astromelia
|
sabato 28 giugno 2014
|
deludente
|
|
|
|
mi aspettavo un filmone,invece è una pellicola senza infamia e senza gloria,niente di più di quello che la storia ci ha raccontato,troppi pianisequenza lunghi e fastidiosi,ho preferito di gran lunga THE BUTLER UN MAGGIORDOMO ALLA CASA BIANCA,E NON CAPISCO PERCHè SIA STATO SOTTOVALUTATO|||||ORMAI GLI OSCAR SONO DIVENTATI UNA COMBINE
|
|
[+] lascia un commento a astromelia »
[ - ] lascia un commento a astromelia »
|
|
d'accordo? |
|
vaness
|
venerdì 27 giugno 2014
|
buono ma forse non troppo
|
|
|
|
Decisamente buona e convincente la nuova pellicola favorita agli oscar 2014: 12 anni schiavo,per la regia di Steve McQueen. Sceneggiatura originale tratta dall'autobiografia di Solomon Northup,uomo nato libero,rapito a Washington nel 1841 e fatto schiavo per dodici anni. Il film vanta indubbiamente di un' ottima regia, presente e accurata:camere fisse,ottimi piani sequenza e inquadrature di dettagli su scene particolarmente importanti per la narrazione,una fotografia molto poetica nel descrivere immagini talvolta anche molto forti,che riflettono spesso i sentimenti che il protagonista prova e le tappe della sua storia il tutto unito da un montaggio molto serrato che ci permette di seguire lo svolgimento delle azioni e l'evoluzione dei personaggi; non dimentichiamo certamente le musiche strumentali di Zimmer.
[+]
Decisamente buona e convincente la nuova pellicola favorita agli oscar 2014: 12 anni schiavo,per la regia di Steve McQueen. Sceneggiatura originale tratta dall'autobiografia di Solomon Northup,uomo nato libero,rapito a Washington nel 1841 e fatto schiavo per dodici anni. Il film vanta indubbiamente di un' ottima regia, presente e accurata:camere fisse,ottimi piani sequenza e inquadrature di dettagli su scene particolarmente importanti per la narrazione,una fotografia molto poetica nel descrivere immagini talvolta anche molto forti,che riflettono spesso i sentimenti che il protagonista prova e le tappe della sua storia il tutto unito da un montaggio molto serrato che ci permette di seguire lo svolgimento delle azioni e l'evoluzione dei personaggi; non dimentichiamo certamente le musiche strumentali di Zimmer. I personaggi sono sufficientemente approfonditi psicologicamente e caratterialmente, con tali interpretazioni riusciamo perfettamente ad immedesimarci nelle situazioni vissute dai personaggi. La storia ruota sul tema della spersonalizzazione dell'uomo che è l'effetto della schiavitù sul genere umano e Solomon non esita mai a ricordarcelo,il tutto trattato con una crudezza di immagini molto realistica. Difetti purtroppo ce ne sono. Il film punta molto sul tempo,sulla durata della schiavitù che il personaggio di Solomon ha vissuto; il tempo della storia però è molto approssimativo,non sono presenti molti particolari che ci fanno sentire il passare di questi dodici anni e se sono presenti sono solo accennati,si basano magari solo su particolari fisici secondari e non psicologici. Il personaggio della schiava Patsey,interpretata da Lupita Nyong'o è caratterizzato dall'amicia nata con Solomon,che dovrebbe far sviluppare psicologicamente il personaggio di lei anche se in realtà ciò non è mai definito particolarmente e mostrato palesemente. I dialoghi mai brillanti,affidano quasi tutto forse ai silenzi e alle interpretazioni più che buone.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a vaness »
[ - ] lascia un commento a vaness »
|
|
d'accordo? |
|
sabrina lanzillotti
|
sabato 21 giugno 2014
|
la storia di un uomo e di migliaia come lui
|
|
|
|
12 anni schiavo è la vera storia di Solomon Northup, un talentuoso violinista di colore che conduce una vita agiata con sua moglie e i due figli. Ma siamo nel 1841 e in America i neri sono ottimi animali da impiegare nei campi e da frustrare per mero divertimento, e Solomon non fa eccezione; rapito con l’inganno e privato dei documenti, il violinista diventerà uno schiavo e per 12 anni lavorerà ne campi, maltrattato e umiliato per il semplice fatto dii essere nero.
Con 12 anni schiavo il regista Steve McQueen porta sullo schermo la pagina più buia della storia americana: la schiavitù, denunciando gli abusi, le umiliazioni e le violenze subite da migliaia di uomini, donne e bambini e lo fa colpendo lo spettatore con immagini semplici e allo stesso tempo crude.
[+]
12 anni schiavo è la vera storia di Solomon Northup, un talentuoso violinista di colore che conduce una vita agiata con sua moglie e i due figli. Ma siamo nel 1841 e in America i neri sono ottimi animali da impiegare nei campi e da frustrare per mero divertimento, e Solomon non fa eccezione; rapito con l’inganno e privato dei documenti, il violinista diventerà uno schiavo e per 12 anni lavorerà ne campi, maltrattato e umiliato per il semplice fatto dii essere nero.
Con 12 anni schiavo il regista Steve McQueen porta sullo schermo la pagina più buia della storia americana: la schiavitù, denunciando gli abusi, le umiliazioni e le violenze subite da migliaia di uomini, donne e bambini e lo fa colpendo lo spettatore con immagini semplici e allo stesso tempo crude. L’intenzione del regista è ammirevole, ma la sua realizzazione no. McQueen non riesce a penetrare nel profondo nella vita dei suoi personaggi e, tranne qualche scena cruenta, il film si presenta come un’ analisi superficiale degli avvenimenti.
A peggiorare le sorti del film ci pensa il proibizionista Samuel Bass, interpretato da Brad Pitt che, comparso solo nell’ultima parte del film, ne diventa il protagonista indiscusso, apparendo perfino nelle locandine come se fosse il personaggio principale. E alla fine, dopo aver seguito per 2 ore le vicissitudini di Solomon, ci troviamo ad assistere al trionfo dell’uomo bianco, senza l’aiuto del quale la storia dello schiavo nero non avrebbe trovato il lieto fine.
In conclusione, 12 anni schiavo sarebbe potuto diventare il film più discusso e scomodo del 2014, ma si è rivelato niente più che un insieme di personaggi stereotipati in cuoi il salvatore è, ancora una volta, l’uomo bianco, che questa volta viene dal Canada.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a sabrina lanzillotti »
[ - ] lascia un commento a sabrina lanzillotti »
|
|
d'accordo? |
|
khaleb83
|
domenica 25 maggio 2014
|
incomprensibilmente sopravvalutato
|
|
|
|
Non ci si spiega il perché di tanto successo di questo film. Che gli statunitensi abbiano sempre una certa difficoltà a prendere le misure con la propria storia, avendone poca, specie quando questa va contro lo stereotipo di guida del mondo libero che hanno di sé, è innegabile; ma sopravvalutare per questo solo motivo un film così scadente è comunque inspiegabile.
Il film è lungo, lungo fino alla noia eppure riesce assolutamente a mancare l'idea del tempo che trascorre: per quanto ne sappiamo, il protagonista potrebbe essere stato tenuto in schiavitù pochi giorni, nulla dà l'idea dello stillicidio del tempo che trascorre (e piccoli espedienti come la crescita dei bambini non lo risolvono, se non a livello prettamente razionale ma non efficace).
[+]
Non ci si spiega il perché di tanto successo di questo film. Che gli statunitensi abbiano sempre una certa difficoltà a prendere le misure con la propria storia, avendone poca, specie quando questa va contro lo stereotipo di guida del mondo libero che hanno di sé, è innegabile; ma sopravvalutare per questo solo motivo un film così scadente è comunque inspiegabile.
Il film è lungo, lungo fino alla noia eppure riesce assolutamente a mancare l'idea del tempo che trascorre: per quanto ne sappiamo, il protagonista potrebbe essere stato tenuto in schiavitù pochi giorni, nulla dà l'idea dello stillicidio del tempo che trascorre (e piccoli espedienti come la crescita dei bambini non lo risolvono, se non a livello prettamente razionale ma non efficace). Alcune scene sono innegabilmente intense, ma rimangono profondamente isolate; soprattutto il finale sacrifica qualsiasi verosimiglianza nelle reazioni dei personaggi, in nome dei tempi drammatici.
La recitazione è banale, nulla colpisce particolarmente se non il piccolissimo ruolo di Cumberbracht, e la magistrale interpretazione di Fassbender; che, tuttavia, sviliscono il film da altre prospettive, riducendo a dramma personale quella che è stata una piaga sociale.
Assolutamente fuori contesto Brad Pitt, che appare come una sorta di incausato deus ex machina; dubito non ci fossero modi migliori di sottolinearne la presenza nella sceneggiatura, pur rispettando gli accadimenti reali cui il film è ispirato.
In definitiva un film che ha vinto un Oscar solo per la tematica affrontata, non certo per il modo in cui è riuscito a trattare l'argomento né tantomeno per meriti prettamente cinematografici: altamente evitabile.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a khaleb83 »
[ - ] lascia un commento a khaleb83 »
|
|
d'accordo? |
|
nik deco
|
martedì 29 aprile 2014
|
tra spielberg e tarantino: l'anna frank d'america
|
|
|
|
Nessuna descrizione può risultare tanto appropriata come quella data da Steve McQueen in merito alla sua ultima, olimpica,fatica registica, 12 anni schiavo: il film evento dell’anno è “una storia d’amore”. Uscito a febbraio nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola, vincitrice di 3 Academy Awards (miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale), basandosi seppur con qualche licenza narrativa sull’autobiografia di Solomon Northup, narra la reale storia di un violinista nero (magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor) che a metà ‘800 viene ingannato, privato della sua libertà e venduto come schiavo. Dapprima per William Ford e successivamente per Edwin Epps, Solomon lavorerà in Louisiana come schiavo nelle piantagioni per 12 anni, prima di poter ricongiungersi con la propria famiglia, creando durante la prigionia un profondo legame affettivo con la schiava Patsey (Lupita N’Yongo) che lo accompagnerà fino al termine della narrazione.
[+]
Nessuna descrizione può risultare tanto appropriata come quella data da Steve McQueen in merito alla sua ultima, olimpica,fatica registica, 12 anni schiavo: il film evento dell’anno è “una storia d’amore”. Uscito a febbraio nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola, vincitrice di 3 Academy Awards (miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale), basandosi seppur con qualche licenza narrativa sull’autobiografia di Solomon Northup, narra la reale storia di un violinista nero (magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor) che a metà ‘800 viene ingannato, privato della sua libertà e venduto come schiavo. Dapprima per William Ford e successivamente per Edwin Epps, Solomon lavorerà in Louisiana come schiavo nelle piantagioni per 12 anni, prima di poter ricongiungersi con la propria famiglia, creando durante la prigionia un profondo legame affettivo con la schiava Patsey (Lupita N’Yongo) che lo accompagnerà fino al termine della narrazione.
Non bastano i premi cinematografici, seppur numerosi e prestigiosi, a descrivere un film che a buon diritto completa ma non conclude il discorso partorito da un illuminato cinema hollywoodiano con il pastorale ritratto politico del Lincoln di Spielberg e il sanguinario ed eccentrico, ma mai banale o riduttivo, Django Unchained di Tarantino. Sono proprio questi registi a cui McQueen si riallaccia fondendo stili narrativi e artistici dell’uno e dell’altro, dando origine a una armonica e conturbante mescolanza di amore, violenza e nostalgia. La forza motrice dell’opera sta proprio nell’affermazione dialogica tra la violenza e l’amore: il regista si rende capace di superare l’olocaustica concezione cinematografica della schiavitù, fatta di dramma e omaggio, per approdare ad una risoluzione del tutto nuova nella trattazione del tema. Gli occhi di cui McQueen si serve per sondare il campo relazionale dei personaggi non sono gli occhi omniscenti del regista, e nemmeno quelli del suo protagonista. L’innovazione si riscontra nella scelta del protagonista: non è Solomon, non è nessuno schiavo. È Edwin Epps (Michael Fassbender, per questo ruolo condidato all’Oscar), l’insensibile schiavista di stampo tarantiniano che apporta al film una concreta dose di violenza e odio. Non l’estroso gusto sanguinario di Tarantino, bensì una violenza reale, esacerbata che molto ricorda il Munich di Spielberg. Solomon e Petsey vengono posti in secondo piano: non sono che narratori terzi della loro tragedia, incapaci di comprendere razionalmente la brutale realtà che li circonda ma fiduciosi nel fatto che l’amore è presente in tutti, persino nella più profonda inumanità. Ma se la costante speranza di fraternità tra bianchi e neri di Solomon in conclusione risulta essere legittimata da quei bianchi che gli garantiranno la libertà, il desiderio di giustizia degli altri personaggi viene sistematicamente frustrato. Nei concenti campi di cotone il blues e il gospel richiamano alla provvidenza divina: gruppi di schiavi esausti trovano la forza per sopravvivere nel canto, richiamo spirituale di una forza travolgente ma assente, l’amore appunto. Il simbolismo musicale non si riduce a ciò: il violino di Solomon è l’unico mezzo che stabilisce il legame con il suo passato da uomo libero, sia che lo condanna ad essere riconosciuto come diverso dagli altri neri, “allevati come bestie” per servire i padroni.
Tuttavia McQueen, a differenza dei suoi mentori, pur padrone di eccellenti spunti riflessivi, manca di quella capacità di approfondire e portare a compimento ciò che viene proposto. La regia è rapida, corre di fronte a un film che in alcuni tratti risulta superfluo e in altri fin troppo esauriente (incerta la scelta di lunghe inquadrature fisse su volti, azioni e paesaggi), lancia messaggi ed emozioni allo spettatore in continua sequenza, e prima che si possa compiere l’atto di partecipazione emotiva alle vicende narrate, subito è necessario riprendere i fili della narrazione, nervosa e incompleta. Narrazione frutto del desiderio del regista per una narrazione omniscente e un narratore che è, all’opposto, forzatamente passivo e spettatoriale. Non basta neanche la vena di sadismo, leitmotiv di McQueen già in Shame e in Hunger, approfonditamente trattata, a conferire al film la concretezza e il pathos necessari a definirla un capolavoro. La tentata fusione delle provate visioni spielberghiane e tarantiniane si risolve in una regia immatura, che non soddisfa le aspettative di un’opera così importante. Non un’occasione sprecata, ma sicuramente non sfruttata al meglio. I migliori frutti del film sono concepiti dagli attori, magnifici e accademici nei loro rispettivi ruoli e capaci di trasmettere tutto ciò che una così importante sceneggiatura è tenuta a inculcare. Un film ben distante dai livelli raggiunti dalle precedenti opere sullo schiavismo, ma sicuramente una tappa fondamentale nel percorso di maturazione del regista, e capace di offrire un innovativo punto di vista, svincolato dai canoni di compassione e generalizzazione per così tanto tempo seguiti dal cinema hollywoodiano. Una dettagliata descrizione, un diario di sentimenti su una tragedia così grande vista da occhi tanto piccoli.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a nik deco »
[ - ] lascia un commento a nik deco »
|
|
d'accordo? |
|
nik deco
|
martedì 29 aprile 2014
|
tra spielberg e tarantino: l'anna frank d'america
|
|
|
|
Nessuna descrizione può risultare tanto appropriata come quella data da Steve McQueen in merito alla sua ultima, olimpica,fatica registica, 12 anni schiavo: il film evento dell’anno è “una storia d’amore”. Uscito a febbraio nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola, vincitrice di 3 Academy Awards (miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale), basandosi seppur con qualche licenza narrativa sull’autobiografia di Solomon Northup, narra la reale storia di un violinista nero (magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor) che a metà ‘800 viene ingannato, privato della sua libertà e venduto come schiavo. Dapprima per William Ford e successivamente per Edwin Epps, Solomon lavorerà in Louisiana come schiavo nelle piantagioni per 12 anni, prima di poter ricongiungersi con la propria famiglia, creando durante la prigionia un profondo legame affettivo con la schiava Patsey (Lupita N’Yongo) che lo accompagnerà fino al termine della narrazione.
[+]
Nessuna descrizione può risultare tanto appropriata come quella data da Steve McQueen in merito alla sua ultima, olimpica,fatica registica, 12 anni schiavo: il film evento dell’anno è “una storia d’amore”. Uscito a febbraio nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola, vincitrice di 3 Academy Awards (miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale), basandosi seppur con qualche licenza narrativa sull’autobiografia di Solomon Northup, narra la reale storia di un violinista nero (magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor) che a metà ‘800 viene ingannato, privato della sua libertà e venduto come schiavo. Dapprima per William Ford e successivamente per Edwin Epps, Solomon lavorerà in Louisiana come schiavo nelle piantagioni per 12 anni, prima di poter ricongiungersi con la propria famiglia, creando durante la prigionia un profondo legame affettivo con la schiava Patsey (Lupita N’Yongo) che lo accompagnerà fino al termine della narrazione.
Non bastano i premi cinematografici, seppur numerosi e prestigiosi, a descrivere un film che a buon diritto completa ma non conclude il discorso partorito da un illuminato cinema hollywoodiano con il pastorale ritratto politico del Lincoln di Spielberg e il sanguinario ed eccentrico, ma mai banale o riduttivo, Django Unchained di Tarantino. Sono proprio questi registi a cui McQueen si riallaccia fondendo stili narrativi e artistici dell’uno e dell’altro, dando origine a una armonica e conturbante mescolanza di amore, violenza e nostalgia. La forza motrice dell’opera sta proprio nell’affermazione dialogica tra la violenza e l’amore: il regista si rende capace di superare l’olocaustica concezione cinematografica della schiavitù, fatta di dramma e omaggio, per approdare ad una risoluzione del tutto nuova nella trattazione del tema. Gli occhi di cui McQueen si serve per sondare il campo relazionale dei personaggi non sono gli occhi omniscenti del regista, e nemmeno quelli del suo protagonista. L’innovazione si riscontra nella scelta del protagonista: non è Solomon, non è nessuno schiavo. È Edwin Epps (Michael Fassbender, per questo ruolo condidato all’Oscar), l’insensibile schiavista di stampo tarantiniano che apporta al film una concreta dose di violenza e odio. Non l’estroso gusto sanguinario di Tarantino, bensì una violenza reale, esacerbata che molto ricorda il Munich di Spielberg. Solomon e Petsey vengono posti in secondo piano: non sono che narratori terzi della loro tragedia, incapaci di comprendere razionalmente la brutale realtà che li circonda ma fiduciosi nel fatto che l’amore è presente in tutti, persino nella più profonda inumanità. Ma se la costante speranza di fraternità tra bianchi e neri di Solomon in conclusione risulta essere legittimata da quei bianchi che gli garantiranno la libertà, il desiderio di giustizia degli altri personaggi viene sistematicamente frustrato. Nei concenti campi di cotone il blues e il gospel richiamano alla provvidenza divina: gruppi di schiavi esausti trovano la forza per sopravvivere nel canto, richiamo spirituale di una forza travolgente ma assente, l’amore appunto. Il simbolismo musicale non si riduce a ciò: il violino di Solomon è l’unico mezzo che stabilisce il legame con il suo passato da uomo libero, sia che lo condanna ad essere riconosciuto come diverso dagli altri neri, “allevati come bestie” per servire i padroni.
Tuttavia McQueen, a differenza dei suoi mentori, pur padrone di eccellenti spunti riflessivi, manca di quella capacità di approfondire e portare a compimento ciò che viene proposto. La regia è rapida, corre di fronte a un film che in alcuni tratti risulta superfluo e in altri fin troppo esauriente (incerta la scelta di lunghe inquadrature fisse su volti, azioni e paesaggi), lancia messaggi ed emozioni allo spettatore in continua sequenza, e prima che si possa compiere l’atto di partecipazione emotiva alle vicende narrate, subito è necessario riprendere i fili della narrazione, nervosa e incompleta. Narrazione frutto del desiderio del regista per una narrazione omniscente e un narratore che è, all’opposto, forzatamente passivo e spettatoriale. Non basta neanche la vena di sadismo, leitmotiv di McQueen già in Shame e in Hunger, approfonditamente trattata, a conferire al film la concretezza e il pathos necessari a definirla un capolavoro. La tentata fusione delle provate visioni spielberghiane e tarantiniane si risolve in una regia immatura, che non soddisfa le aspettative di un’opera così importante. Non un’occasione sprecata, ma sicuramente non sfruttata al meglio. I migliori frutti del film sono concepiti dagli attori, magnifici e accademici nei loro rispettivi ruoli e capaci di trasmettere tutto ciò che una così importante sceneggiatura è tenuta a inculcare. Un film ben distante dai livelli raggiunti dalle precedenti opere sullo schiavismo, ma sicuramente una tappa fondamentale nel percorso di maturazione del regista, e capace di offrire un innovativo punto di vista, svincolato dai canoni di compassione e generalizzazione per così tanto tempo seguiti dal cinema hollywoodiano. Una dettagliata descrizione, un diario di sentimenti su una tragedia così grande vista da occhi tanto piccoli.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a nik deco »
[ - ] lascia un commento a nik deco »
|
|
d'accordo? |
|
smarty
|
domenica 27 aprile 2014
|
un film che dice molto su un passato irrisolto
|
|
|
|
Ho finalmente visto "12 anni schiavo". Lo volevo guardare da tempo ma mi avevano sinceramente un po' dissuaso varie critiche sentite sia da comuni spettatori che lo avevano visto, sia da una parte dei critici cinematografici. "Spettacolarizzazione della violenza" e "scarsa resa della complessità del fenomeno storico della schiavitù" sono le obiezioni che ho sentito muovere più spesso a questo film. Dopo averlo visto e aver vissuto per 134 minuti (volati) insieme al protagonista del film (di eccezionale bravura) una vicenda fatta di assurda e crudele ingiustizia (peraltro fatti storici arcinoti, quelli legati alla schiavitù dei neri), mi sorprende non poco che il film venga accusato di eccessiva violenza e scarsa complessità.
[+]
Ho finalmente visto "12 anni schiavo". Lo volevo guardare da tempo ma mi avevano sinceramente un po' dissuaso varie critiche sentite sia da comuni spettatori che lo avevano visto, sia da una parte dei critici cinematografici. "Spettacolarizzazione della violenza" e "scarsa resa della complessità del fenomeno storico della schiavitù" sono le obiezioni che ho sentito muovere più spesso a questo film. Dopo averlo visto e aver vissuto per 134 minuti (volati) insieme al protagonista del film (di eccezionale bravura) una vicenda fatta di assurda e crudele ingiustizia (peraltro fatti storici arcinoti, quelli legati alla schiavitù dei neri), mi sorprende non poco che il film venga accusato di eccessiva violenza e scarsa complessità. E' un film duro che racconta molto bene la storia vera di un uomo libero rapito e venduto come schiavo. Cos'altro poteva mostrare, se non violenza e ingiustizia? Tra l'altro McQueen ci aveva già abituato al suo stile, uno stile duro e cruento. Criticare questo film per la sua crudezza è un po' come criticare Tarantino per essere un po' troppo pulp! Mi chiedo quindi cosa ci sia che turba e destabilizza così lo spettatorte occidentale, abituato a film a volte molto forti e duri quando si parla di sterminio degli ebrei o di altre sanguinose guerre. E sono arrivata a pensare che l'uomo occidentale non sia ancora in grado di accettare e metabolizzare il fatto che l'uomo bianco sia in grado di compiere atroci violenze e ingiustizie anche non sotto una dittatura, ma perché semplicemente le leggi che regolano il suo sistema economico e sociale glielo consentono. Insomma che la schiavitù sia esistita in alcuni stati nel Paese che solitamente identifichiamo con la nascita della democrazia moderna, è un ossimoro che rifiutiamo e che ancora non siamo disposti a comprendere, nonostante sia un fatto assodato e sotto gli occhi di tutti. Mi ha fatto ancora più rabbia, dopo la già enorme dose di rabbia suscitata dalle vicende narrate dal film, il fatto che ancora oggi una parte del mondo occidentale preferisca addolcire un po' la pillola (e di fatto censurare la storia) su un nodo del passato ancora ben lungi dall'essere risolto. Ah, un consiglio: per chi ancora non avesse visto il film, guardatelo!
[-]
|
|
[+] lascia un commento a smarty »
[ - ] lascia un commento a smarty »
|
|
d'accordo? |
|
serenere
|
mercoledì 16 aprile 2014
|
boh
|
|
|
|
Film non particolarmente sorprendente. Una buona sceneggiatura ma a volte discontinua. Il cast è ottimo, l'interpretazione della Nyong'o è eccezionale, ma a mio parere è l'unica sorprendente nel film. Ha vinto l'oscar al miglior filme sinceramente c'erano molti altri titoli che se lo meritavano molto di più. Non miè piaciuta molto l'interpretazione del protagonista che incarna lo schiavo Solomon Kane : pesante e non particolarmente emozionante. Nel complesso non è male,il precedente film del regista era molto meglio.
|
|
[+] lascia un commento a serenere »
[ - ] lascia un commento a serenere »
|
|
d'accordo? |
|
degiovannis
|
giovedì 3 aprile 2014
|
la dignità recuperata
|
|
|
|
Ero poco più che un ragazzo quando mi si offrì l'occasione di vedere Soldato blu, con Candice Bergen, un'attrice che amavo. Abituato a veder raccontata la storia dei rapporti tra bianchi e indiani nei film di John Wayne, Soldato blu mi colpì come un pugno nello stomaco e da allora non l'ho più dimenticato. Questo film mi è venuto in mente vedendo 12 anni schiavo, perché affronta l'altro tema che ha finito per rendere irrealizzabile il sogno americano, quello del rapporto tra bianchi e neri; tra padroni e schiavi appunto. Il film mi ha sorpreso positivamente perché mi aspetttavo un'indulgenza più benevola alle tentazioni commerciali e un uso più opportunistico della macchina da presa.
[+]
Ero poco più che un ragazzo quando mi si offrì l'occasione di vedere Soldato blu, con Candice Bergen, un'attrice che amavo. Abituato a veder raccontata la storia dei rapporti tra bianchi e indiani nei film di John Wayne, Soldato blu mi colpì come un pugno nello stomaco e da allora non l'ho più dimenticato. Questo film mi è venuto in mente vedendo 12 anni schiavo, perché affronta l'altro tema che ha finito per rendere irrealizzabile il sogno americano, quello del rapporto tra bianchi e neri; tra padroni e schiavi appunto. Il film mi ha sorpreso positivamente perché mi aspetttavo un'indulgenza più benevola alle tentazioni commerciali e un uso più opportunistico della macchina da presa. Invece la bellissima fotografia ha sottolineato, spesso opportunamente la differenza tra la bellezza dello spettacolo naturale e il buio dell'animo umano; tra la luminosità della natura e la bieca ossessione degli interessi e delle passioni. Come se leopardianamente la natura assistesse indifferenrte e matrigna alla tragedia degli esseri umani. Il fatto che il film indulga al melodramma e che cerchi, soprattutto nel finale di recuperare un terreno di rispetto della legalità e dell'umanità ad una terra nata invece dalla sopraffazione e dalla volenza non mi ha privato del piacere di godere delle immagini, che in ultima analisi, sono poi fondamento del linguaggio filmico. Non si può chiedere ad un regista di sostituirsi allo storico o all'antropologo per spiegare e condannare, o tanto meno guidicare. La dignità della persona umana viene salvaguardata proprio grazie alla sobrietà della recitazione del protagonista, che rimane tale anche nelle sequenze più crude e si giustifica con l'etica che egli ha sposato a differenza di altri suoi compagni di pena. Per chiudere un apprezzamento alla partecipazone alla produzione di Brad Pitt, che continua la tradizione liberal di alcuni grandi attori di Hollywood, a differenza di quelli italiani, peferibilmente ripiegati su piccoli interessi di bottega.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a degiovannis »
[ - ] lascia un commento a degiovannis »
|
|
d'accordo? |
|
sandro palombella
|
venerdì 28 marzo 2014
|
niente di nuovo sul fronte sudista
|
|
|
|
Sulla scia di produzioni “obamiane” comeLincoln, Django Unchained e The Butler, 12 anni schiavo di Steve McQueen rappresenta un'operazione dal sapore progressista per continuare a raccontare la lunga e faticosa storia dell’integrazione razziale statunitense. Si tratta di una storia vera scritta dal suo protagonista (Solomon Northup) nel 1853, subito dopo i 12 anni passati come schiavo nelle piantagioni di canna da zucchero e cotone del Sud. Si tratta di un clichè già visto con una debole introspezione psicologica, quasi si trattasse di un romanzo ad episodi dal sapore didattico.
[+]
Sulla scia di produzioni “obamiane” comeLincoln, Django Unchained e The Butler, 12 anni schiavo di Steve McQueen rappresenta un'operazione dal sapore progressista per continuare a raccontare la lunga e faticosa storia dell’integrazione razziale statunitense. Si tratta di una storia vera scritta dal suo protagonista (Solomon Northup) nel 1853, subito dopo i 12 anni passati come schiavo nelle piantagioni di canna da zucchero e cotone del Sud. Si tratta di un clichè già visto con una debole introspezione psicologica, quasi si trattasse di un romanzo ad episodi dal sapore didattico. Fassbender interpreta Edwin Epps (il cattivo della situazione) in modo monocorde, da risultare addirittura ridicolo nella scena finale del film. Anche il protagonista del film è a volte fuori contesto. Si vede troppo spesso pulito e sorridente e quasi avulso da un contesto ambientale dominato da soprusi e torture. Brad Pit interpreta, infine, il ruolo del buono, del il deus ex machina che salva la vita di Solomon e rimette le cose a posto. Un film classico con non pochi punti d'ombra ma anche con una magnifica fotografia. Due stelline e mezzo!
[-]
|
|
[+] lascia un commento a sandro palombella »
[ - ] lascia un commento a sandro palombella »
|
|
d'accordo? |
|
|