Dal primo film Rysopis (1964) ad oggi, con un'opera che omaggia Bresson. Ad 84 anni il regista polacco ricerca ancora la luce di una possibile, ma forse effimera, libertà con Eo, al cinema dal 22 dicembre.
di Pedro Armocida
È un cinema in fuga quello di Jerzy Skolimowski che è stato, fin da subito, autore vagabondo e dell’esilio, da quando con il suo primo film del 1964, Rysopis - Segni particolari nessuno, e con quello immediatamente successivo Mani in alto (censurato e uscito nel 1981), fu ‘attenzionato’ dal Partito Comunista polacco di Gomulka. E curiosamente il suo ultimo lavoro, a 84 anni, dall’onomatopeico titolo Eo, è quanto di più errabondo ci possa essere con il suo protagonista, un asino, che fugge da tutte le situazioni, una più spiacevole dell’altra, in cui si trova ovviamente non per sua volontà. In un viaggio picaresco che, da un circo in Polonia, lo porterà giù giù fino in Italia.
Un film che è un omaggio esplicito e sorprendente a uno dei capolavori della storia del cinema, Au hasard Balthazar (1966) di Robert Bresson, dove anche lì l’asino protagonista era vittima non della natura ma dell’umanità matrigna (nella biografia di Skolimowski c’è il padre, militante nei gruppi di resistenza antinazista durante l'occupazione tedesca della Polonia, catturato e ucciso nel 1943 quando lui aveva cinque anni).
È infatti un corpo a corpo micidiale quello instaurato dagli uomini nei confronti dell’animale mentre sono le donne a prendersene cura amorevolmente. Sembra di vedere, ancora una volta, come ebbe a dire lo stesso Bresson, lo specchio riflesso della vita umana contrassegnata prima dall’infanzia con l’accudimento materno, poi dalla fase del lavoro, fino ad arrivare al periodo riflessivo prima della morte.
Scritto con la terza moglie Ewa Piaskowska che ha collaborato anche agli ultimi spiazzanti, per freschezza, lavori di Skolimowski, da Quattro notti con Anna del 2008 a Essential Killing di due anni dopo fino alla produzione del penultimo 11 minutes, entrambi presentati in concorso alla Mostra di Venezia, Eo condivide con questi una ricerca formale, a tratti sperimentale, veramente impressionante.
Una cifra stilistica che ha sempre accompagnato Skolimowski, non a caso definito “poeta boxeur” (è stato effettivamente sia poeta che pugile) da Andrzej Munk, il cineasta capofila della “scuola polacca”, che era stato suo insegnante alla prestigiosa Scuola di Lodz dove, come compagno, c’era anche Roman Polanski con cui scrisse il suo esordio, Il coltello nell’acqua. Ma già prima, nel 1959, aveva sceneggiato Ingenui e perversi di Andrzej Wajda di cui fu amico e in un certo qual modo allievo.