C'è ancora domani

Un film di Paola Cortellesi. Con Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Romana Maggiora Vergano, Emanuela Fanelli.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 118 min. - Italia 2023. - Vision Distribution uscita giovedì 26 ottobre 2023. MYMONETRO C'è ancora domani * * * 1/2 - valutazione media: 3,59 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Non basta il bianco e nero ... Valutazione 2 stelle su cinque

di luigiluke


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mercoledì 24 gennaio 2024

 … a fare di una pellicola un film autoriale, che peraltro di per sé non è sinonimo di capolavoro.
E non basta neanche raccontare una storia modellata sulla retorica del momento per renderla credibile.
C’è Ancora Domani si lascia vedere ma, a prescindere dai paragoni fin troppo generosi che lo hanno avvicinato, anche solo idealmente, a veri capolavori del neorealismo italiano, si rivela prima di tutto un film didascalico.
Rimane alla fine quel retrogusto di una lezioncina propinata con il ditino a chi, peraltro, non avendo vissuto il periodo in cui viene ambientata la storia lo può conoscere solo sulla base di racconti. Che magari sarebbe meglio non fossero modellati sull’ideologia dell’oggi.
Sia chiaro: non intendo discutere sull’importanza delle questioni femminili, nel presente come nel passato, ma ci sono lavori cinematografici che le hanno portate in superficie molto meglio di questo. Perché quello che appare nel film della Cortellesi è il ritratto di un mondo che francamente appare inverosimile, con personaggi tutti in bassorilievo, perciò poco credibili e alla fine anche un po’ stancanti.
A cominciare dal grottesco Ivano Santucci che più che un patriarca sembra un disagiato, violento a prescindere, come neppure certi villain di veri film truculenti; e però al tempo stesso ostaggio di un padre padrone allettato, da cui riceve a bocca aperta consigli e rimproveri a dir poco risibili (tipo quello per cui ci si dovrebbe sposare solo con la “cugina”). Per poi piangerlo, al momento della morte, in un modo che non si capisce se deve apparire realistico o far ridere.
La stessa Cortellesi interpreta un ruolo monotematico, di donna angheriata, ma che sa anche essere abile manipolatrice, al punto di arrivare a far diventare vittima delle sue macchinazioni la propria figlia, a cui vuole impedire di proseguire nel fidanzamento con un tipo innocuo, raffigurato pure lui come una macchietta, che ha per giunta il torto di essere “figlio di …”, in accezione ovviamente negativa (tornerò poi anche su questo profilo).
Anche il finale della storia è stucchevole ed oltretutto inverosimile: che senso ha infatti vedere Delia doversi inventare una scusa con il marito per uscire di prima mattina e andare a votare?  Neanche fosse sotto sequestro in casa, da dove invece l’abbiamo vista uscire tranquillamente per tutto il corso del film.
Se poi il significato “profondo” della pellicola doveva essere rappresentato dalla sequenza delle donne sulla scalinata del seggio e dallo sguardo di (quasi) tutte loro verso Ivano che risponde arricciando il baffo, a far valere che da quel momento (“domani”, cioè) saranno disposte a combattere insieme tutti gli Ivani di questo mondo, il fatto che subito dopo debba apparire una didascalia che spieghi che finalmente le donne avevano acquisito il diritto elettorale attivo fa capire che la regista non era convinta fino in fondo della forza evocativa di quell’immagine. O che comunque lo “spiegone” finale era necessario per rafforzare il monito ai presenti in sala.
In realtà quello che resta dopo le quasi due ore di vicende raccontate da Dalia è la sensazione di un pregiudizio culturale, per non dire sociale, in cui l’essere povero e vivere in borgata è sinonimo di ignoranza e violenza domestica; in cui il soldato di colore (immancabile pure lui, anche se poi non si capisce perché doveva essere nero) appare come un goffo corteggiatore, così facilmente suggestionabile da diventare senza remore autore di un crimine su commissione.
In cui i futuri consuoceri di Ivano e Dalia sono caricaturati come “contadini arfatti”, come tali disprezzati da tutti perchè lo siano, naturalmente, anche da parte del pubblico.
Che non deve provare empatia per i rimpianti della giovane figlia che perde il fidanzato perché Dalia, con il solito ditino, le ha già spiegato che tutti gli uomini sono uguali, cominciano bene ma poi diventano cattivi e prevaricatori. Come papà Ivano che in realtà finisce solo per fare la parte del perfetto idiota.
Insomma dopo averlo visto 3 volte cercando di cogliere le sfumature che al primo assaggio mi erano sfuggite, ma che dovevano pur esserci visto che tantissimi hanno gridato al capolavoro, ho dovuto arrendermi all’idea che come già per il tremendo Tolo Tolo di  due anni fa, in Italia un film viene giudicato soprattutto per l’idea di fondo che deve essere conforme a ciò che “si pensa” di una certa cosa in un certo periodo.
Però sono arrivato alla fine, tre volte. Quell’altro avevo faticato a vederlo per intero.
 

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