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nikthequik
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mercoledì 26 febbraio 2014
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potente, crudo, umano
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Se McQueen ci ha fatto provare emozioni forti con Hunger e Shame, qui ci fa uscire dal cinema come se avessimo subito anche noi le frustate, si esce dalla sala provati fisicamente.
Attori meravigliosi veramente straordinari, Ejiofor e Lupita su tutti, ti trasportano in questa incredibile storia di schiavitù e ingiustizie, Brad Pitt si infila visto che è produttore ma con scarsi risultati.
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Se McQueen ci ha fatto provare emozioni forti con Hunger e Shame, qui ci fa uscire dal cinema come se avessimo subito anche noi le frustate, si esce dalla sala provati fisicamente.
Attori meravigliosi veramente straordinari, Ejiofor e Lupita su tutti, ti trasportano in questa incredibile storia di schiavitù e ingiustizie, Brad Pitt si infila visto che è produttore ma con scarsi risultati.
Utilizzo del sonoro perfetto e moderno, soprattuto nelle scene delle funzioni religiose che spiazza ed emoziona.
Non è il genere di film da vedere per passare una serata tranquilla perché è di una forza e potenza allucinanti. McQueen garanzia di emozioni crude, forti e vere.
Attendetevi le lacrime durante la proiezioni...quindi due e tre fazzoletti servono.
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michele
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mercoledì 26 febbraio 2014
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steve mcqueen non è come gli altri
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Steve McQueen è uno dei registi contemporanei più interessanti del panorama cinematografico mondiale. Dopo due film più piccoli dal punto di vista della produzione, come ‘Hunger’ e ‘Shame’ che sono stati acclamati dalla critica e dal pubblico, è giunto per il video artista londinese il momento di confrontarsi con un film ad alto budget. E’ arrivata Hollywood nella sua vita. La storia è molto semplice, siamo in America nel 1841 e un talentuoso violinista di colore, Solomon Northup, viene rapito con l’inganno e portato in Louisiana, dove sarà schiavo nelle piantagioni di cotone per dodici anni, senza che la moglie e i due figli sappiano più niente di lui. Chi pensa di andare al cinema e di assistere al classico film hollywoodiano che come tutti i biopic (la storia è vera, tratta dalle memorie scritte del protagonista) procede in maniera didascalica, pieno zeppo di cliché narrativi, si sbaglia. Di questa struttura narrativa fortemente standardizzata, il film ne ripercorre a grandi linee le forme, ma non ne è mai vittima. Il lavoro di promozione che è stato fatto sulla pellicola (trailer e pubblicità varie) faceva credere effettivamente questo, ma in realtà non siamo di fronte ad un prodotto confezionato ad hoc, con musiche trionfanti verso il finale alla John Williams e farcito di sentimentalismi retorici, una sorta di Schindler’s List sulla schiavitù per intendersi. Il regista riesce a conferire in maniera abbastanza pregnante il suo stile alla pellicola, regalandoci delle immagine evocative di forte impatto e di reale crudezza, iperrealiste e nel fare questo a volte è perfino eccessivamente freddo, molto distaccato, tant’è che proprio quelle emozioni così intense che uno si aspetta di provare di fronte ad una storia come questa (seppur ripeto, con il rischio di sfociare in un vasto patetismo) vengono a mancare nella forma più classica che conosciamo, ma in questo caso non è un difetto, ma piuttosto un pregio. Gran bel film nel complesso, anche se nella parte centrale si evince una leggera piattezza narrativa che fa un po’ arrancare la storia. Da segnalare una scena su tutte (quella della sua tentata impiccagione), di grande fattura, di grande cinema e un finale toccante, seppur asciutto ed essenziale allo stesso tempo. McQueen si conferma un regista di grandissimo livello, soprattutto in questo caso, dove il tranello era in agguato. Nove nominations agli Oscar, parte come favorito per fare incetta di premi, ne merita alcuni, ma non tutti, non miglior film.
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(di dodix2013)
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pisiran
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martedì 25 febbraio 2014
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essere umani??
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Il capitalismo, quello peggiore, che ha dato vita alla schiavitù, e ha prodotto quanto di peggio poteva fare l'Essere Umano ad un suo simile, è ben rappresentato da questa pellicola diretta da Steve McQueen. Il film tratto da una storia vera, prende per la gola lo spettatore che assiste a quanta cattiveria può scatenare un Essere Umano verso un suo simile sentendosi tutelato dalle leggi correnti.Ci si può vergognare del nostro candido colore davanti a tanta crudeltà, e ci si può vergognare anche dei nostri avi così sinistri nel mettere in atto tali situazioni. Il film a tratti un pò lento è quasi per intero sottilineato dal pianto tanto da soppiantare una colonna sonora di un grande autore quale Hans Zimmer.
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Il capitalismo, quello peggiore, che ha dato vita alla schiavitù, e ha prodotto quanto di peggio poteva fare l'Essere Umano ad un suo simile, è ben rappresentato da questa pellicola diretta da Steve McQueen. Il film tratto da una storia vera, prende per la gola lo spettatore che assiste a quanta cattiveria può scatenare un Essere Umano verso un suo simile sentendosi tutelato dalle leggi correnti.Ci si può vergognare del nostro candido colore davanti a tanta crudeltà, e ci si può vergognare anche dei nostri avi così sinistri nel mettere in atto tali situazioni. Il film a tratti un pò lento è quasi per intero sottilineato dal pianto tanto da soppiantare una colonna sonora di un grande autore quale Hans Zimmer. Gli attori ben integrati sanno dare al film il giusto valore e Michael Fassbender si nota più del protagonista Chiwetel Ejiofor. Ricopre una piccola parte Brad Pitt che è partecipe nella produzione. Il film sia per quanto sa esprimere e sia per l'argomento trattato potrebbe essere premiato a breve con l'Oscar. Auguri.
Pisiran-Vr
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alexander 1986
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martedì 25 febbraio 2014
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lo schiavismo di mcqueen, un'eccellente incompiuta
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New York, 1841. Solomon Northup (Ejiofor) è un uomo libero, un musicista e un nero senza gerarchia tra i fattori. Agli occhi di altri è invece un nero in prima istanza, un musicista in seconda e per nulla un uomo libero. Tradito da falsi amici, il povero Solomon viene venduto come schiavo presso un ricco proprietario del Sud. Inizia così un'odissea di sventure durante le quali il protagonista, come la Justine dell'omonimo romanzo di Sade, proverà sulla propria pelle una teoria di violenze sempre più dolorose e crudeli.
Quello della schiavitù e delle diseguaglianze razziali è un tema sempre più sentito nella narrativa hollywoodiana contemporanea, ma a ben guardare anche tra i film più recenti è mancato il coraggio di affrontare la questione di petto: 'Django Unchained' (2013) di Tarantino è una quasi carnevalata, mentre il kolossal spielberghiano 'Lincoln' (2013) gira al largo.
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New York, 1841. Solomon Northup (Ejiofor) è un uomo libero, un musicista e un nero senza gerarchia tra i fattori. Agli occhi di altri è invece un nero in prima istanza, un musicista in seconda e per nulla un uomo libero. Tradito da falsi amici, il povero Solomon viene venduto come schiavo presso un ricco proprietario del Sud. Inizia così un'odissea di sventure durante le quali il protagonista, come la Justine dell'omonimo romanzo di Sade, proverà sulla propria pelle una teoria di violenze sempre più dolorose e crudeli.
Quello della schiavitù e delle diseguaglianze razziali è un tema sempre più sentito nella narrativa hollywoodiana contemporanea, ma a ben guardare anche tra i film più recenti è mancato il coraggio di affrontare la questione di petto: 'Django Unchained' (2013) di Tarantino è una quasi carnevalata, mentre il kolossal spielberghiano 'Lincoln' (2013) gira al largo. A Steve McQueen spetta quindi il merito di aver messo una toppa a un pesantissimo vuoto nelle antologie cinematografiche. Altra cosa è valutare il valore del film in sè e per sè. Indubbiamente abbiamo a che fare con un'opera maestosa, che ricostruisce l'epoca di ambientazione nei minimi dettagli. Il cast, a partire da un Fassbender in stato di grazia e nonostante un Pitt fuori contesto, è altrettanto ricco e valido. Eppure '12 anni schiavo' perde il treno della storia e si ferma alle soglie del capolavoro senza varcarle. Ciò succede perché McQueen e il suo sceneggiatore Ridley hanno deciso di concentrare quasi tutto il focus narrativo sul racconto della violenza in sè, riducendo a questa sola un discorso che avrebbe potuto e dovuto stimolare un discorso più ampio e complesso. Abbiamo a che fare con un film di alto lignaggio, che non sembra però aver espresso il suo pieno potenziale.
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no_data
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martedì 25 febbraio 2014
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film intenso e interessante
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Non voglio scrivere una critica che è già stata scritta da altri, il mio punto di vista è una via di mezzo tra quello di Brat_pack e claudiofedele93.
Ciò che mi dispiace è che voi di Mymovies abbiate scelto come critica ufficiale (quindi credo pagata) quella di Marzia Gandolfi che dimostra, con i suoi commenti, di non aver ben compreso il senso o il messaggio del film dando una chiave di lettura fuorviante e assolutamente discutibile.
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catcarlo
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martedì 25 febbraio 2014
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12 anni schiavo
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Nel 1841, Solomon Northup viene rapito a New York, dove vive libero assieme alla famiglia e si guadagna da vivere suonando il violino, e viene deportato come schiavo negli Stati del sud, in crisi di manodopera per le difficoltà sulle rotte negriere dall'Africa. Per raccontarne il lungo incubo prima di ritrovare la libertà, l'inglese Steve McQueen cambia alcune coordinate del suo fare cinema e, quasi a volerlo far intendere subito, utilizza più di una parola nel titolo: si tratta di un film più corale rispetto ai precedenti, che sono dedicati allo scavo psicologico di un solo personaggio, non c’è Fassbender come protagonista assoluto e, soprattutto, la scrittura è affidata a qualcun altro.
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Nel 1841, Solomon Northup viene rapito a New York, dove vive libero assieme alla famiglia e si guadagna da vivere suonando il violino, e viene deportato come schiavo negli Stati del sud, in crisi di manodopera per le difficoltà sulle rotte negriere dall'Africa. Per raccontarne il lungo incubo prima di ritrovare la libertà, l'inglese Steve McQueen cambia alcune coordinate del suo fare cinema e, quasi a volerlo far intendere subito, utilizza più di una parola nel titolo: si tratta di un film più corale rispetto ai precedenti, che sono dedicati allo scavo psicologico di un solo personaggio, non c’è Fassbender come protagonista assoluto e, soprattutto, la scrittura è affidata a qualcun altro. E’ difatti di John Ridley la sceneggiatura costruita sulle memorie di Northup – che sapeva leggere e scrivere, anche se fu costretto a nasconderlo nei suoi anni di schiavitù – finendo però per essere l'anello debole del lavoro: pur non essendo in nessun punto davvero piatta, la storia non sorprende davvero mai e rende meno efficace l'impatto complessivo. Impatto che, invece, beneficia dell'accuratissimo lavoro della regia sull'immagine: se McQueen conferma la sua bravura nel costruire le inquadrature filmando un profondo sud opprimente dal punto di vista fisico e psicologico (il direttore della fotografia è il fido Sean Bobbitt), il regista inglese dà il meglio di sé nella rappresentazione della fisicità umana, in perfetta continuità con le sue opere precedenti. Si tratta di corpi sofferenti, con in primo piano piaghe sulla pelle che riflettono quelle dell'anima, e di volti che non si vergognano di esprimere i sentimenti – come dice esplicitamente Eliza in una delle tante scene in cui si piange come fontane – raccontando i pensieri che stanno dentro gli sguardi. L'orrore infinito della schiavitù sta nella sgradevolezza dei personaggi interpretati, in piccole ma significative parti, da Paul Dano e Paul Giamatti, oltre che nella gelida cattiveria della signora Epps di Sarah Paulson: se pare vacillare la coscienza di Ford, il primo padrone di Solomon - Benedict Cumberbatch esce di scena troppo presto -, la ferocia del secondo, Epps, la compensa abbondantemente. Nei suoi scomodi panni, l'attore preferito di McQueen, cioè Fassbender, disegna con grande profondità il ritratto di un uomo apparentemente senza sentimenti, violento con più di una punta di sadismo e alcolizzato, rubando se non la scena quantomeno l'attenzione rispetto al resto del cast: ne è testimonianza, fra le altre, la lunga sequenza – girata senza interruzioni con la macchina da presa che segue gli attori – della fustigazione di Patsey. A tener testa a cotanta interpretazione, c’è quella di Chiwetel Ejiofor nel ruolo del protagonista: l'attore inglese, sulle prime dubbioso, coglie al meglio l'occasione della vita rendendo con efficacia prima lo spaesamento di Solomon e poi la sua determinazione a uscire dalla trappola in cui l'hanno ficcato senza piegare (troppo) la testa. Accanto a lui, si fanno ricordare in special modo due figure di donna di una tragicità se possibile crescente, ovvero l’Eliza di Adepero Oduye e la Patsey dell'esordiente Lupita Nyong’o, la cui addolorata performance le ha ben meritato la nomination all'Oscar (corrono per la statuetta anche Fassbender ed Ejiofor, oltre al film e al regista). Piccola, ma decisiva per la liberazione di Northup, è invece la parte di Brad Pitt, che però compare nella lunga lista dei produttori, a testimonianza del fatto che lo sforzo realizzativo è stato notevole per quello che, a tutti gli effetti, è un ‘filmone’: eppure, malgrado la meritoria denuncia (non va dimenticato che la schiavitù esiste ancora), la notevole partecipazione di tutti quanti, le emozioni comunque suscitate anche grazie alla colonna sonora di Hans Zimmer alternata ai canti di lavoro nelle piantagioni, ’12 anni schiavo’ fatica a colpire nel profondo. Per carità, si tratta sempre di un film che sta tra il buono e l'ottimo, ma forse il fatto che sia tutto chiaro ed esplicito rende impossibili gli angoli bui e i momenti indefiniti che congiurano perchè, ad esempio, una pellicola pur non perfetta come ‘Shame’ si piazzi nell'animo dello spettatore e cresca con il passare del tempo.
(Quindi, a essere precisi, sarebbero tre stelle e mezza)
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pepito1948
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martedì 25 febbraio 2014
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un'occasione sprecata
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Il film appartiene a quel filone nobile, che attraverso la rappresentazione di violenze, soprusi e angherie varie, illustra gli abissi dell'abiezione umana, con lo scopo di rinfocolare nelle coscienze il rigetto verso le peggiori manifestazioni di inumanità, soprattutto verso quelle che la storia ha tramandato, costringendo i posteri a farne un dolorosa elaborazione e a fissarle nella memoria collettiva come monito per le generazioni successive.
Il tema dell’abominio della schiavitù è trattato con riferimento ad un fenomeno poco conosciuto: il rapimento di uomini liberi da inviare nelle piantagioni di cotone negli Stati americani del Sud. Siamo nel 1841, dopo il divieto di importazione di schiavi neri dall'Africa (la guerra di secessione e l'abolizione della schiavitù sono di là da venire).
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Il film appartiene a quel filone nobile, che attraverso la rappresentazione di violenze, soprusi e angherie varie, illustra gli abissi dell'abiezione umana, con lo scopo di rinfocolare nelle coscienze il rigetto verso le peggiori manifestazioni di inumanità, soprattutto verso quelle che la storia ha tramandato, costringendo i posteri a farne un dolorosa elaborazione e a fissarle nella memoria collettiva come monito per le generazioni successive.
Il tema dell’abominio della schiavitù è trattato con riferimento ad un fenomeno poco conosciuto: il rapimento di uomini liberi da inviare nelle piantagioni di cotone negli Stati americani del Sud. Siamo nel 1841, dopo il divieto di importazione di schiavi neri dall'Africa (la guerra di secessione e l'abolizione della schiavitù sono di là da venire). L'economia del Sud entra in crisi e qualcuno decide di ricorrere, tramite intermediari senza scrupoli, al rapimento illegale di uomini liberi in patria per integrare la insufficiente mano d'opera.
Solomon, cittadino nero, istruito e con moglie e figli, viene "catturato"con l'inganno e venduto come schiavo all'asta, finendo, dopo alcuni passaggi, nella fattoria del peggiore dei negrieri. Dopo abusi a non finire, la storia si risolverà ma la giustizia sarà la grande sconfitta.
E' questo il terzo atto della "trilogia della lotta di liberazione" del regista di colore Steve McQuinn, dopo Hunger (sulle brutali prigioni dell'Inghilterra thatcheriane), e Shame (sulla schiavitù del sesso). Dei tre certamente 12 anni schiavo emerge per valenza "valoriale", affrontando un tema di ampia portata la cui prassi costituisce il culmine del disprezzo della vita umana, dopo la pena di morte, e che sappiamo continua ancora oggi di fatto a serpeggiare sia pure in altre forme in varie parti del mondo
McQuinn ripropone in primo piano, come in Hunger, il corpo come oggetto della violenza e della sofferenza che ne deriva, non più autoprodotta per spirito di ribellione contro l’altrui abiezione, ma forzatamente e direttamente subita da uno dei rappresentanti di un sistema di sfruttamento che, pur di trarne utili economici, si rifiuta di distinguere un essere umano da un comune animale da lavoro. Le frustate, gli stupri, le continue minacce di pene corporali terribili sono esibiti attraverso i segni martoriati sul corpo e le espressioni di dolore, di paura di uomini e donne in balia della follia di chi mira all’annientamento della dignità come strumento di totale sottomissione. Un teatro dell’orrore, che sembra stridere con la cupa ed inquietante bellezza della natura circostante.
Detto questo, se si scinde l'aspetto nobilmente teleologico da quello cinematografico, l'opera di McQuinn è artisticamente deludente. La rappresentazione nuda e cruda delle continue sevizie sugli schiavi, reiterata senza tregua, unita alla durata del film, 2 ore e un quarto, una sceneggiatura sostanzialmente piatta e senza particolari guizzi inventivi (soprattutto nei dialoghi) pur in un quadro scenografico accurato, non riescono a tenere costantemente alto il tono emotivo della storia, che si diluisce per automatico avvezzamento via via che il racconto si dipana. Qualche personaggio è costruito con l'accetta, come la moglie algida e degenerata del proprietario negriero, la fotografia è bella ma spesso estetizzante e poco connessa al racconto, gli interpreti sono bravi, in particolare Fassbender, ammirevole nello sforzo di degradarsi a scellerato aguzzino, che però non raggiunge il livello del protagonista dello straordinario, meraviglioso Hunger.
Insomma un'occasione (artisticamente ) sprecata, che tuttavia non impedisce che il film merita di essere visto per il suo alto valore morale.
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no_data
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lunedì 24 febbraio 2014
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aspro, potente, visivamente perfetto
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1841 Saratoga, stato di New York. Solomon Northup è un uomo di colore libero, musicista, padre di famiglia, conduce una vita dignitosa grazie ai guadagni del suo lavoro e quello della moglie. Ingaggiato per un tour di spettacoli viene drogato e venduto come schiavo da due uomini che credeva amici. Inizia così un incubo che durerà 12 lunghi anni, durante i quali verrà privato della cosa più importante per un essere umano: la libertà. Strappato alla sua vita e agli affetti e privato del suo stesso nome Solomon passerà da un padrone all’altro finendo a lavorare nei campi di cotone per un uomo arido e crudele, sotto il sole rovente e lo schiocco della frusta.
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1841 Saratoga, stato di New York. Solomon Northup è un uomo di colore libero, musicista, padre di famiglia, conduce una vita dignitosa grazie ai guadagni del suo lavoro e quello della moglie. Ingaggiato per un tour di spettacoli viene drogato e venduto come schiavo da due uomini che credeva amici. Inizia così un incubo che durerà 12 lunghi anni, durante i quali verrà privato della cosa più importante per un essere umano: la libertà. Strappato alla sua vita e agli affetti e privato del suo stesso nome Solomon passerà da un padrone all’altro finendo a lavorare nei campi di cotone per un uomo arido e crudele, sotto il sole rovente e lo schiocco della frusta. L’incontro con un antischiavista canadese Samuel Bass determinerà il corso degli eventi e la vita del protagonista.
Una storia vera raccontata in un libro autobiografico, 12 anni schiavo è un film spietato soprattutto nei dettagli ma mirabile nella sua interezza. È la battaglia tutta personale e drammatica tra l’accettazione rassegnata della propria condizione e la lotta per il cambiamento, una lotta che implica violenza, punizioni e ulteriori privazioni. La linea sottile tra “vivere e sopravvivere”.
Un tocco di eleganza nella scelta delle riprese e del taglio fotografico che si scontra con la durezza delle scene, soprattutto di alcune, incancellabili. Un film che sarebbe dovuto nascere tempo fa e che, nella sua sincerità devastante non basta a cancellare le colpe di un’America nata dal sangue di altri popoli. Fassbender e Pitt sono una garanzia ma è Chiwetel Ejiofor (Solomon) a lasciare incantati.
Dopo due bei film, Hunger e Shame, Steve McQueen ha fatto centro al suo terzo lavoro. Se sarà Oscar o meno lo vedremo, lui (il regista) ha già scritto il suo nome tra i grandi del cinema americano d’autore.
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no_data
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lunedì 24 febbraio 2014
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aspro, potente e visivamente perfetto
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1841 Saratoga, stato di New York. Solomon Northup è un uomo di colore libero, musicista, padre di famiglia; conduce una vita dignitosa grazie ai guadagni del suo lavoro e quello della moglie. Ingaggiato per un tour di spettacoli viene drogato e venduto come schiavo da due uomini che credeva amici. Inizia così un incubo che durerà 12 lunghi anni, durante i quali verrà privato della cosa più importante per un essere umano: la libertà. Strappato alla sua vita e agli affetti e privato del suo stesso nome Solomon passerà da un padrone all’altro finendo a lavorare nei campi di cotone per un uomo arido e crudele, sotto il sole rovente e lo schiocco della frusta.
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1841 Saratoga, stato di New York. Solomon Northup è un uomo di colore libero, musicista, padre di famiglia; conduce una vita dignitosa grazie ai guadagni del suo lavoro e quello della moglie. Ingaggiato per un tour di spettacoli viene drogato e venduto come schiavo da due uomini che credeva amici. Inizia così un incubo che durerà 12 lunghi anni, durante i quali verrà privato della cosa più importante per un essere umano: la libertà. Strappato alla sua vita e agli affetti e privato del suo stesso nome Solomon passerà da un padrone all’altro finendo a lavorare nei campi di cotone per un uomo arido e crudele, sotto il sole rovente e lo schiocco della frusta. L’incontro con un antischiavista canadese Samuel Bass determinerà il corso degli eventi e la vita del protagonista.
Una storia vera raccontata in un libro autobiografico, 12 anni schiavo è un film spietato soprattutto nei dettagli ma mirabile nella sua interezza. È la battaglia tutta personale e drammatica tra l’accettazione rassegnata della propria condizione e la lotta per il cambiamento, una lotta che implica violenza, punizioni e ulteriori privazioni. La linea sottile tra “vivere e sopravvivere”.
Un tocco di eleganza nella scelta delle riprese e del taglio fotografico che si scontra con la durezza delle scene, soprattutto di alcune, incancellabili.
Un film che sarebbe dovuto nascere tempo fa e che, nella sua sincerità devastante non basta a cancellare le colpe di un’America nata dal sangue di altri popoli.
Dopo due bei film, Hunger e Shame, Steve McQueen ha fatto centro al suo terzo lavoro. Se sarà Oscar o meno lo vedremo, lui (il regista) ha già scritto il suo nome tra i grandi del cinema americano d’autore.
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filippo catani
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lunedì 24 febbraio 2014
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la schiavitù senza censure
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Saratoga 1841. Un violinista di colore vive tranquillamente la propria vita tra concerti in giro per il paese e l'amata famiglia. Una sera, due finti impresari di un circo gli promettono un notevole ingaggio. Una volta a cena i due fanno ubriacare l'uomo che al risveglio si ritrova incatenato in una nave: inizieranno per lui 12 anni di schiavitù. Da una storia vera.
McQueen ci ha ormai abituato al suo stile asciutto che non risparmia nulla allo spettatore vuoi che si tratti di sesso (Shame) vuoi che si tratti di digiuno politico (Hunger). Pure in questo caso nulla viene lasciato all'immaginazione: le piaghe delle frustate sono ben visibili tanto che lo spettatore stesso trema in sala a sentire schioccare la frusta.
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Saratoga 1841. Un violinista di colore vive tranquillamente la propria vita tra concerti in giro per il paese e l'amata famiglia. Una sera, due finti impresari di un circo gli promettono un notevole ingaggio. Una volta a cena i due fanno ubriacare l'uomo che al risveglio si ritrova incatenato in una nave: inizieranno per lui 12 anni di schiavitù. Da una storia vera.
McQueen ci ha ormai abituato al suo stile asciutto che non risparmia nulla allo spettatore vuoi che si tratti di sesso (Shame) vuoi che si tratti di digiuno politico (Hunger). Pure in questo caso nulla viene lasciato all'immaginazione: le piaghe delle frustate sono ben visibili tanto che lo spettatore stesso trema in sala a sentire schioccare la frusta. La storia è terribile e lascia senza parole soprattutto perché è una storia vera. questo non significa affatto che se fosse stata un'opera di finzione avrebbe fatto meno impressione. Il fatto è che lo spettatore, rapito dalla storia e dalla bravura dei suoi interpreti, immagina sulla propria pelle quello che gli sarebbe successo se un giorno risvegliandosi da una sbornia si ritrovasse incatenato mani e piedi in direzione di una piantagione di cotone. Il film mostra in maniera cruda e realistica quella che era la condizione di schiavitù. Non per entrare nella polemica in corso ma a mio avviso nessuno dei precedenti film sulla schiavitù aveva mostrato così duramente quale fosse la reale condizione degli schiavi. Detto questo un plauso va al cast completo dove per forza di cose spiccano Ejiofor e un mefistofelico Fassbender ma che ha proprio nella cifra complessiva del cast uno dei suoi punti di forza. Un film che non può lasciare indifferenti.
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