paolorol
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martedì 21 settembre 2010
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troppo facile parlarne male...
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Troppo facile parlarne male: basti dire che ha vinto il Leone d'Oro, basti aggiungere che il presidente della Giuria era l'ex fidanzato della Coppola.. Che dire poi del discorsetto finale del Presidente della Biennale, alla premiazione? Ha avuto l'encomiabile faccia tosta di vantare il predominio culturale (del resto innegabile) di Venezia su altri Festival quali Toronto e Cannes, che premiano sempre e solo prodotti commercialissimi, senza riguardo per le opere d'autore e soprattutto senza rispetto per gli autori poco noti.. Che barzelletta! E' stato premiato il film più commerciale fra quelli in concorso e Tarantino ha fatto una pernacchia a chi insinuava dubbi sull'imparzialità della sua scelta (pare che l'abbia fatta democraticamente da padrone.
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Troppo facile parlarne male: basti dire che ha vinto il Leone d'Oro, basti aggiungere che il presidente della Giuria era l'ex fidanzato della Coppola.. Che dire poi del discorsetto finale del Presidente della Biennale, alla premiazione? Ha avuto l'encomiabile faccia tosta di vantare il predominio culturale (del resto innegabile) di Venezia su altri Festival quali Toronto e Cannes, che premiano sempre e solo prodotti commercialissimi, senza riguardo per le opere d'autore e soprattutto senza rispetto per gli autori poco noti.. Che barzelletta! E' stato premiato il film più commerciale fra quelli in concorso e Tarantino ha fatto una pernacchia a chi insinuava dubbi sull'imparzialità della sua scelta (pare che l'abbia fatta democraticamente da padrone..)
A parte ciò, il film è bello! Minimale e descrittivo, inutile andare all'inutile ricerca di trame complesse e dialoghi intricati. E' un tranche de vie che ci illumina, per l'ennesima volta, d'accordo!,su splendori e miserie dei ricchi e sovraesposti divi hollywoodiani. La non-trama può disinteressare, ma a molti forse è sfuggita la costruzione raffinata del film, i cui ritmi lenti assolvono ad una funzione descrittiva. Il protagonista è perfetto nella parte, e che dire della bambina?
La Coppola ha anche inserito nel film una sequenza che potrebbe avere anche una funzione illuminante, almeno per quei (tantissimi) poveracci che sono stati mesmerizzati e rincoglioniti da "una certa tv". Ecco come ci vedono all'estero: la cerimonia della premiazione dei Telegatti rappresenta un'apice di trashitudine berlusconiana difficilmente eguagliabile, così come le "personalità televisive" incarnano l'imbarbarimento ed involgarimento estremo dei costumi italiani. Così ridono di noi, con la Marini sgraziata e grossolana ballerina da avanspettacolo, con l'insopportabile e volgare Ventura Simona e col patetico Nino Frassica.
A parte ciò, ho trovato in qualche modo "originale" l'idea di non includere la droga nella spirale autodistruttiva del protagonista! Riesce a distruggersi benissimo anche senza. Mi spiace che il film abbia anche distrutto la pazienza di molti spettatori. A loro consiglio, e la mia non è una provocazione, di rivederlo con occhio meno prevenuto. Scopriranno un bel film.
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vicviper
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lunedì 20 settembre 2010
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insulso e soporifero
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Sofia coppola era riuscita ad essere molto incisiva in Lost in Translation, un film lento e pieno di silenzi nelle cui pieghe però si annidavano emozioni e significati che restituivano un reticolo complesso di dinamiche esistenziali complesse, raffinate ed intrise di poesia.
Questo al contrario è un film troppo facile: nessun dialogo, nessuna trama, nessuna poesia, nessuna emozione, un messaggio timido e banale.
Non basta indugiare sulle immagini per dargli un significato e rendere lo spirito mimal-essenzialista che il film si propone.
3 minuti di giri di pista
6 minuti di lap dance (ci fosse stato almeno lo streeptease! ;)
5 minuti di videogiochi
questo, un po di sesso accennato e qualche parola compone il primo tempo.
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Sofia coppola era riuscita ad essere molto incisiva in Lost in Translation, un film lento e pieno di silenzi nelle cui pieghe però si annidavano emozioni e significati che restituivano un reticolo complesso di dinamiche esistenziali complesse, raffinate ed intrise di poesia.
Questo al contrario è un film troppo facile: nessun dialogo, nessuna trama, nessuna poesia, nessuna emozione, un messaggio timido e banale.
Non basta indugiare sulle immagini per dargli un significato e rendere lo spirito mimal-essenzialista che il film si propone.
3 minuti di giri di pista
6 minuti di lap dance (ci fosse stato almeno lo streeptease! ;)
5 minuti di videogiochi
questo, un po di sesso accennato e qualche parola compone il primo tempo.
Sono uscito dal cinema all'intervallo convinto di stare perdendo tempo che avrei potuto usare per provare qualche emozione.
Un film non riuscito.
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francocesario
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lunedì 20 settembre 2010
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"in qualche luogo" c'è un'occasione mancata.
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Somewhere è un film che ha delle potenzialità molto grandi ed ho capito che è come una bevanda molto forte che nell'immediato ha un gusto non facilmente definibile ma che poi impari a conoscere man mano che si palesa il retrogusto.
La forza dell'opera di Sofia Coppola sta nel suo cinema minimalista, anti-holliwoodiano per definizione e de facto (il film parla di un attore molto noto che attraversa una crisi di identità scatenata dalla presenza della figlia di undici anni che ha visto rarissimamente data la sua separazione coniugale).
Il minimalismo sopracitato però a volte sembra nascondere un riempitivo scenico che altrimenti non si saprebbe come colmare.
Il fatto è che le tematiche, pur valide ed in certi casi evocative, potevano essere meglio concepite ed essere un tantino più coinvolgenti, senza trascendere nel sensazionalismo di un film d'azione o delle solite commedie che il filmificio americano, purtroppo, ci ha imparato a conoscere.
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Somewhere è un film che ha delle potenzialità molto grandi ed ho capito che è come una bevanda molto forte che nell'immediato ha un gusto non facilmente definibile ma che poi impari a conoscere man mano che si palesa il retrogusto.
La forza dell'opera di Sofia Coppola sta nel suo cinema minimalista, anti-holliwoodiano per definizione e de facto (il film parla di un attore molto noto che attraversa una crisi di identità scatenata dalla presenza della figlia di undici anni che ha visto rarissimamente data la sua separazione coniugale).
Il minimalismo sopracitato però a volte sembra nascondere un riempitivo scenico che altrimenti non si saprebbe come colmare.
Il fatto è che le tematiche, pur valide ed in certi casi evocative, potevano essere meglio concepite ed essere un tantino più coinvolgenti, senza trascendere nel sensazionalismo di un film d'azione o delle solite commedie che il filmificio americano, purtroppo, ci ha imparato a conoscere.
La sensazione è che sia un'occasione persa, una sfida onirica mancata, una pietra lanciata in uno stagno che provoca pochi schizzi.
Non mancano di certo slanci e parti che aiutano lo spettatore più attento a riflettere intensamente sulla realtà sociale in cui ci siamo ficcati; sembra di assistere, però, ad un film che ha subito forti influenze dal cinema impegnato italiano o francese degli anni '70 senza toccarne gli apici creativi.
Sicuramente non poteva aspirare ad un Leone d'oro a Venezia in una rassegna che avesse come competitor opere immortali come “La Grande Guerra” di Monicelli, “Deserto Rosso” di Antognoni o “Film blu” di Kieslowsky, capolavori capaci di vincere le edizioni precedenti.
La scena finale, nonostante auspicabile per chi vive nel cinema un pathos particolare che lo coinvolga in prima persona, è resa piatta e asfittica dalla celerità del movimento e dal ghigno del pur bravo Stephen Dorff.
Complessivamente Sofia Coppola a mio avviso merita (dopo aver visto anche “Il giardino delle vergini suicida” e “Lost in translation”) un esame di riparazione a settembre perchè rappresenta il classico caso di colei che “ha ottime potenzialità ma potrebbe fare di più” di scolastica memoria.
P.s.: la scena dei telegatti girata in Italia crea in me sentimenti contrastanti: da un parte ci prende in giro per aver sposato in toto la sub-cultura americana e ciò è paradossale; dall'altra mi da piacere perchè Simona Ventura e Valeria Marini pur di recitare in un film Usa non si rendono conto di rappresentare con la propria attività televisiva un esempio di trash tv.
Franco Cesario sinonimomacontrario.splinder.com
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indag29
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domenica 19 settembre 2010
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assolutamente un film vergognoso
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Come la critica abbia consigliato di vedere questo film resta un mistero, sempre che il buon Francis Ford Coppola non abbia provveduto a prezzolare gli stessi critici.
Film da cancellare nella storia dei Coppola, pessima e scontata sceneggiatura, colonna sonora inesistente, dialoghi inesistenti, film assolutamente lento, peggio dei film francesi, primo tempo da suicidio collettivo, secondo tempo in cui ci si aspetta una ripresa invece si ricade nella noia assoluta per arrivare all'incomprensibile finale.
La signorina neo regista Coppola farebbe bene a cambiar strada, l'intera sala cinematografica sbadigliava, qualcuno russava e tutti ci si guardava increduli sul come questo film fosse giunto nelle sale cinematografiche.
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Come la critica abbia consigliato di vedere questo film resta un mistero, sempre che il buon Francis Ford Coppola non abbia provveduto a prezzolare gli stessi critici.
Film da cancellare nella storia dei Coppola, pessima e scontata sceneggiatura, colonna sonora inesistente, dialoghi inesistenti, film assolutamente lento, peggio dei film francesi, primo tempo da suicidio collettivo, secondo tempo in cui ci si aspetta una ripresa invece si ricade nella noia assoluta per arrivare all'incomprensibile finale.
La signorina neo regista Coppola farebbe bene a cambiar strada, l'intera sala cinematografica sbadigliava, qualcuno russava e tutti ci si guardava increduli sul come questo film fosse giunto nelle sale cinematografiche. Conclusione: il miglior tempo è stato l'intervallo. Vergognatevi di consigliare questa pellicola, è solo un furto alla tasca degli appassionati della cinematografia e pericoloso per la psiche altrui!!
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danascully
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domenica 19 settembre 2010
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se questo era il leone d'oro ...
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parla una che non è certo un'esperta di cinema, ma la delusione dopo aver visto questo è stata davvero grossa ... Non è un film orrendo, ma è così pieno di banalità ( 'metafore' -?- quali i giri a vuoto in ferrari all'inizio e il lasciare sempre la stessa ferrari sul ciglio della strada andandosene con uno stupido, talmente scontato da essere ridicolo, sorrisino sulle labbra...) da essere spesso e volentieri incredibilmente irritante. Non riesco a credere che sia la stessa regista di un capolavoro come Lost in Translation. Non riesco a credere che gli abbiano dato il premio destinato al miglior film. E soprattutto dopo che ad ascoltare i commenti dei critici durante la settimana veneziana erano ben altri i nomi che casomai venivano indicati come meritori del leoncino, ma .
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parla una che non è certo un'esperta di cinema, ma la delusione dopo aver visto questo è stata davvero grossa ... Non è un film orrendo, ma è così pieno di banalità ( 'metafore' -?- quali i giri a vuoto in ferrari all'inizio e il lasciare sempre la stessa ferrari sul ciglio della strada andandosene con uno stupido, talmente scontato da essere ridicolo, sorrisino sulle labbra...) da essere spesso e volentieri incredibilmente irritante. Non riesco a credere che sia la stessa regista di un capolavoro come Lost in Translation. Non riesco a credere che gli abbiano dato il premio destinato al miglior film. E soprattutto dopo che ad ascoltare i commenti dei critici durante la settimana veneziana erano ben altri i nomi che casomai venivano indicati come meritori del leoncino, ma ... guarda caso, le voci di corridoio l'hanno dato favorito fin dall'inizio ...
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aragornvr
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domenica 19 settembre 2010
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....where?
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... non perdete tempo, il film della Coppola, dopo un profondo Il giardino delle vergini suicide, e un lento ma valido Lost in translation, (ignoro volutamente Marie Antoinette ) propone un deludente, inutile, vuoto, ruffiano Somewhere.
Il film e' scarno, come i film indipendenti dei primi anni novanta (Araki docet, The living end in particolare) ma senza la loro personalità, nè profondità alcuna; quasi una scarsa fotocopia, racconta con lentezza auticompiaciuta, la supposta visione sostanziale, in realtà inesistente, di un rapporto padre-figlia nullo, una professione esternamente di successo, ma profondamente vuota.
Il tema, per quanto quotidiano e scontato, poteva forse essere trattato con con un nuovo sguardo sulla società che, negli ultimi tempi, sta indubbiamente correndo e bruciando le tappe dei rapporti famigliari, alterandoli e rinnovandoli.
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... non perdete tempo, il film della Coppola, dopo un profondo Il giardino delle vergini suicide, e un lento ma valido Lost in translation, (ignoro volutamente Marie Antoinette ) propone un deludente, inutile, vuoto, ruffiano Somewhere.
Il film e' scarno, come i film indipendenti dei primi anni novanta (Araki docet, The living end in particolare) ma senza la loro personalità, nè profondità alcuna; quasi una scarsa fotocopia, racconta con lentezza auticompiaciuta, la supposta visione sostanziale, in realtà inesistente, di un rapporto padre-figlia nullo, una professione esternamente di successo, ma profondamente vuota.
Il tema, per quanto quotidiano e scontato, poteva forse essere trattato con con un nuovo sguardo sulla società che, negli ultimi tempi, sta indubbiamente correndo e bruciando le tappe dei rapporti famigliari, alterandoli e rinnovandoli.
Invece, il nulla.
Il finale, uno sguardo filosofico al futuro, è in realtà superficiale, facile e scontato, assolutamente inespressivo di pensiero o emozione.
Sicuramente eccellente per attori, registi e i clan cinematografici, che i sentono profondamente interpretati dal film, e gli consegnano il Leone d'Oro.
Altrettanto sicuramente superficiale ed inutile per il pubblico cinefilo che, su Mymovies, da al film una stella e mezza....
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gianmarco.diroma
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domenica 19 settembre 2010
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gesti ostentati di una sicurezza solo di facciata
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Una Ferrari 458 Nera compie 4 giri intorno ad una simil-pista in mezzo al nulla: all'inizio del quinto si ferma. Il guidatore scende dall'auto: è Johnny Marco, un attore affermato dello star system di Hollywood. Si guarda intorno. Il nulla intorno a lui. Il guidare una Ferrari, gesto di simbolica ostentazione, nasconde solamente una sicurezza di facciata che di sostanza non ha niente. A confermarlo il titolo del film, che appare subito dopo: Somewhere, ovvero da qualche parte, in una sorta di "non luogo", di limbo, dove l'apatia del protagonista si manifesta (ma non si sfoga mai veramente, eccetto, nel finale, al telefono con la ex compagna e madre di sua figlia, Leila) attraverso una deriva che rimane confinata entro i confini di una piscina del Chateau Marmont di Los Angeles.
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Una Ferrari 458 Nera compie 4 giri intorno ad una simil-pista in mezzo al nulla: all'inizio del quinto si ferma. Il guidatore scende dall'auto: è Johnny Marco, un attore affermato dello star system di Hollywood. Si guarda intorno. Il nulla intorno a lui. Il guidare una Ferrari, gesto di simbolica ostentazione, nasconde solamente una sicurezza di facciata che di sostanza non ha niente. A confermarlo il titolo del film, che appare subito dopo: Somewhere, ovvero da qualche parte, in una sorta di "non luogo", di limbo, dove l'apatia del protagonista si manifesta (ma non si sfoga mai veramente, eccetto, nel finale, al telefono con la ex compagna e madre di sua figlia, Leila) attraverso una deriva che rimane confinata entro i confini di una piscina del Chateau Marmont di Los Angeles.
A sottolineare ulteriormente il senso di vuoto permanente che caratterizza la vita dell'infelice Johnny, la sequenza delle due ballerine, gemelle bionde in stile Ikea, che ballano davanti a Johnny, mentre tra alcol e pastiglie lui si addormenta. O ancora Johnny che collassa - letteralmente - tra le cosce di un'amante. Johnny che si sgola una birra dietro l'altra senza nessuna compagnia. Johnny che gioca ai videogiochi come un bambino di 10 anni, che se gli viene chiesto quali studi abbia fatto per affermarsi nel mondo della recitazione, non sa neanche come abbia iniziato a fare l'attore, Johnny che di fronte alle domande dei giornalisti, durante la conferenza stampa di presentazione della sua ultima 'fatica' cinematografica, non sa cosa rispondere.
In questo tragicomico siparietto, dove a fare da cornice ci stanno brand di tutti i tipi (la Ferrari 458, i Persol PO 2932 S, sigarette Camel, la Wii e Guitar Hero, il Principe di Savoia di Milano, i Telegatti), gli stessi protagonisti (primo fra tutti Johnny Marco che, sopra un materassino nella piscina dell'albergo losangelino dove alloggia, esce lentamente dall'inquadratura) vengano fissati nella loro 'irrilevanza esistenziale' attraverso delle inquadrature fisse che guardano sbalordite a queste vite prive di spessore.
C'è una tensione che caratterizza la vita del protagonista che viene di continuo smorzata dagli impegni di lavoro, da donnette che gli si offrono con grande generosità, dalla possibilità di usare tutti i soldi che ha come vuole (un giro in elicottero o a Las Vegas cambia poco). Non c'è scelta necessaria nella vita di Johnny Marco, perché tutte le scelte sono possibili. Si può permettere tutto quello che vuole. Ma in realtà paga un prezzo altissimo: "è sempre via, non c'è mai", neanche per sua figlia Cleo, l'unica in grado di dare un po' di reale dinamismo alla sua vita. L'unica in grado di scuoterlo dal di dentro, muovendo semplicemente qualche passo di danza classica su una pista di ghiaccio. L'unica a spingerlo, nel giro di un'ora e mezza circa di film, a due fughe: la prima a Milano, dalla possibilità di ricevere le chiavi della città, la seconda nel finale, quando Johnny, partito per qualche luogo (il "somewhere" del titolo?) decide di abbandonare la sua macchina e di ripartire per nuove destinazioni tutte da scoprire, ma che, almeno, gli offrono la possibilità di un sorriso sincero: se velleitario poi, non ci è dato sapere!
In questo senso la parola "somewhere" si costituisce sia come punto di partenza, all'inizio del film, che di ripartenza, alla fine, di un'esistenza che si ribella alla propria condizione di manichino (simbolica la sequenza del make-up!).
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quinton
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sabato 18 settembre 2010
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lost in somewhere
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Vincitore del Leone d'Oro alla 67° e più recente edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, "Somewhere", ultimo sforzo professionale della figlia d'arte Sofia Coppola, analizza come il suo predecessore, e ritenuto ad unanimità migliore, "Lost in Translation", la crisi di una affermata star hollywoodiana dedita ad una vita di eccessi scandita dall'uso quotidiano di alcool e droghe. Ma le similitudini filmiche tra le due opere si fermano qui.
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Vincitore del Leone d'Oro alla 67° e più recente edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, "Somewhere", ultimo sforzo professionale della figlia d'arte Sofia Coppola, analizza come il suo predecessore, e ritenuto ad unanimità migliore, "Lost in Translation", la crisi di una affermata star hollywoodiana dedita ad una vita di eccessi scandita dall'uso quotidiano di alcool e droghe. Ma le similitudini filmiche tra le due opere si fermano qui. Grazie ad una regia statica e ridondante ed a un sapiente ed oculato uso della colonna sonora il film è per la sua totalità pervaso da un gravoso e crescente senso di solitudine; paradossale se si pensa alla impegnatissima e variegata vita di una stella del cinema. Ad aggravare ulteriormente la condizione psicologica del protagonista Johnny Marco alias Stephen Dorff vi è una intricata situazione familiare; in questo frangente l'autrice è stata brava ad evitare di appesantire la messa in scena con un'analisi postuma di ciò, facendola emergere solo superficialmente quel tanto che basta per incuriosire lo spettatore. Il risultato è l'apparizione a più riprese dell'altra protagonista femminile, la figlia di Johnny, interpretata dalla bravissima seppur giovanissima Elle Fanning. Ed è proprio quest'ultima l'unica in grado di risvegliare dall'abisso la star, ago della bilancia della sua condizione psicologica. Da una parte "ancora di salvezza" dall'altra "zavorra" che evidenzia al protagonista la sua incapacità e inesperienza come figura genitoriale.
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salomea
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venerdì 17 settembre 2010
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una delusione
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patty
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venerdì 17 settembre 2010
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una noia mortale
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Scene troppo lunghe e noiose...è un film che non lascia niente...la storia è bella, ma se fosse stata sviluppata in modo più articolato...così proprio mi cadono le braccia!!...ma come ha fatto a vincere il leone d'oro????..Dilemma!!!...Lo sconsiglio senza pensarci su...
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