Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Taiwan |
Durata | 104 minuti |
Regia di | Arvin Chen |
Attori | Richie Ren, Mavis Fan, Stone, Kimi Hsia, Lawrence Ko . |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 13 febbraio 2013
L'introverso Weichung è sposato con Feng da nove anni. Lei vorrebbe avere un altro figlio, mentre lui è tentato dal ritorno alla vita gay che conduceva in precedenza.
CONSIGLIATO SÌ
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A Taiwan diverse coppie, sposate, con figli o semplicemente pronte al grande passo si sfaldano sotto i colpi delle difficoltà, della fine dell’amore o del (ri)emergere di preferenze sessuali diverse.
La commedia sentimentale sofisticata in mandarino e ambientata a Taiwan è una scoperta che ha il sapore di casa. Adattato al contesto taiwanese il meccanismo della commedia sentimentale non trova nuova forza attingendo al tessuto locale ma anzi piega quest’ultimo ai modelli occidentali, ritraendo una borghesia molto sofisticata e un mondo in cui tradizione e morale continuano a condizionare le relazioni di coppia (in maniera non diversa da quanto vediamo accadere nei nostri paesi). Uomini e donne che sotto le pressioni dell’ambiente familiare, del senso di responsabilità, del lavoro e della società accettano situazioni che non sono capaci di portare a termine e che poi inseguono, per recuperarle o per chiuderle, attraverso quegli espedienti grotteschi che mettono le risate nella commedia.
Purtroppo però Will you still love me tomorrow? non brilla in scrittura quanto in messa in scena, non trova cioè nel racconto e nei dialoghi quello che invece dimostra una regia raffinata e molto controllata, capace di glissare sui passaggi più aspri compresi nelle storie di adulterio e omosessualità (che tuttavia vengono suggeriti) e anche in grado, a totale sorpresa, di farsi leggera di colpo con i toni delle migliori favole (l’inizio con il padrone del negozio che vola in cielo con un ombrello come Mary Poppins è fantastico un tocco d’improvvisa grazia).
Abituati ad un’oriente esportato nella forma in cui piace immaginarlo agli occidentali (o fermo all’epoca feudale, o dominato da una tradizione castrante, o iperviolento) il film di Arvin Chen dimostra tutta la vicinanza nei costumi che la globalizzazione del cinema ha comportato (il desiderio di un matrimonio come forma ultima di legittimazione dell’amore, la necessità di una famiglia unita che contrasta con l’aspirazione ad una legittima soddisfazione sessuale e infine il tradimento come meccanismo narrativo principale di qualsiasi ironia sulle difficoltà di coppia). Il processo però dimentica di dare valore aggiunto e più che ad una contaminazione assomiglia ad un’assimilazione.