Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | Cina, USA |
Durata | 65 minuti |
Regia di | J.P. Sniadecki, Xiang Huang (II), Routao Xu |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 22 novembre 2013
Un film che parla di storie di fantasmi e del peso di una trasformazione enorme.
CONSIGLIATO SÌ
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Nella provincia di Gansu, nella Cina settentrionale, sorge Yumen, una città fantasma che un tempo prosperava grazie all'industria estrattiva. Tra i ruderi delle abitazioni, nelle strade deserte e dentro agli edifici, alcuni personaggi si muovono, guardandosi attorno, esplorando, improvvisando performance di vario genere. Forse per ricostruire la storia di un luogo abbandonato oppure per cercare di ascoltare le voci che abitano ancora in esso.
In bilico tra documentario e arte performativa, ecco un esperimento che sta a dirci l'importanza di ricercare e di custodire la memoria, che sia di una persona, di un gruppo o, ancora meglio, di uno spazio. L'occhio si muove tra le macerie, cercandone le forme, insinuandosi tra gli accessi ancora aperti, scendendo lungo le scarpate di quella che era una realtà industriale ben definita. Per questo, il fantasma in questione è lo stesso di un mondo intero, che adesso non esiste più, eppure continua a piangere, ad esistere nei corpi di una donna, di un artista intento a dipingere volti sui muri, di un gruppo di giovani. Sono queste figure a cercare di riattivarne il passato, di riportare alla luce la storia collettiva di un luogo abbandonato, lasciato a marcire dopo essere stato sfruttato. Ancora l'arte come estremo tentativo di salvataggio, come gesto di liberazione e di riscrittura del reale: oltre alle varie performance catturate dalla macchina da presa, infatti, tutte le immagini, qui, tendono ad estrarre un anelito di vita dalle rovine, attraverso il suono e il montaggio, la velocità delle riprese o il commento in voice over.
Diretto e montato da J. P. Sniadecki, Xu Ruotao, Huang Xiang, Yumen è un impasto riuscito di belle immagini - cavate per paradosso dall'esatto contrario, cioè dal brutto, dall'abbandono, dalle macerie - e di brandelli di storie che non vogliono darsi nella loro interezza. Anche il movimento meccanico di un'escavatrice, considerate cura dell'immagine (fotografia e suono sono curati da J. P. Sniadecki e Huang Xiang) e scelta del punto di vista, si fa emozionante e rappresenta tutt'altro da ciò che è, diventando gesto artistico, alla stregua di un uomo fisso a guardarci da una colonna. Divagante e suggestiva, la ricerca dei tre cineasti si chiude con un carrello che da sinistra a destra attraversa un luogo ora assicurato al futuro, i cui fantasmi prendono la forma di quella stessa pellicola scrutata con l'aiuto del sole in una sequenza di centrale importanza. Certamente, non è un film per tutti i gusti.