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raul zecca castel
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sabato 1 marzo 2014
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un film di bianchi sui bianchi per bianchi
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La storia è vera e ormai nota. Siamo nel 1841, Stato di New York. Solomon Northup è un affermato violinista che conduce una vita agiata e confortevole insieme alla moglie Anne e ai suoi due figli Margaret e Alonzo. Ma soprattutto, Solomon è un uomo nero, merce assai preziosa negli Stati del Sud, dove la schiavitù è un affare a dir poco redditizio. Per questo viene rapito con l’inganno, trafugato e venduto come schiavo al proprietario di una piantagione della Louisiana, dove trascorrerà dodici terribili lunghi anni, tagliando canna da zucchero, disboscando e raccogliendo fiocchi di cotone, il tutto tra schioccar di fruste, impiccagioni, stupri e altre atrocità.
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La storia è vera e ormai nota. Siamo nel 1841, Stato di New York. Solomon Northup è un affermato violinista che conduce una vita agiata e confortevole insieme alla moglie Anne e ai suoi due figli Margaret e Alonzo. Ma soprattutto, Solomon è un uomo nero, merce assai preziosa negli Stati del Sud, dove la schiavitù è un affare a dir poco redditizio. Per questo viene rapito con l’inganno, trafugato e venduto come schiavo al proprietario di una piantagione della Louisiana, dove trascorrerà dodici terribili lunghi anni, tagliando canna da zucchero, disboscando e raccogliendo fiocchi di cotone, il tutto tra schioccar di fruste, impiccagioni, stupri e altre atrocità. Solo grazie al provvidenziale intervento di un convinto abolizionista bianco la vicenda di Solomon trova il felice epilogo della libertà riconquistata, ma il prezzo per la trasposizione cinematografica della sua autobiografia è davvero troppo alto. E purtroppo non si ferma al costo del biglietto.
Un film attesissimo, già vincitore di un Golden Globe e candidato a nove premi Oscar. E la cosa non stupisce affatto, poiché si tratta di un film squisitamente, visceralmente e a tratti perfino noiosamente americano, del tutto in linea con lo spirito autocelebrativo caratteristico del cinema – e non solo – statunitense. Diversamente da ciò che forse vorrebbe essere, 12 anni schiavo è un film di bianchi, per bianchi, sui bianchi. Il vero protagonista, come aveva ben inteso la BIM – la casa di distribuzione italiana -, è l’abolizionista Samuel Bass, interpretato da Brad Pitt e finito in primo piano sui poster pubblicitari della pellicola.
“Abbiamo sbagliato e chiediamo scusa, è stato un errore di valutazione”, ha poi dichiarato il direttore generale della BIM Antonio Medici. Ma il dubbio è che l’affermazione sia stata espressa solo per placare le polemiche, dal momento che la valutazione pareva invece molto appropriata. Sebbene canadese, Samuel Bass incarna alla perfezione quell’America saggia perché consapevole delle proprie debolezze, capace di riconoscere gli errori commessi e di riparare il debito. È quello di Samuel Bass il volto vincente, sano e riappacificante del lieto fine. Ma il conto, dice il proverbio, si fa con l’oste e Steve McQueen è sembrato dimenticarsene. Troppo comodo pensare che una nazione possa sbarazzarsi del senso di colpa storico contratto con la schiavitù e il razzismo attraverso l’idea che, per dirla ancora una volta con un altro proverbio, tutto è bene quel che finisce bene. Senza considerare, inoltre, la sospetta sensazione, che si insinua poco alla volta in chi assiste al film, di percepire un messaggio quantomeno imbarazzante, vale a dire che, in fondo, questi neri non stavano poi così male nelle piantagioni sudiste, sempre che fossero buoni lavoratori.
Certo che vi erano padroni sadici e spietati, ma era davvero la regola generale? E la loro frusta non puniva solo gli indomiti? Le immagini quasi idilliache delle belle casette adibite agli schiavi neri, così come quelle che si soffermano sui momenti di meritato riposo e sulla irrealisticamente conviviale raccolta del cotone stridono e feriscono ben più dei ripetuti colpi di frusta che la povera Patsey (Lupita Nyong’o) ha dovuto subire durante una delle scene più impattanti del film, cruenta quanto basta per far tornare alla memoria La passione di Cristo nella versione splatter di Mel Gibson. Eppure la schiena suppliziata di Patsey, al di là dell’orrore e del disagio fisico che suscita, non denuncia la sofferenza peggiore: la vergogna e l’abiezione del razzismo e della schiavitù.
Ma non è tutto. Per entrare nel merito della critica cinematografica, dato per assunto il privilegio che la regia conferisce all’estetica (sacrificandone l’etica), resta il fatto che le interpretazioni degli attori non sono affatto magistrali, complice una dimensione a tratti caricaturale dei personaggi, specie in Edwin Epps (Michael Fassbender), il bianco cattivo, così come in Samuel Bass (Pitt), il salvifico bianco buono. Per quanto riguarda il ruolo del protagonista, Solomon, risulta discutibile la stessa scelta di Chiwetel Ejifor, incapace persino di essere inespressivo.
Concludendo, un’occasione mancata. 12 anni schiavo è un film debole, freddo e piatto, che non coinvolge e non emoziona, perché evita la complessità e la profondità della riflessione a favore di una sceneggiatura semplicisticamente lineare in cui alcuni dialoghi risultano talmente didascalici da sfiorare la banalità. Uniche note positive quelle della colonna sonora (per cui non è candidato all’ambita statuetta dorata) ed, evidentemente, la scenografia. Non dubitate, dunque. Il film sarà un successo agli Academy Awards, ma noi potremo consolarci con il pensiero che Queimada, nel lontano 1969, non ottenne nemmeno una candidatura agli Oscar.
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pier delmonte
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sabato 1 marzo 2014
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praticamente perfetto
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avevo visto quello sulla schiavitu' di Tarantino e mi era piaciuto, questo lo batte, quindi c'e' poco da dire, trattasi di capolavoro. Qua, oltre alla cruda e bestiale condizione dei neri, rappresentata alla perfezione, si tocca la questione del furto di identita' di uomo libero e quello che ne consegue, e poi ottime sequenze , recitazione e fotografia e poi c'e' una scena... beh,da sola vale il film!!! Complimenti Steve Mcqueen!
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luigi8421
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venerdì 28 febbraio 2014
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meraviglioso
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davvero un bellissimo film, drammatico ed emozionante. non do cinque stelle solamente perchè sono abituato a darli solo ai quei due-tre film che io considero capolavori assoluti senza errori.
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effemmecinema
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giovedì 27 febbraio 2014
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mcqueen un passo indietro alle sue potenzialità!
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Il nuovo film di Steve McQueen è basato sulla storia vera di Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), talentuoso violinista che nel 1841 viveva in America da uomo libero, nella contea di Saratoga (New York). Con l’inganno di due falsi agenti dello spettacolo fu rapito e ridotto in catene fino al 1853. Suo il libro “12 anni schiavo”, da cui il titolo della pellicola.
Sulla durezza della schiavitù e la collera del “padrone” come condizione costante non nutrivamo dubbi: le schiene martoriate dalla frusta e le umiliazioni che ci propone questa pellicola rinverdiscono le nostre certezze, senza concederci sconti.
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Il nuovo film di Steve McQueen è basato sulla storia vera di Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), talentuoso violinista che nel 1841 viveva in America da uomo libero, nella contea di Saratoga (New York). Con l’inganno di due falsi agenti dello spettacolo fu rapito e ridotto in catene fino al 1853. Suo il libro “12 anni schiavo”, da cui il titolo della pellicola.
Sulla durezza della schiavitù e la collera del “padrone” come condizione costante non nutrivamo dubbi: le schiene martoriate dalla frusta e le umiliazioni che ci propone questa pellicola rinverdiscono le nostre certezze, senza concederci sconti.
Piaghe, lacrime, urla di rabbia e di dolore, volti sofferenti: supplicare la morte o comprare la pietà sono chimere avvelenate o impossibili, la libertà talvolta ha un prezzo ma non è mai un diritto.
Tutto cammina su binari che difficilmente potrebbero procedere altrimenti e che purtroppo immaginavamo, eppure ben presto ci troviamo come disorientati e quasi annoiati, ad interrogarci su cosa non funzioni.
Forse la prova del protagonista Ejiofor, dal quale pretenderemmo si affacciassero chissà quali abissi imperscrutabili dell’animo umano? E’ buona la sua interpretazione ma è solo un tiepido antagonista per il fiero e “cristologico” Bobby Sands/Michael Fassbender, visto nel capolavoro “Hunger” (qui è nel ruolo del sadico schiavista Edwin Epps).
Manca il contraltare che accompagnava l’ostentazione dei “corpi” dei precedenti lavori di McQueen: la tensione tagliente e palpabile delle carceri Inglesi, le atmosfere angosciose e disturbanti di “Shame”. Osserviamo tutto quanto accade ma quasi mai oltrepassiamo davvero le barriere emotive, poco ci addentriamo nelle dinamiche psicologiche.
Riassume i conflitti del contesto generale uno scambio fin troppo “elementare” di idee nel dialogo tra l’abolizionista Samuel Bass (Brad Pitt) e Northup, distante anni luce dal possente “incrocio verbale” tra prete e detenuto del già citato “Hunger”.
Troppa realtà “esposta al solo sguardo”, con poca altra rielaborazione. Sofferenze e pensieri sono sopraffatti dalle lacerazioni della carne e arriviamo senza sussulti alla fine, mentre avremmo voluto sapere molto di piu’ “del viaggio” che ci fino a quel punto ci ha condotto.
FRANCO
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enzo70
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mercoledì 26 febbraio 2014
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il dramma eterno dell'uomo visto da mc queen
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Visto che è dalla parte del pubblico, è inutile dilungarsi nelle chiacchiere, tipiche della critica, molto meglio una cronaca della sala cinematografica durante la proiezione di questo bellissimo film di Steve Mc Queen. All’inizio silenzio, il film ha diverse sovrapposizioni temporali che creano un po’ di sconcerto, poi la storia si ricompone sullo schermo e lo spettatore inizia a rilassarsi. Ma dura poco, questo non è un film da spa o per signorine, storia vera, drammaticamente vera, quella di Solomon Northup, magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor, uomo libero divenuto schiavo. E mentre sullo schermo vanno in onda le scene del dramma di Solomon, l’angoscia domina la sala, il fiato diventa corto, si sente, ogni frustata che dilania le carni degli schiavi arriva dritta nella sala cinematografica, dritta al cuore; ogni angheria di ogni sovraintendente, meschinità dell’uomo che offende l’uomo, unisce la sala in un silenzio fatto solo di silenzio ed angoscia.
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Visto che è dalla parte del pubblico, è inutile dilungarsi nelle chiacchiere, tipiche della critica, molto meglio una cronaca della sala cinematografica durante la proiezione di questo bellissimo film di Steve Mc Queen. All’inizio silenzio, il film ha diverse sovrapposizioni temporali che creano un po’ di sconcerto, poi la storia si ricompone sullo schermo e lo spettatore inizia a rilassarsi. Ma dura poco, questo non è un film da spa o per signorine, storia vera, drammaticamente vera, quella di Solomon Northup, magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor, uomo libero divenuto schiavo. E mentre sullo schermo vanno in onda le scene del dramma di Solomon, l’angoscia domina la sala, il fiato diventa corto, si sente, ogni frustata che dilania le carni degli schiavi arriva dritta nella sala cinematografica, dritta al cuore; ogni angheria di ogni sovraintendente, meschinità dell’uomo che offende l’uomo, unisce la sala in un silenzio fatto solo di silenzio ed angoscia. Poi prende la scena Michael Fassbender, l’attore preferito di Mc Queen, ed il tono della storia diventa ossessivo, il rigore dell’uomo prende il sopravvento sulle meschinità dell’umanità, le contraddizioni si sentono, gli spettatori venuti in coppia parlano tra di loro, chi sta da solo, parla da solo, come può un uomo, disse una canzone. Poi arrivano i buoni, per una volta nella storia il nord ha avuto ragione, Salomon è tornato libero ed ha avuto la possibilità di scrivere la sua storia e far uscire intensi lacrimoni ai sempre più attoniti spettatori. E un film è un grande film quando alla fine, mentre scorrono i titoli di coda, tutti rimangono seduti senza parlare, diventa difficile lasciare quella poltrona dove abbiamo appreso la storia di Salomon.
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pascale marie
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mercoledì 26 febbraio 2014
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libertà rubata
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Steve McQueen con questo film, tratto purtroppo da una storia vera, si è riconfermato un grande regista e tutto il suo cast ha lavorato molto bene, soprattutto Michael Fassbender che ha dato prova ancora una volta, della sua bravura, interpretando magistralmente il ruolo di Edwin Epps. Il tema della storia, lo schiavismo, è uno dei più imbarazzanti per il genere umano, e al di là dello schermo, ci sembra inverosimile ed incredibile che sia realmente esistito e che tali cattiverie, atrocità e brutalità siano state veramente inflitte ad esseri umani e solo " per un colore ". Mi viene spontaneo paragonarlo allo sterminio degli ebrei e non posso che rabbrividire.
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Steve McQueen con questo film, tratto purtroppo da una storia vera, si è riconfermato un grande regista e tutto il suo cast ha lavorato molto bene, soprattutto Michael Fassbender che ha dato prova ancora una volta, della sua bravura, interpretando magistralmente il ruolo di Edwin Epps. Il tema della storia, lo schiavismo, è uno dei più imbarazzanti per il genere umano, e al di là dello schermo, ci sembra inverosimile ed incredibile che sia realmente esistito e che tali cattiverie, atrocità e brutalità siano state veramente inflitte ad esseri umani e solo " per un colore ". Mi viene spontaneo paragonarlo allo sterminio degli ebrei e non posso che rabbrividire. Certe scene crude e terrificanti che il regista ci ha esplicitamente mostrato, non fanno scalpore per se stesse, non sono immagini solo di un film o di una fiction, ma fanno scalpore perchè sono fatti realmente accaduti e solo per questo dovremmo scandalizzarci. Il regista è solo un reporter che cerca di informarci su avvenimenti storici e che svolge il suo lavoro in maniera corretta e sincera. Solomom Northup di Saratoga, nello Stato di New York, era un uomo libero, un uomo e padre amato ed un apprezzato violinista che con l'inganno è stato incatenato, venduto come schiavo e deportato in Louisiana, uno degli Stati del Sud, dove nel 1841 lo schiavismo era praticato e confermato dalla Legge. Solomon "sballottato" come merce da un padrone all'altro, e dopo aver assaporato un briciolo di bontà dal gentile ma debole Mr. Ford, finisce a raccogliere il cotone nella piantagione dello spietato, crudele e sadico Edwin Epps e di sua moglie. I coniugi Epps non risparmiano insulti e terribili umiliazioni corporali e verbali a nessuno e come Solomon, la giovane Patsy è il bersaglio, dove a fasi alternate si scatena il folle capriccioso amore e la crudele follia di Epps, che consapevole della sua malvagità sembra goderne. Solomon, con la sua incredibile pazienza e la sua grande e sorprendente dignità riesce a sopravvivere ad Epps e la speranza di tornare un giorno libero si fa reale quando incontra Mr. Bass, un libero costruttore di case del Nord, che informerà la famiglia delle sue condizioni reali. Una visita inaspettata alla casa di Epps, dove Solomon messo a confronto riconosce Mr. Parker, sarà la fine dei suoi incubi e gli ridarà, dopo 12 anni di inferno, la libertà e niente valgono le urlanti recriminazioni di Epps per la "sua proprietà" che gli viene sottratta. Solomon non vincerà le cause legali, ci vorrà ancora qualche anno prima che un repubblicano di nome Lincoln abolirà anche negli Stati del Sud la schiavitù. Questo film dovrebbe far pensare e riflettere tutti noi, per quello che è avvenuto ma soprattutto perchè situazioni così non si ripetano mai più in nessun Paese del Mondo e per nessun essere umano. Siamo tutti uguali e tutti abbiamo il diritto di vivere dignitosamente per quello che siamo, non importa il colore, la religione o chi amiamo, la nostra vita è la cosa più preziosa che ogni uomo, donna deve rispettare. Questa è la mia speranza e sono convinta anche del regista e di tutti Voi. Film da vedere.
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antonio cataldi
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mercoledì 26 febbraio 2014
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non condivido
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a me pare che la recensione non sia molto chiara nella sua analisi e meno ancora nelle sue conclusioni. Ridurre la potenza evocativa di questo film a sole proiezioni neurotiche del regista mi sembra quantomeno riduttivo e fuorviante. Ma se anche fosse azzeccata tale interpretazione, ebbene in tal caso (si potrebbe dire) le angosce di un regista si sono sintonizzate assai bene con una tragedia storica dalle proporzioni gigantesche, di cui a tutt'oggi si è riusciti a dare solo una immagine ben sbiadita.
A mio modesto avviso, il punto a molti non è ancora chiaro: la tragedia della schivitù dei neri o dei negri, si è protratta per diversi secoli con decine e decine di milioni di morti ammazzati in condizioni a dir poco terribili (nelle traversate sull'oceano dall'Africa alle Americhe a bordo delle navi negriere, nel processo di annientamento della propria identità-origine africana, nelle condizioni a dir poco bestiali a cui erano sottoposte le loro esistenze, ecc.
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a me pare che la recensione non sia molto chiara nella sua analisi e meno ancora nelle sue conclusioni. Ridurre la potenza evocativa di questo film a sole proiezioni neurotiche del regista mi sembra quantomeno riduttivo e fuorviante. Ma se anche fosse azzeccata tale interpretazione, ebbene in tal caso (si potrebbe dire) le angosce di un regista si sono sintonizzate assai bene con una tragedia storica dalle proporzioni gigantesche, di cui a tutt'oggi si è riusciti a dare solo una immagine ben sbiadita.
A mio modesto avviso, il punto a molti non è ancora chiaro: la tragedia della schivitù dei neri o dei negri, si è protratta per diversi secoli con decine e decine di milioni di morti ammazzati in condizioni a dir poco terribili (nelle traversate sull'oceano dall'Africa alle Americhe a bordo delle navi negriere, nel processo di annientamento della propria identità-origine africana, nelle condizioni a dir poco bestiali a cui erano sottoposte le loro esistenze, ecc. ). Alla luce di ciò, mi sembra pertanto assai superficiale e fuorviante ridurre il tentativo cinematografico di Mc Qeen a semplice ennesima estrinsecazione di sue personali ossessioni.
La tratta degli schiavi africani ha molti elementi in comune con quanto accaduto nei campi di concentramento nazisti. Solo che a tutt'oggi la sedicente America-terra-di-opportunità-libertà questo non riesce ancora a sopportarlo.
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jacopo b98
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mercoledì 26 febbraio 2014
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un film bello con una sceneggiatura affrettata
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Nel 1848 Solomon Northup (Ejiofor) è un uomo di colore libero che esercita con passione la sua professione di violinista. Ma due uomini un giorno lo ingannano, lo ubriacano e lo vendono come schiavo. Sperimenterà sulla sua pelle la schiavitù per dodici lunghi anni. È una storia vera quella al centro del terzo film dell’inglese Steve McQueen, sceneggiato da John Ridley. Anzi, è addirittura tratta dalle memorie scritte dallo stesso Northup. Quindi non c’è fonte più autorevole di uno che la schiavitù la vissuta sulla propria pelle per raccontare una storia sul tema già trattato molte volte della schiavitù. E McQueen sembra il cineasta perfetto per fare un film del genere: è un regista eccezionale, ha una grandissima capacità nella messa in scena, dirige divinamente gli attori, sa crearsi un’ottima troupe e per di più, fiore all’occhiello di questo giovane regista inglese, è esterno all’ambiente hollywoodiano.
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Nel 1848 Solomon Northup (Ejiofor) è un uomo di colore libero che esercita con passione la sua professione di violinista. Ma due uomini un giorno lo ingannano, lo ubriacano e lo vendono come schiavo. Sperimenterà sulla sua pelle la schiavitù per dodici lunghi anni. È una storia vera quella al centro del terzo film dell’inglese Steve McQueen, sceneggiato da John Ridley. Anzi, è addirittura tratta dalle memorie scritte dallo stesso Northup. Quindi non c’è fonte più autorevole di uno che la schiavitù la vissuta sulla propria pelle per raccontare una storia sul tema già trattato molte volte della schiavitù. E McQueen sembra il cineasta perfetto per fare un film del genere: è un regista eccezionale, ha una grandissima capacità nella messa in scena, dirige divinamente gli attori, sa crearsi un’ottima troupe e per di più, fiore all’occhiello di questo giovane regista inglese, è esterno all’ambiente hollywoodiano. Insomma era l’occasione perfetta per realizzare il film sulla schiavitù definitivo. Quello che mai nessuno avrebbe tentato di eguagliare: un’opera importante, su un tema importante, con un cast stellare e priva dei soliti sentimentalismi hollywoodiani. Detto. Fatto. Dopo quasi un anno di attesa è arrivato in America 12 Years a Slave, presentato al Festival di Toronto, dove ha vinto il prestigiosissimo premio del Pubblico. E infine anche qui in Italia abbiamo potuto goderci il nuovo film di McQueen che arriva dall’America forte di critiche che dire entusiastiche è dire poco: Di film così ce n’è uno ogni mille (Los Angeles Times); Magistrale, strepitoso, un film che rimarrà nella leggenda (The Huffington Post); Potente, magnifico, sbalorditivo (The New York Times); Il film dell’anno (The Independent). Le prime recensioni italiane sono state invece fin da subito più fredde (tanto per cambiare: gli americani esagerano da una parte, noi dall’altra) nei confronti del film. Ora ho visto 12 anni schiavo ieri sera e, che dire? Diciamo subito che il film è bello, molto bello, e si guadagna senza problemi le sue più che onorevoli e meritate tre stelline. Ma veniamo al dunque: com’è veramente questo film? È la storia di un uomo che da libero diventa uno schiavo. E occhio! Non ho detto che diventa un cavallo, non diventa un cane. Diventa uno schiavo: meno di tutto ciò. Uno schiavo non è nulla. È un qualcosa che svolge un lavoro. Solomon all’inizio cerca di essere forte e ribellarsi ma quello che il film mostra è proprio la prostrazione sì fisica, ma soprattutto psicologica del nostro povero Solomon Northup. Perché se per dodici anni si cerca di essere considerati uomini, ma tutti ti considerano un verme, tu diventi un verme. E solo con la ribellione si può mantenere un po’ della propria dignità. Cosa succede se ti ribelli? Ti frustano. E una frustata fa male, è vero. Ti strappa la pelle dalla schiena, d’accordo. Ma soprattutto ti distrugge l’anima. Distrugge la tua dignità. E un uomo senza dignità diventa un verme: uno schiavo. Ed è a questo che punta il sadico schiavista Edwin Epps, interpretato da un terrificante Michael Fassbender. La scena più forte del film è proprio quella in cui a venire frustata è Patsie (Lupita Nyong’o), oggetto della contesa tra Epps, che la violenta per divertimento, e la signora Epps (Sarah Paulson) che la picchia, la taglia, le lancia una bottiglia in un occhio, come segno di tutto il suo odio. Ebbene tornando alla scena della fustigazione lì si vede davvero la totale umiliazione, fisica e psicologica. Si vede una persona la cui dignità è stata strappata via (simbolico è proprio il fatto che Epps prima di legarla all’albero le strappi tutti i vestiti). E fin qui dieci e lode. Quello che meno funziona è il film nel suo complesso in quanto alla fin fine quella di Solomon è una storia come tante altre che già sono state raccontate, e l’originalità della riflessione che viene fatta da McQueen si perde un po’ in una trama già vista e non così interessante. Insomma l’anello debole della catena è la sceneggiatura di John Ridley che conclude il film in modo troppo frettoloso: neanche cinque minuti prima della fine del film Solomon è ancora più che schiavo e dopo pochissimi minuti partono i titoli di coda. Perché tanta fretta?! Al massimo si sarebbe potuta tagliare qualche fustigazione per poter dare maggior respiro al finale, o senza modificare il prima semplicemente allungare ancora un po’ un film peraltro già abbastanza lungo. Per di più ci sono troppi, troppi personaggi in un film che approfondisce per bene praticamente solo il suo protagonista, lo schiavista Epps e il primo padrone William Ford (un perfetto Benedict Cumberbatch). La stessa Patsie, personaggio di fondamentale importanza nella contesa che ha luogo nella piantagione di Epps, è approfondita molto poco. Lasciamo poi perdere il personaggio (forse andrebbe definito cameo o comparsa) di Brad Pitt, che in fondo è fondamentale: è lui il fautore della libertà di Solomon. E appare in una sola, breve scena in cui non si chiarisce bene neanche chi sia, perché non sia razzista come tutti gli altri, ecc. Per il resto si può ancora discutere un certo sentimentalismo nella scena finale che cerca disperatamente di strappare le lacrime allo spettatore, proprio come nella miglior tradizione di hollywood. Insomma non è affatto brutto 12 anni schiavo solo contraddittorio in molti punti, nel finale, nell’approfondimento dei personaggi… Per il resto la confezione è perfetta: attori in gran forma (oltre a Fassbender e Cumberbatch, bravissimi Chiwetel Ejiofor e la keniota Lupita Nyong’o); stupenda fotografia di Sean Bobbitt, musiche perfette di Hans Zimmer (che quest’anno almeno una nomination agli Oscar l’avrebbe meritata, dati i suoi molti, splendidi lavori nel 2013), scenografie e costumi impeccabili. Insomma 12 anni schiavo è un bellissimo film, che talvolta inciampa, grazie soprattutto ad una sceneggiatura mediocre. Meno male che a salvare tutto ci pensa Steve McQueen, che quest’anno un Oscar al miglior regista lo meriterebbe davvero.
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jaylee
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mercoledì 26 febbraio 2014
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la schiavitù secondo steve mc queen
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Tematica tanto delicata quanto di elezione per il cinema USA quella trattata da Steve McQueen... Da Il Buio Oltre la Siepe (1962) in poi, la questione razziale, in particolare sulla condizione dei neri è sempre stata una ferita aperta, con risultati generalmente buoni. Interessante stavolta, risulta poi il fatto che si tratti del contributo di un regista nero (britannico), peraltro basato su una storia vera: Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è un violinista nero di New York che nel 1841 viene rapito e portato in Georgia dove ancora vige la schiavitù: senza alcuna possibilità di dimostrare la propria identità, Solomon viene venduto come schiavo e la sua situazione rimarrà tale per ben 12 anni.
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Tematica tanto delicata quanto di elezione per il cinema USA quella trattata da Steve McQueen... Da Il Buio Oltre la Siepe (1962) in poi, la questione razziale, in particolare sulla condizione dei neri è sempre stata una ferita aperta, con risultati generalmente buoni. Interessante stavolta, risulta poi il fatto che si tratti del contributo di un regista nero (britannico), peraltro basato su una storia vera: Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è un violinista nero di New York che nel 1841 viene rapito e portato in Georgia dove ancora vige la schiavitù: senza alcuna possibilità di dimostrare la propria identità, Solomon viene venduto come schiavo e la sua situazione rimarrà tale per ben 12 anni.
La trama racconta delle strategie di sopravvivenza di Solomon all'interno di due piantagioni, raccontata con crudezza e dovizia di dettagli espliciti, e dei suoi tentativi di tornare alla sua famiglia di New York.
Ejiofor molto bravo, alcune scene sono davvero molto credibili e prive di manierismo: una su tutte, un canto gospel al funerale di uno dei compagni di sventura, al quale finalmente si unisce dopo aver rifiutato fino ad allora, quasi a rivendicare la sua educazione di uomo libero e di ragione, diverso in tutto dai suoi compagni se non nel colore della pelle, e che si affida ad un potere superiore, una volta che tutta la sua fede nel genere umano è ormai tramontata. E se Ejiofor con la sua interpretazione rischia seriamente di portarsi a casa l'oscar, molto bene emergono anche i vari Paul Dano, Benedict Cumberbatch, e la coppia di sadici padroni Sarah Paulson e Michael Fassbender (ormai inseparabile dal regista, al suo terzo ruolo dopo Hunger e Shame), tanto crudeli quanto primitivi nella loro concezione razziale di schiavo=proprietà al pari di un cavallo o di una casa, con lui che, naturalmente, finisce con l'avere una relazione con la schiava nera prediletta (la giovane e promettente Lupita Nyong'o, davvero bravissima anche lei). In qualche modo, Fassbender ricorda l'Amon Goeth di Schindler's List (un Ralph Fiennes memorabile a sua volta), la personificazione di un male quasi banale quanto estremo. Basti pensare a quelle scene in cui i padroni leggono la Bibbia ai propri schiavi... La sola contraddizione di questo basta a lasciare sbigottiti su quanto alieno fosse quel mondo, eppure non certo preistoria della civiltà occidentale.
In questa pellicola, Mc Queen si discosta significativamente dai suoi precedenti lavori, a favore uno stile più tradizionale, quasi spielbergiano nella narrazione visiva (non a caso, Spielberg ha affrontato due volte la tematica razziale, con Amistad e Il Colore Viola) anche se decisamente più esplicito e crudo rispetto al suo modello. Il film è senz'altro ben fatto, ma purtroppo senza particolari slanci, ed appare tutto già visto... Si direbbe quasi un film "necessario", vista la tematica "reale" della storia, ma con tutta una serie di limiti che di fatto finiscono con l’aggiungere virtualmente pochissimo ai suoi predecessori, , se non un valore di testimonianza a quanto vicina a noi, sia per tempo che per luogo, può essere la barbarie.
E se Mc Queen dimostra molto coraggio nell’affrontare un film di dimensioni decisamente più kolossal dei suoi precedenti lavori, allo stesso tempo perde quel suo tocco essenziale e metallico che lo aveva ben contraddistinto: ingegnerizzazione finalizzata all’Oscar?
Educativo più che evocativo. (www.versionekowalski.it)
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flaw54
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mercoledì 26 febbraio 2014
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niente di nuovo
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L'argomento e' conosciuto e trattato da Mcqueen secondo i soliti canoni dello schiavismo. Sinceramente il film genera poco pathos per una regia piuttosto uniforme e una recitazione abbastanza scolastica ( mi chiedo come il protagonists possa essere candidato all' Oscar visto che mantiene ls stessa espressione in tutto il film). Il tutto appare fuori dalla storia piu' ampia della realta' americana dell'epoca e lo scorrere del tempo non appare tale tantoche, come dice il mio amico avvocato, passano 12 anni ma non sembra che siano passati neppure 12 mesi.
[+] che freddezza!!!
(di pascale marie)
[ - ] che freddezza!!!
[+] una piacevole risposta
(di flaw54)
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