Cinema, teatro, memoria in Magnifica presenza.
di Roy Menarini
Pur sovraffollato di eventi e personaggi, pur attraversato dai consueti picchi di sentimentalismo del cinema di Ozpetek, pur claudicante dal punto di vista narrativo, Magnifica presenza possiede elementi preziosi per chi studia e ama il cinema italiano. Anzitutto, il tema del fantastico, genere che abbraccia tutte le sotto-tracce del soprannaturale. Anche Ozpetek sembra farne un catalogo completo: dall'incipit horror al fantastico di tipo romantico, dalla commedia surreale (dove il ricordo di Fantasmi a Roma sovrasta tutti gli altri) alla reinvenzione storica. Anzi, talvolta – venendo Magnifica presenza – viene quasi voglia che Ozpetek lasci le briglie ancora più sciolte di quello che sono e si abbandoni al cuore di tenebra del cinema dell'orrore e dell'occulto. Sarebbe con tutta probabilità il più degno erede di Dario Argento, magari in compagnia di Saverio Costanzo, che con La solitudine dei numeri primi ha lambito territori interessanti proprio in quanto oscuri e minacciosi.
Detto questo, del film di Ozpetek piace la nuova incursione – dopo La finestra di fronte – nei drammi del nazifascismo. Curioso che proprio un regista di origine turca ricordi come il legame tra quell'Italia e la nostra abbia ancora diritto di cittadinanza, al di fuori delle occasioni pubbliche. E che inserisca – per contrasto – le figurine del Risorgimento come album da collezione (in curiosa coincidenza con una recente pubblicità di telefonini), scelta che la dice lunga sulla stanchezza che la retorica patriottarda ha rischiato di ingenerare nella cittadinanza. Ma, appunto, di che nazione sono cittadini i fantasmi di Magnifica presenza? Raramente – almeno in tempi recenti – un'Italia preesistente è stata convocata, ricordata e congedata con tanta commozione. Il pur stucchevole "teatrino" casalingo degli attori di varietà – che non sanno di essere morti, dunque doppiamente fantasmi anche a se stessi – va inteso come funerale a un'identità e un immaginario perduti e sbriciolati. E mentre Scorsese riscopre il teatro di magia e il cinema primitivo di Méliès, mentre Hazanavicius rielabora astutamente i codici muti degli anni Venti, mentre Allen porta a spasso nel tempo, tra altri fantasmi, il suo intellettuale nostalgico e Tarantino con Bastardi senza gloria stravolge da genio la Storia a piacer suo, Ozpetek a sua volta fa sorgere i nostri spiriti da un passato le cui cicatrici non possono scomparire sotto il trucco di scena.
Mancherebbe poco, a Magnifica presenza, per diventare il film italiano più visionario degli anni Duemila, non fosse per quella strana forza di gravità che tiene sempre Ozpetek inchiodato al suo pubblico, forse preoccupato di non scontentarlo. Tuttavia, in termini simbolici, questo è un film che merita ampiamente le analisi sociostoriche che qui ci permettiamo di proporre, visto che il resto del cinema italiano brancola in un'amnesia sconcertante, un oblio che si pensa di colmare attraverso fiction e pellicole di ricostruzione storica insufficienti all'impresa.