C'è ancora domani

Il neoralismo di Cortellesi e la forza di squarciare il velo

Da anni non mi capitava di assistere all'applauso finale del pubblico in sala: è uscito spontaneo e convinto dalle mani degli spettatori, come un ringraziamento a Paola Cortellesi e alla sua prima opera da regista. Sinceramente temevo un po' la scelta del bianco e nero, temevo fosse un vezzo autoriale, e invece è esattamente il contrario, è solo il desiderio di riagganciarsi a quel cinema degli anni Cinquanta, popolare, semplice, diretto, un neorealismo ammorbidito che già faceva presagire la stagione della commedia all'italiana, risate e amarezze ben intrecciate, pene e gioie della gente comune raccontate in modo spigliato e coinvolgente. Il film inizia con il risveglio mattutino di Delia e Ivano: lui la guarda e subito le molla un ceffone, quasi a ristabilire da subito il feroce ordine familiare. Vivono con i tre figli nel sottoscala di un palazzo a Testaccio, tirano avanti faticosamente: soprattutto Delia deve farsi in quattro per rimediare qualche soldo, fa iniezioni, ripara indumenti, lavora in un laboratorio dove si costruiscono ombrelli, e poi ci sono i bambini, la casa, il pranzo, la cena, una vita di puro sacrificio. In cambio solo botte da quel marito, un pater familias cavernicolo, ignorante e violento. Ma quasi tutti gli uomini sembrano così: il padre di Italo, definitivamente allettato a casa, è ancora più bestiale, teorizza il pestaggio delle donne come unica regola per mantenere l'ordine in famiglia. Ma anche il giovane fidanzato di Marcellina, la figlia maggiore di Delia e Ivano, sembra zucchero ed è fiele, sorride ma è pronto a trasformarsi in un energumeno orrendo. Il motore del film è tutto qui, nel racconto di un mondo in cui le donne sono vittime inerti e quasi rassegnate della brutalità degli uomini. E anche tra loro la solidarietà sembra ancora incerta: nel cortile del palazzo le parole tagliano come coltelli, è tutto un pettegolezzo odioso, una rivalità insensata. Ma Delia non si arrende, sogna ancora una vita diversa, ogni tanto vede un vecchio spasimante che vorrebbe portarla via con sé, vede un'amica verduraia con cui scambiarsi confidenze e segreti. È la Roma del 1946, in giro ci sono ancora gli americani, finita la guerra il clima resta pesante, ma tra le nuvole nere si apre qualche squarcio di cielo. Forse qualcosa sta per cambiare, nella politica e nella società, nelle famiglie, nella vita di ogni italiano: siamo alla vigilia del grande referendum del 2 giugno, monarchia o repubblica, il mondo antico e quello nuovo che si confrontano nel voto e nelle strade, nei cuori. Il film ha un paio di scene straordinarie: il pranzo con i genitori del fidanzato di Marcellina e la veglia funebre del nonno carogna. Si ride, si soffre, ogni battuta è perfetta e tutti gli attori sono straordinari nella rappresentazione di un tempo crudele che sta per tramontare. Una lettera misteriosa cambierà il corso delle cose: Delia la legge e rilegge di nascosto, sembra una lettera d'amore, ma è ancora di più, e non dico altro. Insomma: alla fine applausi del pubblico per un film che va veloce al cuore, leggero e acuto, un film destinato a grandi incassi perché, in bianco e nero, sa raccontare quel passato che non è mai passato del tutto, che somiglia ancora al nostro presente.
Da La Repubblica, 3 novembre 2023


di Marco Lodoli, 3 novembre 2023