tmpsvita
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lunedì 7 agosto 2017
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tecnicamente perfetto ma manca un po' di emozione
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Un incredibile performance di Daniel Day-Lewis e di Paul Dano, una fotografia travolgente, una colonna sonora particolare e che, proprio nella sua particolarità trova il suo punto di forza, ed una regia caparbia sono i pilastri portanti di un film che, nonostante ciò, l'ho trovato sopravvalutato e per questo motivo trovo davvero molto difficile riuscire a valutarlo.
Mi è piaciuto praticamente tutto ma è come se non fossi stato mai, eccetto per alcune scene, veramente interessanto abbastanza ad esso e per questo non sono riuscito emotivamente ed empaticamente legato alla storia e anche a i suoi personaggi, anche se oggettivamente li ho trovati molto ben caratterizzati (come in ogni film di Paul Thomas Anderson).
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Un incredibile performance di Daniel Day-Lewis e di Paul Dano, una fotografia travolgente, una colonna sonora particolare e che, proprio nella sua particolarità trova il suo punto di forza, ed una regia caparbia sono i pilastri portanti di un film che, nonostante ciò, l'ho trovato sopravvalutato e per questo motivo trovo davvero molto difficile riuscire a valutarlo.
Mi è piaciuto praticamente tutto ma è come se non fossi stato mai, eccetto per alcune scene, veramente interessanto abbastanza ad esso e per questo non sono riuscito emotivamente ed empaticamente legato alla storia e anche a i suoi personaggi, anche se oggettivamente li ho trovati molto ben caratterizzati (come in ogni film di Paul Thomas Anderson).
Però non riesco né a dire che sia un brutto film, perché è stato fatto in maniera impeccabile, meglio non poteva essere fatto, ma neanche riesco a definirlo un capolavoro, probabilmente la storia non è proprio per me.
VOTO: 7/10
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bob
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sabato 1 marzo 2008
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ecco, ora ho finito !
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L'ultima fatica del talentuoso regista Paul Thomas Anderson, "There will we blood" (meglio stendere un velo pietoso e non nominare neanche l'orribile titolo italiano) e' un film ambizioso, molto sentito, sperimentale nella sua costruzione e dunque distante anni luce dal "modo" di fare cinema a cui siamo abituati: a quei prodotti, a volte solo ben confezionati, che ci giungono segnatamente da Hollywood. E in questo senso, e' stata una sorpresa vederlo nominato dall'Academy tra i miglior film della stagione: mentre stupiscono molto meno i premi ricevuti al Festival di Berlino(Orso d'Argento per la regia e miglior colonna sonora) dove peraltro Anderson aveva gia' vinto con il suo altrettanto interessante "Magnolia".
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L'ultima fatica del talentuoso regista Paul Thomas Anderson, "There will we blood" (meglio stendere un velo pietoso e non nominare neanche l'orribile titolo italiano) e' un film ambizioso, molto sentito, sperimentale nella sua costruzione e dunque distante anni luce dal "modo" di fare cinema a cui siamo abituati: a quei prodotti, a volte solo ben confezionati, che ci giungono segnatamente da Hollywood. E in questo senso, e' stata una sorpresa vederlo nominato dall'Academy tra i miglior film della stagione: mentre stupiscono molto meno i premi ricevuti al Festival di Berlino(Orso d'Argento per la regia e miglior colonna sonora) dove peraltro Anderson aveva gia' vinto con il suo altrettanto interessante "Magnolia". In effetti, la storia del cercatore d'argento Daniel Plainview, che a cavallo del '900 trova invece il petrolio, sarebbe stata raccontata in modo assai piu convenzionale da molti altri registi. Ma Paul Thomas Anderson, come ha gia' dimostrato in passato, e' molto di piu' di un semplice regista illustratore, di quelli che si limitano a raccontare una storia. Nelle sue mani il film diventa un potente affresco sulla nascita del capitalismo e sul fanatismo della religione. Soprattutto un film sull'avidita' di un uomo forte, ostinato e per certi versi eroico: un solitario misantropo che sembra aver venduto la propria anima al diavolo, sotto le vesti dell’oro nero, disposto a tutto, anche a calpestare senza pieta' gli affetti piu' personali, pur di arrivare al successo. Dedicato nei titoli di coda alla memoria del suo Maestro Robert Altman, il film di Anderson e' un'opera titanica che richiama da vicino tanto il cinema di Orson Welles (Quarto Potere) che quello di John Huston (Moby Dick). Grande Cinema dunque. Ad incominciare dal superbo inizio, quindici minuti di religioso silenzio assoluto, nel quale non si pronuncia una singola parola. Un prologo che sembra uscito dal miglior Cinema Muto e con il quale Anderson lancia la sua sfida al pubblico. I momenti di cinema assoluto non mancano: in primo luogo, come gia' detto, tutto i memorabili 15 minuti iniziali, che sembrano usciti dal miglior Griffith. Ma sono impossibili da dimenticare anche alcuni momenti che segnano il rapporto ambivalente tra Plainview e suo "figlio": ad esempio tutti quelli in cui il bambino "viene usato" per carpire la fiducia delle varie famiglie; quello visivamente magnifico (molti sono i meriti dell'operatore Robert Elswit, capace con la sua sontuosa fotografia, di restuirci durante tutto il film persino l'odore e la viscosita' del petrolio) dell'esplosione del pozzo petrolifero, che costa l'udito al bambino. E ancora quello straziante in cui, senza esitazione, Plainview lo abbandona poi sul treno: un bambino sordo, non gli e' piu' utile: agghiacciante. Senza contare la sequenza per cui il film verra' ricordato un po' da tutti: mi riferisco ovviamente a quella "del battesimo", la pagina senza dubbio piu' intensa del film, quella che segna il momento di scontro tra l''anima capitalistica, spregiudicata e avida di Plainview e quella religiosa, invasata, melliflua ed altrettanto assetata di potere del giovane predicatore. Grandi momenti che si alternano pero' a momenti di stanca. La ricerca dell'anticonvenzionalita' a tutti costi, non sempre paga. "There will be blood" e' infatti un film poco fluido, difficile nella sua antispettacolarita': un macigno insormontabile per la maggior parte degli spettatori (ho visto molti abbandonare la sala a fine primo tempo, indispettiti..."ma quale film da Oscar"...scene impagabili nella loro stupidita'), lungo e a tratti macchinoso, "pesante" (sebbene "pensante") come spesso lo sono i grandissimi film. Ma "There will we blood" e' soprattutto un film che ha il limite di esser prigioniero della figura del suo protagonista. Daniel Day Lewis nel ruolo di Daniel Plainview e' certamente monumentale: difficile immaginare qualcuno piu' bravo nello scomparire dentro di esso: di mostrare meglio di lui l'avidita', la solitudine e la rapacita' del suo personaggio. E' incredibile. Recita nel corso del film con ogni parte del corpo: inizia con le con le mani, le unghie, le gambe e gli stinchi, nel prologo: poi con gli occhi (lo scoppio del pozzo di petrolio) e finisce con la "schiena", nell'inquadratura sul finale, nella sua mega casa con pista da Bowling inclusa...Una menzione a parte merita anche il lavoro fatto da Jonny Grennwood dei Radiohead per la colonna sonora: uno "score" assai poco classico, innovativo, fatto di suoni stranianti, maledettamente ossessivi, dunque assolutamennte perfetti per il film. Tutta la parte finale del film lascia invece un po' perplessi. Le altre due sequenze "madri" del film, (il faccia a faccia con il figlio ormai cresciuto e quello conclusivo, con la violenta resa dei conti con il predicatore, un bravissimo Paul Dano...ma tale e quale all'inizio...che crema per il viso ha usato? :-) giungono infatti un po' troppo frettolosamente, slegate dal resto del film. E sono anche eccisavamente "sopra le righe". Ma bisogna riconoscere che la frase finale del film, "ecco ora ho finito", e' una chiusura di grande effetto: il titolo lo diceva, "ci sara' sangue" e alla fine, e' quello che scorre. Voto: 7,5
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giunilisbon
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mercoledì 5 marzo 2008
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una storia americana
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Avevamo lasciato Anderson alle prese con la rabbia psico attitudinale di Adam Sandler in Ubriaco D'amore. Era il 2002 e la commedia originale e cinefila, successiva al più impegnato, ma non privo di ironia, Magnolia, aveva sorpreso tutti regalando una consacrazione anche al suo interprete. Cinque anni dopo i fan di questo giovane regista vengono spiazzati in maniera totale dalla maturazione e dal mutamento delle tematiche del suo ultimo lavoro. Consacrato dalla critica ancora prima che dal pubblico, ingnorato agli oscar (che come prevedibile hanno premiato il più commerciale film dei fratelli Cohen), il Petroliere ha spaccato la critica e il pubblico. Capolavoro o passaggio a vuoto per un regista più adatto alla satira di costume? Partiamo da un dato oggettivo: tecnicamente questo film regala un Anderson perfetto, che narra una fabula legata all'ascesa sociale di un uomo e alla sua autodistruzione personale, in maniera originale e assolutamente elitaria in campo cinematografico.
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Avevamo lasciato Anderson alle prese con la rabbia psico attitudinale di Adam Sandler in Ubriaco D'amore. Era il 2002 e la commedia originale e cinefila, successiva al più impegnato, ma non privo di ironia, Magnolia, aveva sorpreso tutti regalando una consacrazione anche al suo interprete. Cinque anni dopo i fan di questo giovane regista vengono spiazzati in maniera totale dalla maturazione e dal mutamento delle tematiche del suo ultimo lavoro. Consacrato dalla critica ancora prima che dal pubblico, ingnorato agli oscar (che come prevedibile hanno premiato il più commerciale film dei fratelli Cohen), il Petroliere ha spaccato la critica e il pubblico. Capolavoro o passaggio a vuoto per un regista più adatto alla satira di costume? Partiamo da un dato oggettivo: tecnicamente questo film regala un Anderson perfetto, che narra una fabula legata all'ascesa sociale di un uomo e alla sua autodistruzione personale, in maniera originale e assolutamente elitaria in campo cinematografico. E' incredibile come nel film i silenzi iniziali si compenetrino con le scene climax e assumano la medesima importanza. Il regista sembra quasi volere lanciare con i primi 20 minuti di film un monito allo spettatore: la pazienza sarà necessaria in un film che dice più con le espressioni del perfetto Daniel Day Lewis che con le parole vuote del giovanissimo Paul Dano, anch'egli perfetto nel ruolo del logorroico e coltivatore di isterismi religiosi. Il cuore di tenebra del petrolio non viene psicoanalizzato con la macchina da presa come in Magnolia, ma rimane in silienzio, agisce in una maniera che sembra portare lo spettatore ad una conoscenza del personaggio legata soprattutto alla sua cecità di fronte ad altre cose che non siano la sua ascesa alla ricchezza, eppure il film nell'ultima parte regala il tocco in più, la staticità lascia il posto alla frenesia: raggiunto il suo scopo il vero io del protagonista esce fuori, gli avvenimenti sono tutti legati ad un filo unico, il sangue del protagonista è sempre e solo stato petrolio, non c'è altro spazio per niente se non la commiserazione per chi crede in qualcosa, deriso e fisicamente eliminato da un nichilismo violento. Il sottotesto di questo film sembra in parte richiamare anche alla storia recente degli stati uniti, che proprio per l'oro nero si sono macchiati di varie nefandezze. Un artista come Anderson di certo non ha dimenticato questo dettaglio. Religione traviata, avidità e bugie, sono i mali del protagonista, ma anche quelli di una realtà che si vive nel quotidiano. In conclusione il Petroliere rappresenta una vera e propria maturazione, un passo in avanti che dimostra come questo regista sia in grado di compararsi anche con un genere difficile come quello drammatico. Questo film non deve essere menzionato come il nuovo Gigante, ma sicuramente altresì merita un posto d'onore nel panorama del cinema degli ultimi anni.
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kurtz
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sabato 29 marzo 2008
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metafore incisive
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Lungo il filo diretto e chiaro della trama, lo sviluppo del capitalismo dai primi vagiti attaccato al seno della terra fino alla voracità finale di un adulto senescente e incontrollabile, si snodano anche le metafore. Questo capitalismo che abbandona il proprio figlio (la ragione primaria per cui fa tutto), tra l'altro un figlio non suo, non appena questo diventa un peso. Questo capitalismo che trae dalla Terra la propria forza e in quanto Terra si scontra con il Cielo. Uno scontro/alleanza senza esclusione di colpi. Dapprima uno ha bisogno dell'altro, poi si umiliano, e alla fine c'è la lotta finale.
Capolavoro: nel momento della crisi totale del capitalismo, il 29', è Dio a soccombere! E viene ucciso con un inganno, ma metaforicamente con gli strumenti di un gioco, un divertimento.
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Lungo il filo diretto e chiaro della trama, lo sviluppo del capitalismo dai primi vagiti attaccato al seno della terra fino alla voracità finale di un adulto senescente e incontrollabile, si snodano anche le metafore. Questo capitalismo che abbandona il proprio figlio (la ragione primaria per cui fa tutto), tra l'altro un figlio non suo, non appena questo diventa un peso. Questo capitalismo che trae dalla Terra la propria forza e in quanto Terra si scontra con il Cielo. Uno scontro/alleanza senza esclusione di colpi. Dapprima uno ha bisogno dell'altro, poi si umiliano, e alla fine c'è la lotta finale.
Capolavoro: nel momento della crisi totale del capitalismo, il 29', è Dio a soccombere! E viene ucciso con un inganno, ma metaforicamente con gli strumenti di un gioco, un divertimento. Il Birillo di legno, il gioco, diventa il Killer della Fede terrena (superstiziosa e ingannatrice). Sarà appunto il divertimento a sostituire la fede nello sviluppo della nostra civiltà. Marx direbbe anche lui che il calcio ha sostituito la religione come oppio dei popoli!
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[+] un po forzate le metafore
(di anonimo165494)
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gabry
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sabato 5 aprile 2008
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daniel day lewis, un gigante
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Inizia nell'oscurità di un pozzo la storia di Daniel Plainview, che dopo aver setacciato tutta la crosta californiana ed averne estratto tutto il pèetrolio disponibile, diventa un uomo potente sempre più avido, assetato di successo e accecato dall'odio contro chi osa intralciarlo nel suo percorso. La storia di un uomo solo, senza l'amore di una donna o il calore di una famiglia, incapace di qualsiasi gesto d'affetto, anche se a volte sembra non ne sia completamente privo; come nella corsa disperata durante l'incidente al pozzo nel quale rimane coinvolto il figlioletto , o in qualche ruvida carezza riservata a quest'ultimo rimasto sordo .
Ma sono attimi dai quali ci si distoglie rapidamente, Daniel è disposto a tutto pur d'ingrandire il suo impero, anche di ricevere pubblicamente un battesimo di sangue al fine di ottenere il permesso per una tubazione dal reticente proprietario.
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Inizia nell'oscurità di un pozzo la storia di Daniel Plainview, che dopo aver setacciato tutta la crosta californiana ed averne estratto tutto il pèetrolio disponibile, diventa un uomo potente sempre più avido, assetato di successo e accecato dall'odio contro chi osa intralciarlo nel suo percorso. La storia di un uomo solo, senza l'amore di una donna o il calore di una famiglia, incapace di qualsiasi gesto d'affetto, anche se a volte sembra non ne sia completamente privo; come nella corsa disperata durante l'incidente al pozzo nel quale rimane coinvolto il figlioletto , o in qualche ruvida carezza riservata a quest'ultimo rimasto sordo .
Ma sono attimi dai quali ci si distoglie rapidamente, Daniel è disposto a tutto pur d'ingrandire il suo impero, anche di ricevere pubblicamente un battesimo di sangue al fine di ottenere il permesso per una tubazione dal reticente proprietario. E' ricco, ma vive da miserabile, nonostante la sua aristocratica residenza, si addormenta ubriaco sul pavimento tutte le sere, le sue mani sono sporche di sangue.
Daniel Day Lewis si conferma attore di grande levatura, non si risparmia su nulla, si concede anima e corpo alla macchina da presa, col suo sguardo torvo, l'andatura claudicante, con una bravura che a tratti penalizza il film, tanto si è concentrati nelle sue doti interpretative.
Un film, qualcuno ha detto, che non insegna nulla, perchè non c'è riscatto, non c'è redenzione, e perchè dovrebbe esserci? L'insegnamento anzi sta proprio in questo, la solitudine è la punizione di Daniel, la sua rabbia la sua dannazione.
Inizia nell'oscurità di un pozzo e termina nella stessa oscurità della sua anima
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dandy
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martedì 29 marzo 2011
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l'oro nero risplende nella follia.
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Adattando e sfrondando il rimanzo "Petrolio" di Upton Sinclair(ispirato al magnate Edward Doheny),Anderson vuole riflettere sulla nascita del capitalismo in America attraverso le ossessioni di un uomo disposto a passare su tutto e tutti per perseguire i suoi scopi.Lewis si cala con disinvoltura in una sorta di Re lear grottesco e spinto all'eccesso,meritandosi un Oscar.Il regista dal canto suo ha tecnica da vendere,usa magistralmente i primissimi piani inconrniciando quello che accade sullo sfondo(come nell'epica sequenza della piattaforma che prende fuoco)ma spesso il flusso del racconto tende a sfuggirgli di mano.Ed è troppo programmatico nel cercare la tragedia universale senza riuscire a essere davvero folgorante(a tal proposito certi personaggi come il sedicente fratello di Plainview e Paul il gemello di Eli andavano approfonditi meglio).
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Adattando e sfrondando il rimanzo "Petrolio" di Upton Sinclair(ispirato al magnate Edward Doheny),Anderson vuole riflettere sulla nascita del capitalismo in America attraverso le ossessioni di un uomo disposto a passare su tutto e tutti per perseguire i suoi scopi.Lewis si cala con disinvoltura in una sorta di Re lear grottesco e spinto all'eccesso,meritandosi un Oscar.Il regista dal canto suo ha tecnica da vendere,usa magistralmente i primissimi piani inconrniciando quello che accade sullo sfondo(come nell'epica sequenza della piattaforma che prende fuoco)ma spesso il flusso del racconto tende a sfuggirgli di mano.Ed è troppo programmatico nel cercare la tragedia universale senza riuscire a essere davvero folgorante(a tal proposito certi personaggi come il sedicente fratello di Plainview e Paul il gemello di Eli andavano approfonditi meglio).Bella colonna sonora del chitarrista dei "Radiohead" Johnny Greenwood.
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immanuel
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venerdì 19 agosto 2011
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la lucida e razionale malvagità
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L'istinto alla competizione agita l'anima profonda del cercatore di petrolio: diffidenza, invidia e livore sono sentimenti legittimi, scaldano il cuore nero del petroliere, scuro come quella materia preziosa che strappa con fatica e impegno dalle profondità della terra, torbido come gli animi di chi da quella intende ricavare profitto. La melma fruttuosa stravolge, annega, nasconde e uccide speranze, aspettative, amicizie e, a volte, esistenze terrene. Daniel Plainview, "il pretroliere", dice di odiare la maggior parte delle persone. Un’avversione e una misantropia attecchite negli anni. Alimentate dall’individualismo dell’istinto cercatore e dalla concorrenza spietata, hanno innalzato una cortina di inimicizia che divide Plainview dal contatto umano col mondo circostante.
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L'istinto alla competizione agita l'anima profonda del cercatore di petrolio: diffidenza, invidia e livore sono sentimenti legittimi, scaldano il cuore nero del petroliere, scuro come quella materia preziosa che strappa con fatica e impegno dalle profondità della terra, torbido come gli animi di chi da quella intende ricavare profitto. La melma fruttuosa stravolge, annega, nasconde e uccide speranze, aspettative, amicizie e, a volte, esistenze terrene. Daniel Plainview, "il pretroliere", dice di odiare la maggior parte delle persone. Un’avversione e una misantropia attecchite negli anni. Alimentate dall’individualismo dell’istinto cercatore e dalla concorrenza spietata, hanno innalzato una cortina di inimicizia che divide Plainview dal contatto umano col mondo circostante. Metodico, brutale e accecato dalla bramosia di guadagno giunge a trascurare i propri affetti più cari o a finirne illuso dal desiderio e dal ricordo. E quello che abusa della memoria di un fratello che sembrava scomparso o cancellato dalle nebbie del tempo, ne paga le esiziali conseguenze. Finisce ucciso barbaramente a sangue freddo. Perché Plainview è un essere sofferente, profondamente in rotta col mondo, disilluso e privo di compassione alcuna. La sua storia si interseca con quella di un altro personaggio dai tratti patologici. Eli Sunday, un predicatore fanatico alla cui famiglia Daniel ha estorto i terreni ricchi di petrolio, sembra rappresentare un alter ego del protagonista. Per molti aspetti simili, tanto nella degradazione morale, quanto per il disagio psichico, ambedue filtrano dall’alambicco della propria nequizia quell’ostilità nei confronti dell’”altro” che costituisce lo stimolante delle loro esistenze. Vedendo attraverso quest’ultima (in una chiave in ogni caso venale e egostica), l’uno la possibilità di attrarre nuovi adepti all’impostura, l’altro l’opportunità di scavalcare (nel modo che si ritenga più lecito) i diritti e gli interessi altrui. E quando il primo cerca di offrire una strada di conversione e di avvicinamento all’oltremondano al secondo, in realtà questi se ne allontana ancora di più scrutando in quella fede fittizia solo degenerazioni e menzogne. La parte conclusiva del film, con la scena finale che vede la contrapposizione decisiva tra Daniel ed Eli, costituisce l’epifania del male e del vizio allignati nei due protagonisti. Il titolo originale della pellicola “Ci sarà sangue” (There will be blood) sembra offrire una preveggenza del delitto orribile che si consuma. In un modo del tutto imprevedibile, in un’escalation di violenza prima verbale poi fisica Plainview, che ha la mente ottusa dall’alcol nel quale cerca da anni la risposta ai propri malesseri, carpisce l’ultima confessione ad Eli. Come nella scena del suo battesimo facendo ammenda dei propri peccati aveva reso noto il vergognoso abbandono “del proprio bambino”, così ora è lui a trascinare il predicatore in una pantomima grottesca ma rivelatrice. “Io sono un falso profeta, Dio è una superstizione”. La “terza rivelazione” è rappresentata dal suo stesso ego, padrone anche della vita del lestofante Eli che uccide con violenza e odio tali da lasciare ancora una volta sgomenti.
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andrea zagano
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giovedì 4 luglio 2013
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uno splendido affresco sull'avidità dell'uomo
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“Il Petroliere” è uno splendido affresco sull'avidità dell'uomo. La sua sete di soldi, sempre più soldi, talvolta lo porta a dimenticare le cose più importanti, come la famiglia, o quel poco che ne resta come in questo caso.
Il film mostra come l’uomo sia pronto a tutto per il dio denaro e come lo sia molto meno quando c’è da porre sé stesso dietro agli altri, senza secondi fini.
Ne “Il Petroliere” vengono illustrate in maniera magistrale le tappe e lo sviluppo della vita del protagonista: gli inizi, l’ascesa, il potere e l’apoteosi finale culminata nella follia e nella solitudine assoluta.
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“Il Petroliere” è uno splendido affresco sull'avidità dell'uomo. La sua sete di soldi, sempre più soldi, talvolta lo porta a dimenticare le cose più importanti, come la famiglia, o quel poco che ne resta come in questo caso.
Il film mostra come l’uomo sia pronto a tutto per il dio denaro e come lo sia molto meno quando c’è da porre sé stesso dietro agli altri, senza secondi fini.
Ne “Il Petroliere” vengono illustrate in maniera magistrale le tappe e lo sviluppo della vita del protagonista: gli inizi, l’ascesa, il potere e l’apoteosi finale culminata nella follia e nella solitudine assoluta.
Le struggenti parole finali completano il cambiamento del petroliere: un avido, triste, solitario paperone, rimasto colpevolmente solo.
Il film gode di ricchissima simbologia che, a differenza della maggior parte delle pellicole, è netta e cristallina: alcuni esempi sono il tocco sporco di petrolio del vero padre sopra il viso del bambino all’inizio, il volto logorato dal sole e dalla sete di potere o ancora nella scena iniziale, quando Daniel giunge il prima possibile col campione di roccia dal compratore, noncurante della gamba rotta.
Due parole su Daniel Day-Lewis, attore straordinario: interpretazione tra le più struggenti della storia, il suo ruolo reale è quello dell’odio, in carne ed ossa. Pazzesco.
Non a caso detiene un importantissimo record: è l’UNICO attore della storia del cinema ad aver vinto tre premi Oscar da PROTAGONISTA (una proprio per “Il Petroliere”).
Regia superlativa per il genio di Los Angeles Paul Anderson. Il film è molto lento ma MAI pesante; è sempre possibile riflettere tra una sequenza e l’altra, mentre la pellicola tiene incollato lo spettatore senza mai annoiarlo. “Il Petroliere” è un colpo di genio, un capolavoro, sicuramente tra i migliori degli ultimi dieci anni.
Pellicola dedicata a Robert Altman, un altro immenso maestro del cinema.
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darjus
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mercoledì 20 febbraio 2008
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il brusco risveglio dell'america dal sangue nero
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Dopo un lungo sonno anche l’America ha il suo brusco risveglio (come capita nel corso del film sia a Daniel Plainview sia ad Eli Sunday, in più occasioni destati di soprassalto da brutte notizie inaspettate). È un risveglio amaro e violento che ha la forza della luce solare che colpisce il viso fuori di una miniera e scoperchia un cuore nero e pulsante, incapace di arrestarsi di fronte a nulla, perché accecato dall’ambizione, dall’avidità e dalla sete di potere. Il cuore nero dell’America pulsa tanto nel mellifluo e saprofita Sunday, predicatore impostore che tenta di unire gli uomini dietro un credo di urla e illusioni, quanto nell’arido e individualista Plainview, cacciatore di petrolio disposto a tutto pur di arricchirsi, ma privato del senso di vivere.
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Dopo un lungo sonno anche l’America ha il suo brusco risveglio (come capita nel corso del film sia a Daniel Plainview sia ad Eli Sunday, in più occasioni destati di soprassalto da brutte notizie inaspettate). È un risveglio amaro e violento che ha la forza della luce solare che colpisce il viso fuori di una miniera e scoperchia un cuore nero e pulsante, incapace di arrestarsi di fronte a nulla, perché accecato dall’ambizione, dall’avidità e dalla sete di potere. Il cuore nero dell’America pulsa tanto nel mellifluo e saprofita Sunday, predicatore impostore che tenta di unire gli uomini dietro un credo di urla e illusioni, quanto nell’arido e individualista Plainview, cacciatore di petrolio disposto a tutto pur di arricchirsi, ma privato del senso di vivere. Andersson scava nel cuore dei suoi modelli simbolo e vi trova il sangue nero (il titolo originale è “There will be blood”) di una terra arida e fredda, nonché tutta la barbara insulsaggine della conquista per la conquista, del possesso per il possesso, dell’ambizione per l’ambizione. A dispetto del dualismo che rappresenta da un lato il capitalismo selvaggio, dall’altra il conservatorismo bieco e bigotto sostenuto dalla chiesa, il regista californiano si concentra essenzialmente sul personaggio interpretato, in modo magnifico, da Daniel Day-Lewis. Già dal nome (Plainview: vista chiara) si comprende che sarà attraverso la sua persona che scorgeremo più chiaramente i segreti e i misfatti della “terra di frontiera”: è il carattere ruvido e gretto di Plainview, incapace di guardarsi dentro e di accettare emozioni, fallimenti e compassione, che rispecchia una storia americana fatta di conquiste, inganni e sangue. È il sangue che giace nel sottosuolo da cui ha origine l’America della modernità ed è il sangue che ci sarà in superficie quando questa farà i conti con i suoi mostri e nulla, tanto meno le bugie dei predicatori, sarà in grado di fermarlo. Andersson abbandona i toni apertamente moralisti (non piovono rane) e la coralità di Magnolia e, concentrandosi su una figura singola, per quanto invadente e ingombrante grazie all’eccellente e indimenticabile lavoro di Lewis, realizza un film straniante, privo di certezze o appigli concreti e che, pur ricordando “La morte corre sul fiume”, non assomiglia a niente di quello che si vede nel panorama cinematografico. Uno sguardo amaro, lucido e al tempo stesso selvaggiamente violento, che si giova di una tecnica registica raffinata e classicheggiante (come nelle riprese in campo lungo o nei primi piani ravvicinatissimi sulla faccia del protagonista). Ottimi costumi, scenografie, fotografia e le musiche di Jonny “Radiohead” Greenwood. All’altezza il cast, con un encomio per Dano che sa dare spessore al suo sordido personaggio. Ma dobbiamo ripeterci ancora: Daniel Day-Lewis, che recita con gli occhi, il corpo distorto e la voce possente e penetrante, è davvero mostruoso. ***½
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pisto
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martedì 4 marzo 2008
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grandioso
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Cosa c'è all'origine della moderna civiltà Americana? Paul Thomas Anderson riflette sul presente dell'America scavando a fondo nel suo passato, come Daniel Plainview scava a fondo nell'arido terreno dell'ovest in cerca di petrolio; e come il suo protagonista trova l'ambìto oro nero, il regista scopre e porta in superficie le radici di quel percorso di degrado morale, sociale e ideologico in cui gli Stati Uniti si sono da tempo inoltrati. Agli antichi e fondanti valori di lealtà, altruismo e amore puro la storia ha visto sostituirsi quelli di avidità, egoismo e odio profondo. All'insegna di questo nuovo impianto ideologico, generato dalla sempre più spietata competizione capitalistica, dal cieco fanatismo religioso e da un idividualismo portato all'eccesso, la società Americana stà sprofondando nel baratro della violenza e del rancore.
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Cosa c'è all'origine della moderna civiltà Americana? Paul Thomas Anderson riflette sul presente dell'America scavando a fondo nel suo passato, come Daniel Plainview scava a fondo nell'arido terreno dell'ovest in cerca di petrolio; e come il suo protagonista trova l'ambìto oro nero, il regista scopre e porta in superficie le radici di quel percorso di degrado morale, sociale e ideologico in cui gli Stati Uniti si sono da tempo inoltrati. Agli antichi e fondanti valori di lealtà, altruismo e amore puro la storia ha visto sostituirsi quelli di avidità, egoismo e odio profondo. All'insegna di questo nuovo impianto ideologico, generato dalla sempre più spietata competizione capitalistica, dal cieco fanatismo religioso e da un idividualismo portato all'eccesso, la società Americana stà sprofondando nel baratro della violenza e del rancore.
Dal punto di vista estetico-stilistico il film è estremamente moderno, in quanto volutamente sgradevole, spesso "brutto": i paesaggi sono desolati, il protagonista (il monumentale D.Day Lewis) è reso curvo, goffo e zoppicante, sempre ricoperto di polvere o lurido di petrolio, e persino la musica, caratterizzata da dissonanze e rumori improvvisi, è quasi un tormento per lo spettatore.
Finale sconvolgente.
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[+] mah..
(di anonimo374173)
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[+] bravo pisto
(di squirelee)
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