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thedust67
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venerdì 21 febbraio 2014
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l'essere umano crudele e ignorante
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Splendido, un Steve McQueen fenomenale. Tratto da una storia vera questo film narra le vicende di Solomon Northup, un violinista che diventa schiavo dopo essere stato preso in giro da 2 sconosciuti che gli offrono un posto di lavoro ad circo. Ambientato nel 1841, (prima della liberalizzazione dei Neri con LIncoln) un film molto crudo e triste che fa capire quanto l'essere umano può essere crudele e ignorante! Colonna sonora fantastica con Hans Zimmer, per non parlare degli attori una interpretazione di Michael fassbender perfetta e un Chiwetel Ejiofor da oscar. Consiglio a tutti di vedere questo film! CAPOLAVORO!
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luxlux
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venerdì 21 febbraio 2014
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violenza e bellezza
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molto bello ed altrattanto brutale. la violenza, che abbonda, non è però fine a se stessa, poichè rende giustizia al tema della schiavitù.
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tonict
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venerdì 21 febbraio 2014
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semplimente steve mcqueen
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12 anni schiavo è il film più crudo e completo di Steve McQueen. Un pugno allo stomaco continuo, una storia bellissima. Cast di attori e interpretazioni di altissimo livello, ma il vero fuoriclasse sta dietro la macchina da presa. McQueen coglie sempre il dettaglio più disturbante, l’inquadratura più straziante, riuscendo a trasportare lo spettatore nel mondo che viene raccontato e a farglielo rivivere con gli occhi di Solomon Northup. Un uomo che era libero e adesso è schiavo, un uomo che dominava il mondo e adesso viene dominato da esso. Northup vuole liberarsi da questa condizione e non abbandona mai l’idea di farlo, ma allo stesso tempo sa che nulla sarà più come prima, che è impossibile tornare a quel passato dopo tutto quello che ha visto e ha vissuto.
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12 anni schiavo è il film più crudo e completo di Steve McQueen. Un pugno allo stomaco continuo, una storia bellissima. Cast di attori e interpretazioni di altissimo livello, ma il vero fuoriclasse sta dietro la macchina da presa. McQueen coglie sempre il dettaglio più disturbante, l’inquadratura più straziante, riuscendo a trasportare lo spettatore nel mondo che viene raccontato e a farglielo rivivere con gli occhi di Solomon Northup. Un uomo che era libero e adesso è schiavo, un uomo che dominava il mondo e adesso viene dominato da esso. Northup vuole liberarsi da questa condizione e non abbandona mai l’idea di farlo, ma allo stesso tempo sa che nulla sarà più come prima, che è impossibile tornare a quel passato dopo tutto quello che ha visto e ha vissuto. Non si può chiedere a questo film di raccontare altro, il carattere politico o sociale della schiavitù passano in secondo piano di fronte alla tragedia di un uomo al quale viene strappata la vita, che da un giorno all’altro passa da membro attivo della società a rifiuto della stessa. Northup diventa “altro” e continuerà a rimanere tale anche quando fisicamente non la sarà più. C’è un punto di non ritorno dopo il quale non si è più uomini ma bestie, quel punto Northup l’ha superato e noi con lui, in un viaggio di 134 minuti. Solo un genio come Steve McQueen poteva darci il biglietto.
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federico agnellini
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venerdì 21 febbraio 2014
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pugno allo stomaco
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Forse chi dice che questo film non è da Oscar avrà anche ragione ma Steve McQueen si dimostra sempre e comunque uno dei migliori registi contemporanei. In tutto il film ci sono scelte registiche interessantissime, che se anche vanno a discapito dell'intattenimento del pubblico generalista e danno al film quel suo stile inconfondibile già visto sia in Hunger sia in Shame. Oggi però non voglio fare una recensione globale del film ma mi voglio solo soffermare sulla scena dell'impiccagione. Riassumendo si può dire che il protagonista rimane appeso con il cappio al collo e con il piedi che sfiorano terra in modo tale da non morire e consentirgli di sopravvivere.
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Forse chi dice che questo film non è da Oscar avrà anche ragione ma Steve McQueen si dimostra sempre e comunque uno dei migliori registi contemporanei. In tutto il film ci sono scelte registiche interessantissime, che se anche vanno a discapito dell'intattenimento del pubblico generalista e danno al film quel suo stile inconfondibile già visto sia in Hunger sia in Shame. Oggi però non voglio fare una recensione globale del film ma mi voglio solo soffermare sulla scena dell'impiccagione. Riassumendo si può dire che il protagonista rimane appeso con il cappio al collo e con il piedi che sfiorano terra in modo tale da non morire e consentirgli di sopravvivere. Il regista decide però in questo caso di rendere tale scena interminabile per lo spettatore che trovandosi in sala e non potendo intervenire si trova infastidito da tale situazione. Secondo me è una scelta voluta per mettere lo spettatore nei panni degli altri schiavi intorno a lui che potevano solo guardare il loro compagno soffrire per minuti e minuti senza poter far nulla. Trovo appunto geniale questa immedesimazione tanto che anche io in sala ho provato un senso di rassegnazione tale che al cinema poche volte ho provato. Un vero e proprio pugno allo stomaco.
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m.petter
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domenica 16 febbraio 2014
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la schiavitù in primo piano.
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Certamente non è un film per deboli di cuore: commuove, irrita e mette anche in un certo imbarazzo.
Mentre in Django, di Tarantino, il nero è l'eroe della vicenda, colui che combatte contro l'ordine prestabilito degli stati del sud, per salvare la sua donna, Salomon è, invece, la vittima di questo mondo assurdo, ingiustificato e crudele (rapito e fatto schiavo da uomo libero). Mentre in Tarantino il mondo della schiavitù resta sullo sfondo, funzionando come pretesto solamente narrativo delle varie vicende, Mcqueen porta questo mondo in primo piano: ce ne fa sentire l'atmosfera, gli umori e persino ci fa immaginare l'odore che poteva sprigionare da quel degrado.
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Certamente non è un film per deboli di cuore: commuove, irrita e mette anche in un certo imbarazzo.
Mentre in Django, di Tarantino, il nero è l'eroe della vicenda, colui che combatte contro l'ordine prestabilito degli stati del sud, per salvare la sua donna, Salomon è, invece, la vittima di questo mondo assurdo, ingiustificato e crudele (rapito e fatto schiavo da uomo libero). Mentre in Tarantino il mondo della schiavitù resta sullo sfondo, funzionando come pretesto solamente narrativo delle varie vicende, Mcqueen porta questo mondo in primo piano: ce ne fa sentire l'atmosfera, gli umori e persino ci fa immaginare l'odore che poteva sprigionare da quel degrado. I personaggi del film si muovono in questo mondo sfiniti, privati della loro dimensione umana, ma non senza speranza e fede. Una speranza di salvezza che alla fine, però, coinvolge solo il singolo. E non è una salvezza preannunciata o comunque resa esplicita, avviene come un miracolo come un qualcosa di inaspettato. La grazia divina si manifesta, ma può salvarne solo uno. Ma quell'uno è il simbolo di una vittoria, che per ora è solo temporanea, ma che preannuncierà quella vera dell'abolizione della schiavitù con Lincoln. Infatti nel finale siamo contenti per Salomon, ma non abbiamo il "cuore in pace". Sappiamo benissimo che molti altri aspettano di essere salvati e non possiamo che pensare anche a loro quando Salomon abbraccia la sua famiglia. Un abbraccio d'amore che rivolge anche a quanti continueranno a sopravvivere in quella situazione ancora per molto tempo.
Il film ci colpisce anche per il fatto di essere una storia vera, basata sul libro scritto dal protagonista, uscito in america negli anni 50 dell'800.
"Lincoln" di Spelberg, potrebbe benissimo essere un ideale proseguimento di questo film, sia per l'accostamento alla storia, sia per l'intento realistico, con il quale si cerca di narrare la storia.
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danylt
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mercoledì 29 gennaio 2014
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la crudeltà umana che disturba ma non sconvolge
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Steve McQueen ci regala un altro film registicamente perfetto, ho adorato le scene lunghe e senza dialoghi, dove a parlare sono i suoni intorno e i corpi o gli sguardi degli attori (una scena in particolare è abbastanza disturbante e arrivi a pregare che finisca presto). La schiavitù è mostrata nella sua totale crudeltà, soffri con i personaggi che vengono maltrattati e privati della loro dignità, e rimani sconvolto dalla crudeltà dei carnefici ma purtroppo non si arriva al totale impatto emotivo e di vergogna per il genero umano (mi aspettavo qualcosa di più crudo e definito) infatti ecco che, dopo la condanna, arriva l'assoluzione delle colpe, mostrando un autodenuncia di una coscienza che guarda al di là.
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Steve McQueen ci regala un altro film registicamente perfetto, ho adorato le scene lunghe e senza dialoghi, dove a parlare sono i suoni intorno e i corpi o gli sguardi degli attori (una scena in particolare è abbastanza disturbante e arrivi a pregare che finisca presto). La schiavitù è mostrata nella sua totale crudeltà, soffri con i personaggi che vengono maltrattati e privati della loro dignità, e rimani sconvolto dalla crudeltà dei carnefici ma purtroppo non si arriva al totale impatto emotivo e di vergogna per il genero umano (mi aspettavo qualcosa di più crudo e definito) infatti ecco che, dopo la condanna, arriva l'assoluzione delle colpe, mostrando un autodenuncia di una coscienza che guarda al di là. Con un finale forse smielato che secondo me non serviva,insomma ho avuto la sensazione che il regista si fosse frenato, ma probabilmente perché limitato dal racconto di una storia reale.
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shiningeyes
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domenica 26 gennaio 2014
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il viaggio di mcqueen nella schiavitù
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Saratoga 1841. Solomon Northup è un bravissimo violinista di colore, che seppur sia povero, vive una dignitosa esistenza con la sua famiglia. Non immaginerebbe mai che a lì a poco sarà truffato da due loschi individui che lo sfrutteranno per guadagnare soldi tramite i suoi spettacoli dal vivo per poi venderlo come schiavo. Solomon trascorrerà dodici anni in schiavitù, sperimentando in particolar modo le difficili condizioni di vita, il razzismo e le violente torture che passano gli schiavi neri d’America, conoscendo l’aberrazione degli schiavisti come Edwin Epps, il cui non perde occasione nel punire i suoi schiavi e di approfittare della povera Patsey.
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Saratoga 1841. Solomon Northup è un bravissimo violinista di colore, che seppur sia povero, vive una dignitosa esistenza con la sua famiglia. Non immaginerebbe mai che a lì a poco sarà truffato da due loschi individui che lo sfrutteranno per guadagnare soldi tramite i suoi spettacoli dal vivo per poi venderlo come schiavo. Solomon trascorrerà dodici anni in schiavitù, sperimentando in particolar modo le difficili condizioni di vita, il razzismo e le violente torture che passano gli schiavi neri d’America, conoscendo l’aberrazione degli schiavisti come Edwin Epps, il cui non perde occasione nel punire i suoi schiavi e di approfittare della povera Patsey. La disavventura di Solomon è diretta magistralmente dall’astro nascente della regia, Steve McQueen, che intinge di violento realismo il male che ha fatto l’America alla gente di colore, disumanizzandoli e maltrattandoli ripetutamente, tanto da considerare i neri affini alle scimmie. Non fa sconti McQueen, con la sua cinepresa implacabile da un perfetto ritratto all’America perbenista e cristiana che è la prima a macchiarsi dei gravi peccati che commette su quei poveri diavoli, perfettamente rappresentata dalla violenza dello schiavista Epps, che usa le parole della Bibbia come scusa per il destino infame fatto di flagellazione che spetterà a coloro che lavoreranno per lui. Il vantaggio di Solomon è di essere nato libero e di saper combattere per riaffermare la sua libertà, cosa ben più difficile per altra gente di colore, nata, cresciuta e abituata alla schiavitù, che non sa come fare per liberarsi dalla sua terribile condizione, sennonché, aspettare che la morte li tolga dalle loro sofferenze. Con una fotografia naturale che esalta la bellezza dei posti in contrasto con quanto avviene in essi, McQueen ci accompagna in un viaggio di sofferenza, ma anche di speranza e di religione, i quali temi son ben esposti in un ottimo adattamento. Perno centrale della validità della pellicola, oltre l’ottima regia, è il bravissimo Chiwetel Ejiofor, con una prova non troppo sopra le righe ma efficace e sentita, l’attore inglese si riesce a ritagliare un posto in primo piano tra i migliori attori del momento e rende forte il pronostico che lo vuole come vincitore per l’Oscar; breve e sofferente nella sua parte, Lupita Nyong’o riesce a strappare molti consensi, facendo notare un indubbio talento; attore feticcio di McQueen, Michael Fassbender riesce a convincere in una parte che riesce a farcelo odiare con tutto il cuore, dimostrazione che l’attore ha fatto un gran bello studio nel personaggio e si è dimostrato veramente adatto nell’interpretazione dello schiavista Epps. Credo che “12 Years of Slave” si debba meritare il più prestigioso riconoscimento della cerimonia del Kodak Theater, benché non risulti rivoluzionario o innovativo, il film di McQueen possiede una fortissima forza d’urto che colpirebbe il più insensibile degli spettatori e, soprattutto, ci fa capire la potenza che può avere una compagine sempre più emergente come quella del cinema indipendente.
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claudiofedele93
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lunedì 20 gennaio 2014
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mcqueen affronta la schiavitù!
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Quando in poco meno di dieci anni riesci a portare alla luce due lavori come Hunger e Shame, pellicole apprezzate dalla critica mondiale e considerate dei veri e propri capolavori, sembra quasi naturale che Hollywood reclami il tuo talento e che ti voglia affidare un film su misura.
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Quando in poco meno di dieci anni riesci a portare alla luce due lavori come Hunger e Shame, pellicole apprezzate dalla critica mondiale e considerate dei veri e propri capolavori, sembra quasi naturale che Hollywood reclami il tuo talento e che ti voglia affidare un film su misura.Steve McQueen, il cui nome, per chi non lo sapesse, è identico a quello del noto attore sebbene i due non siano assolutamente imparentati, ha subìto questa precisa sorte. Inglese e poco conosciuto fino ad una decina d’anni or sono, grazie alla Palma d’Oro per la miglior opera prima si è conquistato un trampolino di lancio che l’America non ha voluto perdere ed obbiettare. Alla sua terza fatica, dopo il capolavoro di Hunger (tragica biografia su Bobby Sands e sull’amaro capitolo che riguarda i prigioni dell’I.R.A. in Inghilterra nell’era Thatcheriana) e l’eccezionale Shame ( una pellicola che affronta con coraggio e cosciente oscenità la dipendenza sessuale dell’uomo odierno), McQueen si dedica a 12 Years a Slave, tratto dall’omonimo libro di memorie di Solomon Northup, protagonista dell’intera vicenda.
1841, Saratoga. Solomon è un talentuoso violinista che vive con la propria famiglia in una modesta casa, nella contea di Saratoga a New York; un giorno viene tratto in inganno da dei falsi agenti di spettacolo, trasferito a Washington e da lì deportato in Luisiana dove assieme ad altri di colore verrà venduto al mercato degli schiavi. La pellicola descrive l’odissea che Northup ha dovuto affrontare prima di ritornare dalla sua famiglia, ripercorre i 12 anni passati da quest’ultimo in schiavitù tra la povertà e gli orrori subiti da parte della gente bianca.
Basato sulla sceneggiatura di John Ridley che a sua volta prende come base le vere memorie di Northup, 12 Anni Schiavo appare fin da subito un film molto più quadrato e limitato rispetto ai due precedenti realizzati da McQueen; non mancano ovviamente , durante la pellicola, alcune scene ricche di quel realismo o pathos estremo messo a nudo in modo perfetto come in Shame, dove si riusciva a dare in modo eccellente la sensazione di disagio e tragedia che portava il protagonista sempre più a fondo e sempre più all’interno della sua dipendenza sessuale fino a quasi farlo diventare un essere senza volontà; eppure, dietro ad alcune sequenze che hanno la giusta grinta che si può riconoscere nel cinema di McQueen, un tipo di cinema che è ancora in continuo mutamento e miglioramento sotto certi aspetti, questi comunque decide, con 12 Anni Schiavo, di fare un lungometraggio un po’ troppo privo di coraggio e che si allinea con gli stan dar del genere storico. Non a caso non mancano le scene di violenza e i momenti dove i signori terrieri bianchi maltrattano, fino ad ucciderli, i lavoratori di colore, inoltre non sono messe da parte le conseguenze che hanno portato i vari mercati di schiavi né gli effetti nefasti della schiavitù, ma alla fine tutto questo non riesce a brillare di una propria originalità né tanto meno a sorprendere più di tanto. Se, forse, un anno fa Tarantino non avesse deliziato i nostri occhi con quel Django Unchained adesso potremmo dire che avremmo tra le mani un inedito lavoro onesto su cui fare qualche speculazione, ma sta di fatto che a distanza di così poco tempo vedere un prodotto che prende ancora una volta in causa queste tematiche porta necessariamente il pubblico a farne, istintivamente, un confronto con l’ultima fatica del regista di Pulp Fiction. Alla fine tutto ciò sarebbe tuttavia un grave errore, poiché 12 Years a Slave non vuole né pretende di essere paragonato a Django né attribuirsi il merito di definirsi migliore ad esso, ma con la sua moderazione ed i suoi limiti preferisce che venga visto come un altro lavoro incentrato su un preciso momento della storia degli Stati Uniti.
Rimane l’opera minore di McQueen, quella forse più influenzata da produttori e agenti esterni che ne hanno moderato la brutalità ed il realismo, ben girata e curata sotto l’aspetto estetico, 12 Anni Schiavo risulta essere tuttavia un film troppo stereotipato che offre allo spettatore esattamente quello che spera di vedere con tanto di (semi scontato) lieto fine. Al di là dell’epopea che vede il disgraziato Northup passare da violinista ad essere considerato come una bestia e a ricevere frustate notte e giorno dai propri padroni, la pellicola sembra quasi il manifesto di quel senso di colpa e vergogna che ancora oggi i (alcuni) bianchi nutrono e così appare fin troppo evidente ed altrettanto ovvia la metafora che vede il personaggio interpretato da Brad Pitt come l’uomo del ventunesimo secolo, colui che ha capito fin dal principio ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e che si oppone a questo abuso di potere con tanto di religione chiamata in causa.
I personaggio sono il vero anello debole dell’intera produzione poiché appaiono troppo piatti, poco approfonditi e mettono in luce la visione manichea del regista. Eccezion fatta per William Ford (un quasi dimenticabile Benedict Comberbatch) ogni uomo o donna presente in 12 Anni Schiavo è fin da subito schierato dalla parte dei giusti o degli schiavisti portando la pellicola a sentire la mancanza di quella ambiguità umana realistica e che alla fine avrebbe giovato al film. Ci sono, di conseguenza, buoni e cattivi e quest’ultimi sono principalmente tutti coloro che non sono di colore. Anche qui Tarantino era riuscito a fare una separazione con il suo lavoro molto meno scontata, facendo entrare in scena, per esempio, l’enigmatico personaggio di Samuel L. Jackson, maggiordomo nella tenuta di Candyland, a cui non importa nulla del colore della propria pelle e che offre i suoi servigi e la sua totale fedeltà al padrone. Quel che ne consegue è che 12 Anni Schiavo sia un film a cui mancano i giusti eccessi per considerarlo un vero capolavoro, sebbene offra alcune sequenze (come la fustigazione della povera Patseyinterpretata in modo convincente da Lupita Nyong’o) drammatiche degne di nota e rimanga tecnicamente valido, dove ancora una volta la telecamera di McQueen mostra il talento che quest’ultimo possiede e mette in mostra.
12 Years a Slave, potremmo dire, sta al popolo Americano come Schindler’s List stava all’Europa, dimostrando di essere un lavoro fatto quasi ed unicamente per rappresentare in modo abbastanza realistico (quasi come un documentario) l’orrore della schiavitù e delle persecuzioni degli abitanti di colore negli Stati Uniti. Eppure, se il nome sulla locandina non fosse quello di McQueen l’opera potrebbe essere concepita come un grandissimo lungometraggio degno dei più sinceri encomi, ma dato che è proprio il regista di Shame e Hunger a mettere mano a questa pellicola il dispiacere con cui si arriva ai titoli di coda è davvero considerevole. Mettiamo in chiaro una cosa: 12 Anni Schiavo è oggettivamente un buon film, diretto in modo impeccabile e curato sotto ogni singolo dettaglio, che gode di un cast in forma smagliante (inutile menzionare l’insuperabile Fassbender o la bravura dell’inglese Chiwetel Ejiofor nel ruolo del protagonista) e riesce farsi, in modo convincente, manifesto di quell’onta che affligge ancora l’America, ma non è un film del tutto libero (e qui sta il paradosso!). E’ un lungometraggio con dei limiti, un film quadrato, fatto per i critici e le persone che necessitavano di un opera che mostrasse loro l’orrore e gli errori del proprio popolo ma non mettesse completamente a nudo il dramma e la tragedia riguardo alla schiavitù. E’, potremmo dire, una pellicola abbastanza furba, che gode di una regia perfetta, ma che non va mai oltre il consentito (se non per due o tre sequenze), mettendo in luce tutto quanto ormai immaginiamo di vedere (o che presupponiamo) rimanendo nel complesso un prodotto quadrato, con personaggi stereotipati e privi di quel fascino e quell’ambiguità psicologica che aveva caratterizzato i lavori precedenti del cineasta.
In definitiva 12 Anni Schiavo è un prodotto da cui ci si aspettava molto di più, sebbene non sia assolutamente scadente o mal diretto, rimane troppo ordinario poiché quando un uomo ha il coraggio di raccontare gli giorni di agonia di un carcerato o di pretendere da un attore un nudo completo per un terzo del film è chiaro che questa volta, vedere McQueen al guinzaglio e messo a fare un lungometraggio che serva a manifestare la vergogna di un popolo è davvero deludente per chi aveva amato i precedenti lavori e si aspettava tanto dalla sua terza prova da regista. Privo di quella carica e quell’eccessiva cattiveria (ma mai abusata) di Hunger e Shame, 12 Anni Schiavo rimane un film godibile ed interessante, dietro al quale si cela un grandissimo autore la cui fantasia stavolta viene limitata probabilmente dai produttori. Peccato.
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[+] mcqueen al guinzaglio
(di kimkiduk)
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fedson
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lunedì 20 gennaio 2014
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solomon, il libero
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Solomon Northup è un giovane afroamericano abile con il violino. Ha una moglie, dei figli che ama e una casa in cui vivere felicemente la sua vita. Un giorno, ingannato da due malfattori, viene rapito e portato al Sud a lavorare come schiavo nelle piantagioni di cotone dove vi rimarrà per dodici anni. Senza famiglia, senza casa e senza un vero nome che gli appartiene, Solomon combatterà fino alla fine per guadagnarsi quella cosa che gli era di diritto quando viveva a New York: la libertà. Tratto da una storia vera, Steve McQueen affronta quello che può essere considerato il suo film più grande ed umano. La storia di un afroamericano inserito e costretto a lavorare nelle piantagioni del Sud ci viene mostrata ad occhi aperti, in tutta la sua crudeltà.
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Solomon Northup è un giovane afroamericano abile con il violino. Ha una moglie, dei figli che ama e una casa in cui vivere felicemente la sua vita. Un giorno, ingannato da due malfattori, viene rapito e portato al Sud a lavorare come schiavo nelle piantagioni di cotone dove vi rimarrà per dodici anni. Senza famiglia, senza casa e senza un vero nome che gli appartiene, Solomon combatterà fino alla fine per guadagnarsi quella cosa che gli era di diritto quando viveva a New York: la libertà. Tratto da una storia vera, Steve McQueen affronta quello che può essere considerato il suo film più grande ed umano. La storia di un afroamericano inserito e costretto a lavorare nelle piantagioni del Sud ci viene mostrata ad occhi aperti, in tutta la sua crudeltà. Più che un film, è un'opera che inietta nello spettatore un concentrato di emozioni che si trasformeranno in speranze nei confronti del povero Solomon. I suoi limpidi occhi, colmi di un dolore al di là di tutto ciò che può essere definito umano, li vediamo brillare mentre invocano desiderio e speranza nel cuore delle tenebre là, dove è obbligato contro la propria volontà a sotterrare la sua dignità di uomo libero. Lo si vede soffrire, lo si vede piangere e lo si vede nella sua solitudine di schiavo raccolto in mezzo a tanti, come se urlasse mentalmente il suo vero nome al mondo intero. Un nome, che gli verrà concesso solo se sarà così forte, intelligente e audace da riuscire a sopravvivere fino al giorno in cui, secondo il suo istitnto, l'inferno nel quale si troverà avrà una sua fine. Con una regia calda, intima e che, allo stesso tempo, propone immagini violente ma reali nella loro crudeltà, Steve McQueen ci offre una delle storie più grandi mai esistite nel mondo della schiavitù di metà '800 tramite un film oscuro e toccante, che non intende celare nel mistero quelle atrocità che riuscirono a lesionare - quasi a distruggere - la pelle scura degli uomini provenienti dal continente nero. Uomini che, come Solomon, potevano avere una famiglia, la speranza di tornare a casa dai propri cari, la possibilità di esultare il proprio nome a pieni polmoni all'intero mondo senza essere esclusi da chissà quali ignobili leggi. Uomini, che ambiscono alla loro sola libertà. Con un cast praticamente perfetto e di sconfinata bravura - dai grandi interpreti alle più piccole comparse - McQueen trionfa il 2013 (2014 in Italia) con un film composto non solo da una squadra di attori bravissimi - tra cui il suo fedele Fassbender, qui nei panni del losco schiavista Edwin Epps - ma anche da un cast tecnico impeccabile, intento ad esplorare nei meandri più nascosti quella disumanità dalla quale fuggirono pochi (anzi, pochissimi) schiavi del tempo. Il protagonista, interpretato da un eccellente Chiwetel Ejiofor - meritevole di tutti i plausi di questo mondo - è puro emblema di una libertà alla quale viene sottratto il proprio valore e che, per questo, non intende mollare neanche per un istante il sogno di ritornare alla vita di prima. E' vero, non si vede sorridere quasi mai il protagonista, nemmeno alla fine; perché l'infernali atrocità che questa gente ha dovuto patire ingiustamente, non avevano mai avuto il minimo diritto di ambire alla cosa che, ai giorni d'oggi, ci rende tutti uguali nel mondo: la libertà.
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giandrewe
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lunedì 13 gennaio 2014
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un capolavoro già entrato nella storia
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Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è un violinista nero, ma soprattutto un uomo libero. Un giorno, con un inganno, viene venduto come schiavo e da lì vivrà dodici anni da schiavo lavorando prima per il gentile Ford (Benedict Cumberbatch) finendo poi nella piantagione di cotone del perfido Edwin Epps (Michael Fassbender). Terzo film per Steve McQueen, terzo capolavoro, terza opera d'arte.
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Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è un violinista nero, ma soprattutto un uomo libero. Un giorno, con un inganno, viene venduto come schiavo e da lì vivrà dodici anni da schiavo lavorando prima per il gentile Ford (Benedict Cumberbatch) finendo poi nella piantagione di cotone del perfido Edwin Epps (Michael Fassbender). Terzo film per Steve McQueen, terzo capolavoro, terza opera d'arte. "12 Years a Slave" ha una splendida storia toccante, ma non buonista, che merita di essere conosciuta soprattutto perchè è presentata con una regia di gran classe, raffinata, suggestiva, elegante e spesso cruda che solo Steve McQueen sa fare. Sicuramente è il suo film più alla portata di tutti, anche se diverse scene sono per stomaci forti. Cast di livello ineccepibile a partire dal protagonista Chiwetel Ejiofor fino ai cammei di Alfre Woodard e Brad Pitt. Ejiofor, attore teatrale, regge alla grande il ruolo di Solomon e riconferma il suo talento da tempo sottovalutato, bravissimi Paul Dano e Benedict Cumberbatch, ma appena entra in scena il perfido Edwin Epps di Michael Fassbender gli occhi sono tutti su di lui. Un ruolo da cattivo con la c maiuscola, molto sfaccettato dove Fassbender mostra qui come non mai cosa significhi indossare un personaggio e calzarlo alla perfezione. Bravissima Sarah Paulson in un ruolo molto strano: materna con gli schiavi, ma in un millesimo di secondo perfida (anche lei con la p maiuscola) nei confronti della giovane schiava Patsey, del quale il personaggio di Fassbender è palesemente attratto. Superba Lupita Nyong'o (Patsey) che al suo debutto cinematografico interpreta Patsey in modo magistrale. Un ruolo toccante, ma soprattutto indimenticabile, come questo film. "12 Years a Slave" cattura sin dal primo secondo e lo spettatore non riesce a staccargli gli occhi di dosso per tutti i 130 minuti. Musiche di Hans Zimmer non molto presenti, ma efficaci. Come in "Hunger" ed in "Shame" anche qui McQueen colpisce molto di più con i lunghi silenzi.
Qualsiasi premio è decisamente meritato. Speriamo faccia incetta di Oscar!
Un must see, un grande capolavoro che verrà sicuramente ricordato nei secoli dei secoli. Amen.
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