il 3 settembre 1991 all'età di 94 anni a La Quinta, California (USA).

PIETRO BIANCHI

Tra i registi di Hollywood: Ford, Vidor, Wyler, Wilder, Sturges, Huston, che hanno un loro stile, una loro personalità, una loro concezione del mondo, il palermitano Frank Capra ha saputo conquistarsi una posizione singolare. Celebre presso i pubblici del cinematografo, che spesso però lo confondono con buoni artigiani come Clarence Brown o George Cukor, Capra non è del tutto in odore di santità presso gli intellettuali puri che gli rimproverano l’eccellente mestiere, la facilità dell’ispirazione e il semplicismo ideologico. È giunto, pare, il momento di vederci un po’ chiaro; anche perché Frank Capra è uno del nostro sangue, un frutto saporito della seconda generazione d’emigranti italiani nel Nord America. Uno degli ultimi film, nell’ordine di presentazione italiana, è Meet John Doe (Arriva John Doe, 1941), una pellicola tipica del Capra minore, del Capra meno impegnato ma ricca del solito portentoso mestiere e di quell’ispirazione sentimentale che sta, s’intenda la faccenda con un grano sale, tra il Tasso e il De Amicis. In Arriva John Doe, Capra sviluppa il tema da lui affrontato con pieno successo Mr. Smith Goes to Washington (Mister Smith va a Was~ ington, 1939). Ancora una volta il semplice uomo di Capi ha a che fare con i «bosses» della politica americana; con editori di giornali privi di scrupoli, con ragazze che portano nella lotta per la vita uno spregiudicato realismo, che nascondono un cervello freddo e calcolatore sotto una angelica apparenza. Come sempre, l’eroe buono di Capra vive le difficoltà della politica, dell’economia e dell’amore, dotato di una capacità di bene quasi contagiosa che s’attacca, come una pappa molle, agli esseri meschini e avidi che lo circondano. È da aggiungere che anche le belle fanciulle si sciolgono, nelle ultime sequenze, davanti all’eroe come neve al sole. Questi sono però, più o meno, i limiti di Capra: limiti che appaiono in quasi tutte le sue opere, meno una, il capolavoro, cioè It Happened One Night (Accadde una notte 1934). È ora venuto il momento, esaminando analiticamente il fenomeno, di segnare le caratteristiche di questo autore così interessante e così, malgrado l’apparenza bonaria eretico nel cinema americano d’oggi. Nato a Palermo nel 1895 ed emigrato con i suoi negli Stati Uniti nel 1903, Capra debutta nel cinema dal 1921. Ha conquistato a Hollywood i galloni di generale, venendo, come si dice, dalla gavetta; studi tecnici secondari, poi autore di brevi comiche, assistente regista, disoccupato, e finalmente direttore artistico dal 1926. Le premesse di Capra sono da ricercarsi in questi tre punti: nell’origine di emigrante, negli studi non completi, nell’ambiente che lo ha visto adolescente e poi uomo, la California. Nell’origine da una famiglia di emigranti, venuta dal mezzogiorno d’Italia, è da ricercare il punto dolente e nello stesso tempo il motivo vitale dell’ispirazione di Capra: la malinconia che sempre accompagna lo sradicato, il senso di inferiorità di chi si sente straniero fra uomini indifferenti, sicuri di sé, di altre stirpi, di altra religione, di altra lingua. Negli studi tecnici è, subito, il punto debole di Capra: cui la povertà e l’ambiente hanno impedito una formazione culturale più solida, più approfondita, più vasta. Il semplicismo ideologico di questo autore è probabilmente da ricercarsi negli anni in cui Capra ha studiato troppo manuali di ottica e di costruzioni edili, ignorando completamente, non si dice Virgilio o Platone, ma i classici locali: Poe, Melville, Thoreau, James. Nel clima felice della California, che ha tanti punti di contatto con il mezzogiorno europeo, in quel sereno cielo pagano, nella comunità di genti accorse dai più diversi punti del globo: messicani e piemontesi, armeni e russi, vicino agli anglosassoni delle sette protestantiche più stravaganti, Capra ha avuto modo di farsi un’idea della società umana quanto mai ottimistica, mentre non gli sfuggiva la fondamentale diversità dei caratteri. Questa è la forza di Capra: la capacità di creare personaggi, di delineare tipi umani, di far rivivere con eguale intensità, con la stessa coerenza morale, milionari della «fine fleur» autoctona e artigiani di recente ceppo europeo; in più i vagabondi caratteristici suoi, che egli ha fatto scaturire, con bella obbiettività, da tutte le stirpi. Italiano, e quindi sensibilissimo all’appello muliebre, con la delicatezza però dell’uomo del Sud, Capra ha esordito come regista notevole con quel Submarine (Femmine del mare, 1928) in cui veniva fuori, trattata già con mano maestra, una delle problematiche più sentite dalla sua gente, la gelosia amorosa.Il racconto piacque molto, sebbene fosse chiaro che si trattava di un’opera che non andava molto più in là di un riuscito film commerciale. Alcuni anni dopo, in Ladies of Leisure (Femmine di lusso, 1930), Capra mostrava la sua vera qualità, e si rivelava un nuovo, grande regista. Stavolta al centro del dramma era una donna: quella Barbara Stanwyck che sarà l’attrice preferita da Capra, una donna sensibile, molto intelligente, fisicamente attraentissima, e provvista di una volontà di ferro. Nel film si narrava l’avventura di una ragazza, fuggita di notte da un battello da diporto dove le cose stavano volgendo al peggio, e ricoverata presso un pittore onesto e sentimentale. In fondo non era che una delle innumerevoli conversioni al perbenismo di una ragazza, dal passato un po’ burrascoso ma dal cuore non ancora contaminato, cui ci ha abituati l’età romantica; ma in Capra il motivo era riscattato sia dall’aver immerso la sua Violetta nell’ambiente americano che, ipocritamente, faceva finta di ignorarne l’esistenza; sia dall’aver affrontato il racconto con una capacità stilistica, che era già originalmente sua e che egli non ha più superato. Come è noto, in America è molto più facile che altrove difendersi dagli occhi e dal giudizio del vicino. L’uomo e la donna son veramente soli; il passato non conta, l’avvenire è incerto; e il presente è condizionato soltanto dagli incontri del momento. Questo spiega come una ragazza in una posizione ambigua come la Barbara Stanwyck del film possa pensare a una vita nuova, completamente disancorata dalle remore del passato. Si aggiunga (se i ricordi di un film di quasi venti anni fa, e non più rivisto, non ci ingannano) che il racconto si svolgeva in gran parte nello studio del salvatore, cioè in pochi metri di spazio. Era probabilmente la prima volta che la camera assumeva quel ruolo di «occhio psicologico», cui poì ci hanno abituato il Welles di Citizen Kane (Quarto potere, 1941) e il Wyler di The Best Years og Our Lives (I migliori anni della nostra vita, 1946). L’anno dopo riusciva a Frank Capra un gran colpo: un’opera singolare, che fa macchia nella sua carriera, che è perfettamente riuscita e che, nella sfera delle ambizioni «ideologiche» del regista, non avrà che seguiti deplorevoli. Si tratta del film intitolato The Miracle Woman (La donna del miracolo, 1931) sempre con Barbara Stanwyck. Era la storia adombrata dalla realtà (le cronache avevano panlato a lungo dì una certa Aìmée Mac Pherson la quale, dopo aver fondato una nuova chiesa ed essere in fama di santità, era dovuta fuggire per nascondere il frutto di una sua scappatella amorosa) di una ragazza che, in un clima di fiera e di santuario, si faceva adorare da migliaia e migliaia di fanatici. Essa prende poi, per merito dell’amore, la via per una esistenza meno rutilante anche se più onesta. Il «fait divers» americano aveva offerto a Capra uno spunto stupendo ed egli ci ha dato con La donna del miracolo una pellicola di grandissimo interesse psicologico e sociale. Colmo di comprensione e di carità, l’occhio di Capra segue la vicenda della profetessa senza giudicare. È un’opera originale ed è un gran peccato che sia stata inghiottita come tante altre meraviglie del cinema di una volta. Capra aveva ormai imbroccato la sua strada. Col capolavoro Accadde una notte, nato quasi per caso e che ricorda, sia per la modestia della sua nascita che per il successo riportato, l’avventura analoga di Roma, città aperta, il regista italo-americano era riuscito ad assicurarsi l’alleanza del capitale, attratto dal successo dei suoi film, e di un piccolo pubblico illuminato. Capra ha avuto una serie di successi. Anche nel Bitter Tea of general Yen (L’amaro tè del generale Yen, 1933) con brevi sbavature sentimentali, è da ricercare uno dei racconti di avventure più riusciti in quegli anni. Molti poi ricordano i tre piccoli capolavori seguenti: Broadway Bill (Strettamente confidenziale, 1934) con Myrna Loy; Mr. Deeds Goes to Town (È arrivata la felicità, 1933) con Gary Cooper; Lady for a Day (Signora per un giorno, 1933) di cui sono protagonisti una caratteri-sta anziana, May Robson, e il rimpianto Warren William. Si dice comunemente che non si può costringere gli artisti ai capolavori. Questo può essere vero per Capra, come per Picasso o per Strawinski. Il fatto è che Capra, stanco dei «piccoli capolavori», ha allargato temerariamente le maglie della sua rete, credendo di fare una più grossa preda. Col risultato che gli sono scappati anche i pesci più piccoli. L’involuzione comincia con una sorta di mito platonico, però tradotto in termini da «Reader’s Digest»: Lost Horizon (Orizzonte perduto, 1937) e continua, dopo il simpatico Mr. Smith va a Washington, con It’s a Wonderful Life (La vita è meravigliosa, 1946). Che farà ora Capra? Forse la domanda è illecita, in quanto un artista, che ha già dato molto, ha il diritto a un certo punto di ritirarsi sotto la tenda, di pensare ai quattrini o alla salute. Nel caso di Capra, di questo italiano nostalgico, che ha il cuore di un grande poeta e la preparazione culturale di una maestrina, tutto è possibile. Da una parte, quella più semplice, la via è sbarrata dai ricordi del passato; dall’altra, la più ambiziosa, la strada è ostruita da qualcosa che è più fonte delle buone intenzioni. Esiste una «terza via» anche per Capra? Soltanto l’avvenire potrà dircelo.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

A sei anni arriva in California con i genitori e sei fratelli. Ragazzo, svolge molti lavori per aiutare la famiglia e mantenersi agli studi (si diploma perito chimico). A Hollywood trova impiego come montatore e assistente di un regista di short comici. Hal Roach lo assume come gagman. Nel 1925 fornisce spunti comici a Harry Langdon e dirige tre dei suoi maggiori successi, in co-regia con Harry Edwards: Di corsa dietro a un cuore (in originale Tramp Tramp Tramp, 1925), La grande sparata (The Strong Man, 1926), Le sue ultime mutandine (Long Pants, 1927). Dopo una infelice trasferta a New York, per dirigere un film con Claudette Colbert (For the Love of Mike, 1927), ottiene un contratto dalla Columbia, con la quale rimarrà per oltre un decennio, divenendone il maggiore esponente. I primi film vedono al centro delle storie - pasticci sentimentali di buona struttura - Barbara Stanwyck: Femmine di lusso (1930) e Proibito (1932) i più interessanti. Ma è soltanto con Accadde una notte (1934), insieme a una recuperata Claudette Colbert, la quale avrà per questo l'Oscar, come lui del resto (ne riceverà altri due), che Capra scopre quale dev'essere la sua vera vocazione di regista: narratore di ottimistiche e graziose favolette che mostrano come, in un'America squassata dalla crisi, gli uomini di buona volontà. possano superare ogni ostacolo.

UGO CASIRAGHI

Milano, 1977. Puntualissimo secondo il programma, alle nove di sera del Primo Maggio il quasi ottantenne Mr. Capra fa il suo applaudito ingresso nel Salone Pier Lombardo (il teatro del povero Franco Parenti), interrompendo la proiezione di un suo film del 1931, La donna del miracolo. L'avevamo appena visto sullo schermo, in uno special televisivo a colori di quarantadue minuti, realizzato l'anno precedente: Frank Capra, l'uomo prima del titolo, con un riferimento diretto alla _sua autobiografia pubblicata nel -1971 e recentemente tradotta in italiano presso l'editore Lucarini: Il nome sopra il titolo. Dopo Griffith, Chaplin, DeMille e qualche altro, ma tra i primi con Disney nel cinema americano sonoro, il piccolo siciliano si era infatti conquistato alla Columbia questo diritto.
Intervistato nello special da Richard Sehikel, critico di "Time" (la rivista che a suo tempo gli aveva naturalmente dedicato una copertina), e da John Kuiper, archivista della cineteca della Biblioteca del Congresso; accolto in sala da Morando Morandini che, a nome dei critici milanesi, gli rivolge un indirizzo di saluto e gli fa dono d'un volume di fotografie su Milano; interrogato da Maurizio Porro, che fa giusto in tempo a porgli una domanda sul ritmo particolarmente accelerato del suo cinema...: ecco finalmente il mitico Frank in carne e ossa, rubicondo e gentile, molto ben conservato, vestito in modo colorito, da giovanotto d'altri tempi che vuol farsi notare ai nostri. Reduce da una visita al paese natale - Bisacquino, Palermo, Italy - che in questi giorni ha proclamato una giornata di lutto per la scomparsa del più illustre dei suoi compaesani; fresco di un discorso, il meno accademico possibile, ai critici di cinema e agli allievi del Centro Sperimentale in Roma, Mr. Capra risponde anche a Milano, praticamente con la velocità dei dialoghi dei suoi film, evocando i suoi inizi di uomo che s'è fatto da sé, di cineasta che non sapeva di esserlo, e che ha sviluppato da solo un suo stile perché, ingegnere chimico, non aveva alcuna esperienza né di teatro né d'altre arti, ed è stato, dunque, «studente e maestro» di se stesso.
Ma per Milano ha una battuta cortese: «Sì, ero orgoglioso dei miei film - ma solo fino a oggi pomeriggio. Oggi ho percorso a piedi il centro della vostra città. Sono, come vedete, piuttosto basso di statura. Ebbene, di fronte al Duomo, mi sono sentito piccolissimo. Quale lunga tenacia nell'uso di strumenti manuali. E la Scala: quante generazioni hanno suonato, cantato e danzato in questa sorgente d'arte. Così, i miei film di colpo non erano niente. Ho cercato di infondere un po' di speranza, di felicità e di coraggio, ma di fronte a queste cose, che sono lì da tanto tempo, ho fatto veramente poco».
Incorreggibile Mister Capra, ecco un bel discorsetto, degno di quelli che sembravano improvvisati, ma erano accuratamente scritti da Robert Riskin, la sua anima gemella (come Dudley Nichols per John Ford, come Pr6vert per Carn6, come Zavattini per De Sica...); generoso e simpatico Mister Capra, che allora li metteva in bocca ai suoi alter ego spilungoni - Gary Cooper come Mr. Deeds, James Stewart come Mr. Smith - nelle loro crociate di provinciali contro i templi del danaro, della giustizia e della politica. Come scrisse un penetrante critico americano, Andrew Sarris, «la sequenza obbligata di molti film dì Capra è la confessione di aver fatto sciocchezze, resa nei modo più pubblico possibile». Quella sera di Primo Maggio, a ottant'anni che stavano per suonare (il 18 dello stesso mese), il famoso regista - morto il 3 settembre 1991, ad anni novantaquattro - era invidiabilmente fedele al proprio copione di gioventù.

Vai alla home di MYmovies.it »
Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | Serie TV | Dvd | Stasera in Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | TROVASTREAMING
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati