Una seconda stagione che consolida i pregi di scrittura e di recitazione. Con una buona dose di caustico humour britannico e una sceneggiatura impeccabile. Su Apple TV+.
di Emanuele Sacchi
La seconda stagione di una serie è sempre la più difficile. Svanito l'effetto sorpresa, si tratta di mantenere viva l'attenzione e approfondire i personaggi senza ripercorrere pattern già visti. Slow Horses, confermata con entusiasmo fino alla quarta stagione dopo il successo della prima, mostra di aver compreso mirabilmente il meccanismo e sfrutta un cast micidiale in sei nuovi episodi che rappresentano assai più di un atteso more of the same.
A tenere banco sono i lasciti eterni della Guerra Fredda, ambiente di elezione per le spy story del XX secolo, tornati di stretta attualità con le tensioni attuali tra Usa e Russia. Le "cicale", ex spie del KGB rimaste inattive ma vigili nel Regno Unito sono risvegliate in tutta la loro brutalità per ordini che provengono da Mosca e che riguardano le trame oscure di alcuni oligarchi.
Il legame tra Slow Horses e la sua matrice originaria - "La talpa" di Le Carré, con Gary Oldman come ovvio anello di congiunzione - si fa sempre più stretto e la componente comica invece più labile, in virtù di un elevato tasso di violenza già concentrato nei primi episodi.