Anno | 2012 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Messico |
Durata | 84 minuti |
Regia di | Enrique Rivero |
Attori | Margarita Saldaña, Amalia Salas, Juan Chirinos . |
Tag | Da vedere 2012 |
MYmonetro | 3,22 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 14 novembre 2012
La perdita della madre raccontata dal regista messicano Enrique Rivero. Il film è stato premiato a Roma Film Festival,
CONSIGLIATO SÌ
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Chayo è una cuoca di Xochimilco, città natale che ha lasciato per mantenere la sua famiglia. Ma la salute precaria della madre le impone di tornare, di prendersi cura di lei e di ritrovare il marito e i due figli. A Xochimilco il tempo improvvisamente rallenta la sua corsa e Chayo aspetta ogni alba con l'anziana madre in attesa del trapasso imminente, che la donna anela e la figlia teme. Chayo vorrebbe trattenerla ancora preparando piatti prelibati con il poco che ha e organizzando una festa per i suoi cento anni di vita. Ma i suoi sogni, sempre più angoscianti, e il respiro della madre, sempre più affaticato, le dicono che dovrà lasciarla andare. La morte infine arriva e Chayo, dopo la sepoltura e dopo aver portato a termine il lutto, ripartirà dentro un paio di scarpe nuove.
Scritto e diretto da Enrique Rivero, vincitore del Pardo d'Oro nel 2008 con Parque vía, Mai morire è un film che si impegna nel superamento dei limiti tra documentario e finzione. Di poche parole e tanti silenzi, la seconda opera del regista messicano muove da una storia orale e da una vicenda biografica, l'esperienza del lutto materno, che il regista combina e compone in immagini di ieratica bellezza. Mai morire è allora la 'storia vera' e traslata di una morte che ciascuno vorrebbe rimandare perché colpisce una persona oltremodo cara, che ha avuto un peso unico, anche se molto spesso contrastato, nella nostra vita.
La madre di Chayo, fonte morbida di insegnamenti e di saggezza, è ridotta a un corpo ammalato e addormentato che sogna il sogno eterno. Una sentenza medica ha traumatizzato il legame madre-figlia e confermato l'inevitabile mentre il mondo fuori si prepara a celebrare il Dias de los Muertos e la Santa Muerte. Rivero, dentro suggestive composizioni, frequenta con familiarità la morte privata e quella sociale, descrivendo la relazione unica che i messicani intrattengono con la Ninã Bianca, intesa non come confine dell'esistenza ma come irruzione nell'esperienza dei vivi.
L'autore ancora una volta sceglie di dare visibilità, volto e voce a porzioni popolari stigmatizzate e collocate al di fuori del rappresentabile. Chayo, alla maniera di Beto, custode indio di una dimora in vendita a Città del Messico (Parque vía), è un personaggio marginale ma diversamente da lui 'abile' alle cose sociali. Chayo è produttiva e col suo lavoro di cuoca in città assicura futuro e assistenza a prole e marito. E dalla città la protagonista fa il suo ingresso nel film e alla città ritorna in un movimento circolare che scivola lungo il fiume. Acque cariche di presagi che Chayo risale come il tempo, per ritornare alle origini, alla sua città, al grembo materno a cui la legava un cordone ombelicale, seppellito dalla madre lungo la strada per 'segnarne' il destino errante e lontano dal focolare domestico. Quello stesso focolare dove adesso una candela brucia davanti alla fotografia della cara estinta.
Mai morire, con le sue inquadrature fisse in campo lungo di interni ed esterni, coi primi piani frequenti del volto composto e sacro della protagonista, risveglia un donna alla vita attraverso l'esperienza della morte, invitandola di nuovo al viaggio e alla (ri)costruzione di un'identità che adesso avverrà nell'assenza (del genitore) e attraverso la commemorazione di quella assenza.