tuesday
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mercoledì 20 ottobre 2010
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solo per noi, sofia - dipendenti
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Sofia Coppola parla chiaramente ai suoi cultori in questo film, che l'hanno seguita sin dall'inizio e che sanno assaporarne l'evoluzione: Somewhere è la sintesi di ciò che Sofia ha analizzato separatamente nei suoi lavori precedenti. Ed è soprattutto una versione maschile di Lost in translation, come un uomo possa sentirsi ingabbiato nella frenetica solitudine urbana in una metropoli di luci, lusso e colori.
Si assapora Sofia: le musiche delicate, le inquadrature lente e infinite, la ricerca spasmodica dell'imperfezione, la fotografia impeccabile, i dialoghi essenziali e mai banali, questo sentimento di disadattamento e disagio che entra sotto la pelle dello spettatore. Un'estasi, ma solo per amanti del genere, perché Sofia è molto ricercata e quindi molto particolare, quindi inevitabilmente condannata a piacere ad un pubblico più ristretto.
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Sofia Coppola parla chiaramente ai suoi cultori in questo film, che l'hanno seguita sin dall'inizio e che sanno assaporarne l'evoluzione: Somewhere è la sintesi di ciò che Sofia ha analizzato separatamente nei suoi lavori precedenti. Ed è soprattutto una versione maschile di Lost in translation, come un uomo possa sentirsi ingabbiato nella frenetica solitudine urbana in una metropoli di luci, lusso e colori.
Si assapora Sofia: le musiche delicate, le inquadrature lente e infinite, la ricerca spasmodica dell'imperfezione, la fotografia impeccabile, i dialoghi essenziali e mai banali, questo sentimento di disadattamento e disagio che entra sotto la pelle dello spettatore. Un'estasi, ma solo per amanti del genere, perché Sofia è molto ricercata e quindi molto particolare, quindi inevitabilmente condannata a piacere ad un pubblico più ristretto. Ma è anche un tuffo nella piscina dello Chateau Marmont dei divi esagerati e stravaganti, questo albergo di super lusso minato dalla decadenza, una boccata d'aria fresca in mezzo a tutti questi film violenti, sensazionalisti, mielosi, scontati, banali, veloci, spocchiosi che affollano i nostri cinema.
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rosatigre
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lunedì 4 ottobre 2010
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sofia coppola poteva fare meglio...
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A me son sempre piaciuti i film minimalisti di Sofia Coppola, dove gli sguardi esprimono sentimenti meglio di un dialogo filosofico, ma questa volta credo che abbia esagerato.
per carità, la storia è affascinante, ma viene rappresentata con lentezza e noia; manca la musica e anche la scena più interessante diventa banale senza sottofondo.
soffermarsi su una situazione è importante per far rendere conto lo spettatore dei pensieri dei protagonisti, ma il troppo è pesante; non si può stare quasi 5 minuti sul protagonisti con quella specie di crema in faccia, è troppo, il messaggio è chiaro immediatamente, bastano pochi attimi.
gli attori sono bravi, soprattutto, la piccola Fanning, dolcissima e tenera.
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A me son sempre piaciuti i film minimalisti di Sofia Coppola, dove gli sguardi esprimono sentimenti meglio di un dialogo filosofico, ma questa volta credo che abbia esagerato.
per carità, la storia è affascinante, ma viene rappresentata con lentezza e noia; manca la musica e anche la scena più interessante diventa banale senza sottofondo.
soffermarsi su una situazione è importante per far rendere conto lo spettatore dei pensieri dei protagonisti, ma il troppo è pesante; non si può stare quasi 5 minuti sul protagonisti con quella specie di crema in faccia, è troppo, il messaggio è chiaro immediatamente, bastano pochi attimi.
gli attori sono bravi, soprattutto, la piccola Fanning, dolcissima e tenera.
piacevole la parte girata a Milano, un tocco nostrano ci stava bene, bellissima Laura Chiatti, meno interessante la visione della Ventura.
qualche scena allegra (padre e figlia che giocano sott'acqua) e qualche altra commovente (il pianto del protagonista al telefono).
poi ci sono molte allegorie che rendono visibili anche i concetti più nascosti e questo è un merito della regista italoamericana.
non posso affermare con certezza che quest'opera meritava il leone d'oro del festival di venezia perchè non ho visto gli altri film, ma ammetto che il difetto della mancanza della musica almeno per me è rilevante.
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francesco2
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venerdì 1 ottobre 2010
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e' nata un'autrice?forse.
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E' arrivato il Leone d'Oro, dunque, per chi era stato accusato ne di avere confezionato un polpettone storico("Maria Antonietta")postmoderno, come se l'alternativa all'elogio smodato del postmoderno sia considerare sempre questa parola sinonimo dis superficialità. Dopo elogi non sempre meritati per "Il giardino delle vergini suicide" e "Lost in Translation", questo film sembra ispirarsi proprio a quello con la Johannson, per come ironizza stile "Pret-à-porter" sulla vacuità di un certo mondo. Nelle prime scene si respira una ripetitività, forse non priva di presunzione, basata su insistiti primi piani riguardanti Dorrf, che, sia detto senza offesa, appare altettanto (in) espressivo come il "divo" che vorrebbe raffigurare.
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E' arrivato il Leone d'Oro, dunque, per chi era stato accusato ne di avere confezionato un polpettone storico("Maria Antonietta")postmoderno, come se l'alternativa all'elogio smodato del postmoderno sia considerare sempre questa parola sinonimo dis superficialità. Dopo elogi non sempre meritati per "Il giardino delle vergini suicide" e "Lost in Translation", questo film sembra ispirarsi proprio a quello con la Johannson, per come ironizza stile "Pret-à-porter" sulla vacuità di un certo mondo. Nelle prime scene si respira una ripetitività, forse non priva di presunzione, basata su insistiti primi piani riguardanti Dorrf, che, sia detto senza offesa, appare altettanto (in) espressivo come il "divo" che vorrebbe raffigurare. Tempo passato a fumare sigarette ed a perdersi in amorazzi(?) momentanei, a costo di avere due gemelle nello stesso letto. L'uomo è molto più famoso del personaggio interpretato da Murray, ma non ha né la sua ironia nè l'atteggiamento trasgressivo di quello di Scarlett, anche se la cui popolarità purtroppo si estende a a livello internazionale(Non è un caso se parteciperà ai Telegatti).
L'entrata in scena (In tutti i sensi) della figlia, peraltro realizzata attraverso un'efficace inquadratura che segue altro tempo perso dal protagonista, ma sancisce l'inizio di una nuova fase,d poteva assumere l'impostazione di un bieco pedagogismo politicamente corretto (La bambina ne sa di più). Ed invece, da questo punto in poi, la regista azzecca quasi tutto quello che dovrebbe azzeccare. Intanto la piccola protagonista, che non riesce a non strapparmi simpatia, il cui sguardo cerca di captare un mondo più grande(Sic!)di lei. In una scena, sembrano quasi gli occhi da cerbiatto della Hepburn in una scena di "Sabrina",dove l'innocua ex-cuoca (rac) oglieva con gli occhi "verità" su una classe superiore. Agevola la crescita del padre, in un mondo falso descritto con ironia sempre più acuta: i primi piani, ora sì, ricordano il meglio del film di Altman già citato, e purtroppo considerato da diversa gente un' opera minore. La stessa tecnica, dall'altra parte, viene applicata al padre, che si gode la piscina di turno disteso su un materassino(E se questo fosse una prima "Simulazione2"della distanza che poi prenderà alla fine?.)Ora l'uso di
questa tecnica è più motivato e meno ripetitivo, e il film si avvale (anche)di un'ottima fotografia per ca(r) pire degli scorci(ancora) della cosiddtta "verit"su ogni personaggio.
Quello stesso quadro desolante che emerge nella scena dei "Telegatti": stavolta si cerca di cogliere non l'inconsistenza del singolo, ma quella di un (Ex, per il momento) rito di massa, ma con risultati altrettanto brillanti. Relegare il malcapitato Nichetti ai peggiori personaggi del "Grande Fratello" serve, al contempo, a restituirci il senso della presenza della ragazzina: rassicura il padre visibilmente emozionato, non si appropria di un ruolo non suo, ma semplicemente gli regala pillole di maturità in un momento particolare.
Se Moretti, nel suo stupidamente celebrato "La stanza del figlio", attraverso il lutto cresceva ma era destinato a soffrire per sempre((La comparsa della Trinca gli dava qualche speranza), qui Dorrf smette i panni del "figlio cresciuto" grazie a chi l'ha spinto a maturare per davvero, in un finale troppo repentino ma realizzato molto bene: contrasto tra una musica tesa e la fuga del protagonista, una macchina che esplode senza che ne sentiamo il fragore. Forse è nata una regista.
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pitecantropus
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venerdì 1 ottobre 2010
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buono come sonnifero
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Noioso, scontato, barboso, il leone d' oro a un film così ? ma per favore ! sequenze inutilmente lunghe stereotipi a gogo, il solito dramma della noia di vivere di un attore pieno di soldi di donne e di onori, dialoghi inesistenti.
Una palla !
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audreyandgeorge
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giovedì 30 settembre 2010
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somewhere.. over the rainbow
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è la tipica risposta che si riceve postando questa parola su un social network. In effetti, il film è recente e non richiama il grande pubblico. Però mi chiedo se sia da escludere che il Mago di Oz, in tutto questo, possa avere qualche ruolo…
L’indifferenza di Moravia di sicuro ce l’ha: chi lo ha letto, sono certo, avrà come un dejà vu osservando con attenzione il ruolo giocato da ricchezza e successo nel vuoto d’anima di Johnny.
Radici assenti, non-luoghi in cui si non-abita, apatia e edonismo: tutti elementi marcati a dovere e sfacciatamente in contrasto con quanto portato dall’arrivo della figlia di 11 anni.
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è la tipica risposta che si riceve postando questa parola su un social network. In effetti, il film è recente e non richiama il grande pubblico. Però mi chiedo se sia da escludere che il Mago di Oz, in tutto questo, possa avere qualche ruolo…
L’indifferenza di Moravia di sicuro ce l’ha: chi lo ha letto, sono certo, avrà come un dejà vu osservando con attenzione il ruolo giocato da ricchezza e successo nel vuoto d’anima di Johnny.
Radici assenti, non-luoghi in cui si non-abita, apatia e edonismo: tutti elementi marcati a dovere e sfacciatamente in contrasto con quanto portato dall’arrivo della figlia di 11 anni. Undici, cioè assolutamente non più bambina ma decisamente ancora non donna! Proprio quell’età di “transizione” in cui si guardano i due mondi chiedendosi dove si vorrebbe andare… quindi l’età dei grandi quesiti, dei forti dubbi, proprio quello che porta nel padre il classico “breakthrough”: la scoperta che solo perdendo tutto quello che ha ottenuto col successo può capire ciò di cui ha veramente bisogno.
Questo mi pare sia tutto. Ma non arriva mica subito, o facilmente: nel film iniziano a parlare proprio quando cominci a pensare si tratti di un film muto… e, quando il film finisce non senti di aver raggiunto la fine, ed esci dalla sala chiedendoti se in realtà tu non fossi “somewhere else”.
Piano piano, lasciando decantare, qualcosa finalmente viene fuori. Non un granché, ma il gioco della Coppola forse era proprio quello.
Mentre il momento “italiano” del film l’ho trovato di cattivo gusto (se non offensivo), vedere la figlia di Johnny ordinare ingredienti dalla camera d’albergo per poi preparare da mangiare al suo papà con le sue manine mi è piaciuto. Una perla di tenerezza -all’interno di quel contesto- che forse è anche in parte autobiografica. Per questo vorrei legare il film a un piatto della tipica prima colazione americana fatta in casa: una cosetta che adoro, ma che in Italia non sono ancora riuscito a mangiare come si deve. I Pancakes. Per la ricetta e la recensione completa clicca su www.nonsolopizzaecinema.com
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(di elenute)
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kronos
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giovedì 30 settembre 2010
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ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori ...
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Ritengo abbia una valenza surreale il Leone d'oro assegnato da Tarantino all'ex fidanzata Sofia per "Somewhere": in un'intervista del 2007 il popolare Quentin dichiarò a proposito del cinema italiano:
"Le pellicole italiane che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali, non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo?"
Ecco, l'ultima fatica di Sofia Coppola pare essere un potente inno involontario a quel tipo di cinema ed è una specie di contrappasso che proprio Tarantino le abbia attribuito uno dei premi cinematografici più ambiti.
Il mondo che va alla rovescia? Gente che il lunedì non ricorda cosa ha detto la domenica?
Le chiavi di lettura possibili sono molte (forse), ma di certo suscitano tenerezza le parole di Gabriele Salvatores che accusava i films italiani veneziani di "non emozionare": certo di emozioni in questo Leone d'oro 2010 non v'è manco l'ombra.
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Ritengo abbia una valenza surreale il Leone d'oro assegnato da Tarantino all'ex fidanzata Sofia per "Somewhere": in un'intervista del 2007 il popolare Quentin dichiarò a proposito del cinema italiano:
"Le pellicole italiane che ho visto negli ultimi tre anni sembrano tutte uguali, non fanno che parlare di: ragazzo che cresce, ragazza che cresce, coppia in crisi, genitori, vacanze per minorati mentali. Che cosa è successo?"
Ecco, l'ultima fatica di Sofia Coppola pare essere un potente inno involontario a quel tipo di cinema ed è una specie di contrappasso che proprio Tarantino le abbia attribuito uno dei premi cinematografici più ambiti.
Il mondo che va alla rovescia? Gente che il lunedì non ricorda cosa ha detto la domenica?
Le chiavi di lettura possibili sono molte (forse), ma di certo suscitano tenerezza le parole di Gabriele Salvatores che accusava i films italiani veneziani di "non emozionare": certo di emozioni in questo Leone d'oro 2010 non v'è manco l'ombra. In compenso abbondano silenzi che si vorrebbero ricchi di significato ma che, in definitiva, di profondo suscitano solo la noia.
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lili_k
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giovedì 23 settembre 2010
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il racconto del cinema
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Il primo pensiero inevitabile che si ha guardando l'ultimo film di Sofia Coppola va a Lost in translation, per varie cause: la location, un albergo e la poca vita che si sviluppa aldifuori di esso, la vita a due di una coppia non coppia, lì Bill Murray e Scarlett Johannson, quasi amanti, qui Elle Fanning e Stephen Dorff, figlia e padre.
La dinamica di coppia è sempre la stessa: cercare in due di sfuggire alla monotonia che altrimenti è la vita di uno solo. Situazione rappresentata dal piano fisso su macchina che si muove in circolo dell'inizio e sulla ripetitività delle azioni che in quanto tali, perdono anche l'alone di trasgressione che normalmente le accompagna.
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Il primo pensiero inevitabile che si ha guardando l'ultimo film di Sofia Coppola va a Lost in translation, per varie cause: la location, un albergo e la poca vita che si sviluppa aldifuori di esso, la vita a due di una coppia non coppia, lì Bill Murray e Scarlett Johannson, quasi amanti, qui Elle Fanning e Stephen Dorff, figlia e padre.
La dinamica di coppia è sempre la stessa: cercare in due di sfuggire alla monotonia che altrimenti è la vita di uno solo. Situazione rappresentata dal piano fisso su macchina che si muove in circolo dell'inizio e sulla ripetitività delle azioni che in quanto tali, perdono anche l'alone di trasgressione che normalmente le accompagna.
Questo film si distacca però dal suo predecessore per il soggetto finale del racconto: in Lost in translation si descrivevano due vite in cambiamento che per caso incappavano l'una nell'altra, in questo, la vita del protagonista è perfettamente risolta, si cerca piuttosto di descrivere in un modo nuovo, il mondo in cui quest'uomo di muove.
La vita di Johnny Marco è prevalentemente noiosa, almeno per noi che la vediamo dal suo punto di vista, nessuno lo vede mai come essere umano, ma solo come il famoso attore da cui andare a fare una festa oppure con cui andare a letto. Le giornate sono scandite dal nulla o dalle telefonate dell'agente che gli ricorda gli impegni.
Ad un certo punto entra in gioco sua figlia Cloe, che però non è un motore per la moralità, ossia, non fa in modo che Johnny da quel momento inizi a mettere in questione il suo stile di vita, ma è un elemento che lo lega alla realtà, al suo essere un essere umano probabilmente poco maturo.
I due vivono in questo limbo che ha i ritmi dello showbusiness, che non è la vita normale della maggioranza delle persone, e che è rappresentato fisicamente dallo Chateau Marmont, l'albergo-rifugio dove i due passano le giornate.
Tanto è che nel momento in cui la vita vera (o lo shit happens con cui i comuni mortali hanno sempre a che fare) entra in gioco, una macchina che si rompe, Johnny si chiede perplesso cosa fare.
Certo, un cambiamento c'è, o il personaggio vuole che ci sia così nelle ultime sequenze lo vediamo diventare attivo e andare, da qualche parte.
Fino a qui la disamina dei personaggi, ma aldilà della solita cura per le inquadrature, la Coppola in questo film vuole fare un discorso sul cinema, diverso da quello che fa chi il cinema lo ha studiato, piuttosto chi, volente o no, lo ha vissuto.
La prima parte del film è come una confessione della noia che permea questo mondo, dei tempi morti lunghissimi che lo caratterizzano e la struttura che sta dietro il glamour (per fare degli esempi: Johnny Marco che deve salire su di uno scalino per essere almeno alto quanto la sua partner durante un photocall o la seduta agli effetti speciali).
Un altro film, 50 anni fa, descriveva lo showbusiness in maniera un po' più godereccia e compiaciuta, anche se critica: La dolce vita di Federico Fellini.
Nella scena finale Mastroianni, appena uscito da una festa per assistere al ritrovamento di un pesce mostruoso sulla spiaggia, vede una ragazza che ha incontrato tempo prima, sempre in spiaggia. Lei non appartiene al mondo dello spettacolo e non cerca di entrarci. I due sono ad una certa distanza e tra di loro c'è una specie di fossato per lo scarico dell'acqua. La ragazza cerca di parlargli, ma lui non sente, complice il rumore del mare. Come ci insegnano al Dams, con questo Fellini vuole descrivere la distanza tra questi due mondi, sorvolo sulla scelta dei colori dei vestiti usati in questa scena per tenere dentro la norma il livello di nerditudine.
Una scena molto simile chiude la parentesi di normalità, data dalla presenza della figlia, nella vita di Johnny Marco: lei se ne va, lui cerca di dirle qualcosa, ma il rumore dell'elicottero copre ogni suono.
Il fascino di questo film è tutto qui, ed è anche il suo errore, visto che molti discorsi, che vengono riconosciuti da chi è un addetto ai lavori o un critico o un cinefilo, non sono poi così interessanti per tutti, insomma non si tratta di Effetto notte. La Coppola cerca insomma di far vedere quello che la macchina cinema è, senza gli imbellettamenti che siamo abituati a vedere.
Oltre tutto il suo protagonista è un attore di film d'azione, non certo di film indipendenti o impegnati, che quanto meno avrebbe avuto almeno un paio di party in più da seguire, rispetto a quelli che vediamo, quindi è più che evidente che si stia facendo un discorso intellettuale avendo come oggetto chi non lo è (Marco non ha fatto corsi di recitazione, ha solo preso un agente e fatto dei provini, scopriamo ad un certo punto).
Il film non è sul personaggio, ma è sul mondo in cui il personaggio vive, il che giustifica il suo essere passivo, per tre quarti di film; è parte di un mondo che essenzialmente lo fa lavorare.
Per questo non ci sono parabole evolutive o epifanie, Johnny Marco è il veicolo attraverso il quale fare un discorso sul cinema.
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sickboy
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giovedì 23 settembre 2010
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distanze incolmabili...
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Soldi, successo, bellezza, potere, sesso, lussi e stravaganze : nella "perfetta" vita dell'attore Johnny Mario, sembra non manchi nulla. Ma quando si presenta l'occasione di trascorrere alcuni giorni con la figlia Cleo, qualcosa comincerà ad incrinarsi... Sofia Coppola ha un grande pregio : pur non raccontando nulla di nuovo, sa usare un suo personale linguaggio espressivo, tale da far assumere ai suoi film una dimensione di rara efficacia. Fin dalla sua opera d'esordio, il cardine del suo cinema si fonda sull'incomunicabilità e le sue drammatiche conseguenze : incomprensioni, spaccature e distanze incolmabili. E così anche questa sua ultima fatica dall'emblematico titolo Somwhere, non fa eccezione.
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Soldi, successo, bellezza, potere, sesso, lussi e stravaganze : nella "perfetta" vita dell'attore Johnny Mario, sembra non manchi nulla. Ma quando si presenta l'occasione di trascorrere alcuni giorni con la figlia Cleo, qualcosa comincerà ad incrinarsi... Sofia Coppola ha un grande pregio : pur non raccontando nulla di nuovo, sa usare un suo personale linguaggio espressivo, tale da far assumere ai suoi film una dimensione di rara efficacia. Fin dalla sua opera d'esordio, il cardine del suo cinema si fonda sull'incomunicabilità e le sue drammatiche conseguenze : incomprensioni, spaccature e distanze incolmabili. E così anche questa sua ultima fatica dall'emblematico titolo Somwhere, non fa eccezione. La regista da la parola ai silenzi e al vuoto, avvisandoci che il cancro dei nostri tempi risiede nella incapacità dilagante di comunicare e nella dispersione che ne deriva, generatrice poi, di tragedie annunciate. E lo fa con il suo originale stile, che procede per sottrazione e mai per eccessi : l'apatia e il torpore della vita di Johnny , vengono mostrate senza sensazionalismi, fra giri a vuoto, siparietti scadenti, sorrisi di plastica (bellissima la scena del servizio fotografico per la promozione del film), aria fritta e silenzi assordanti. Impera la finzione della forma, ma la sostanza è totalmente assente. E questo per sottolineare che non c'è bisogno di prendere la strada dell'eccesso per raccontare il vuoto, ma esso è tragicamente annidato ormai nella nostra quotidianità, nascosta in ogni angolo della nostre vite ordinarie e ordinate. Avvalendosi di uno Stephen Dorff straordinariamente in parte, con la sua interpretazione misurata e della brava Elle Fanning, con una colonna sonora più assente del consueto e con il suo modo speciale di fare cinema, la Coppola ci regala l'ennesimo film del disagio, che nel finale, col protagonista che si allontana nel deserto, ci rende l'ultimo grande messaggio : il bene più prezioso di questi tempi è la serenità. Da qualche parte ,(Somwhere, appunto), non importa di preciso dove e come. Quello di cui abbiamo davvero urgente bisogno, è la serenità...
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jayan
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giovedì 23 settembre 2010
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la solitudine di un famoso attore
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Johnny Marco è un famoso attore che trascorre gran parte della sua vita, oltre alla recitazione nei film a vivere in grandi e lussuosi alberghi, circondato da donne facili che entrano nella sua camera per danzare seminude e fare l'amore con lui. Tutte vogliono andare a letto con il grande attore, tutti vogliono incontrarlo, ma solo perché è un attore famoso, non per altro. E lui si annoia, al punto da addormentarsi mentre fa l'amore con una donna. Tutte donne che incontra una volta e poi dimentica. Nessuna vera amicizia. Poi un giorno va a stare da lui la figlia avuta con la moglie da cui si era separato, una ragazzina di 11 anni, molto semplice e fresca di sentimenti.
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Johnny Marco è un famoso attore che trascorre gran parte della sua vita, oltre alla recitazione nei film a vivere in grandi e lussuosi alberghi, circondato da donne facili che entrano nella sua camera per danzare seminude e fare l'amore con lui. Tutte vogliono andare a letto con il grande attore, tutti vogliono incontrarlo, ma solo perché è un attore famoso, non per altro. E lui si annoia, al punto da addormentarsi mentre fa l'amore con una donna. Tutte donne che incontra una volta e poi dimentica. Nessuna vera amicizia. Poi un giorno va a stare da lui la figlia avuta con la moglie da cui si era separato, una ragazzina di 11 anni, molto semplice e fresca di sentimenti. Lei gli fa scoprire la gioia delle cose semplici, come suonare una chitarra senza corde in un videogioco, o semplicemente stare stesi su un materassino sull'acqua della piscina a rilassarsi. E quando dovrà andarsene lui entrerà in crisi, crisi dovuta al fatto che si sente solo e inutile, fino ad allora non aveva mai trovato il tempo per stare un po' con sua figlia. E allora va con la Ferrari in qualche luogo sconosciuto nel deserto, lascia l'auto a cuiera molto legato, e si incammina per andare "non si sa dove", alla scoperta della sua vera identità. La felicità è un fatto interiore, gli oggetti e le persone non potranno mai darcela. Sono proprio i bimbi, coloro che hanno conservato l'innocenza dell'adolescenza, che si entusiasmano per piccole cose, o quando fanno delle scoperte, sono proprio loro a essere felici. E Johnny lo comprende soltanto alla fine del film. Un altro capolavoro di Sofia Coppola, che ha giustamente meritato il Leone d'oro a Venezia. Da non perdere!
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guldalex
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martedì 21 settembre 2010
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più che minimalismo,il nulla..
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se il film vuole essere anticonformista-antiholliwoodiano è soltanto un conformismo alla rovescia molto mal riuscito:l'idea è buona - il modus vivendi di un divo è tutto sommato vuota... - ma sviluppata proprio con il minimo sindacale:inquadrature fisse pasoliniane senza niente dentro;l'immobilità del film non viene controbilanciata da nessun tipo di tensione psicologica o altro capace di non far sprofondare lo spettatore in una noia mortale;gli scorci di quotidianità sono mediocri e senza autenticità...in film del genere senza una Isabelle Huppert il fallimento è dietro l'angolo e si rischia un risultato estremamente banale e mediocre ..
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