reiver
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lunedì 10 marzo 2008
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drammaticamente deludente
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A volte mi preparo alla visione di un film con delle pellicole "preparatorie" ( che potremmo definire "preliminari").Può servire in alcuni casi.Può "abituarti" lo stomaco se si tratta di un horror truculento.Oppure può servire ad aprirti gli occhi,ed evitare di compiere errori di valutazione:è stato per me il caso di "Quel treno per Yuma",un remake molto,troppo inferiore all'originale.L'attesa per questo "There will be blood" era molta,e il fatto che fosse stato paragonato a "Quarto potere" aveva stuzzicato la mia curiosità.Così sono andato a ripescare vecchi film come "La ballata di Cable Hogue" ,ho avuto la fortuna di incappare ne "I cancelli del cielo",ho rivisto persino un pò de "Il gigante".
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A volte mi preparo alla visione di un film con delle pellicole "preparatorie" ( che potremmo definire "preliminari").Può servire in alcuni casi.Può "abituarti" lo stomaco se si tratta di un horror truculento.Oppure può servire ad aprirti gli occhi,ed evitare di compiere errori di valutazione:è stato per me il caso di "Quel treno per Yuma",un remake molto,troppo inferiore all'originale.L'attesa per questo "There will be blood" era molta,e il fatto che fosse stato paragonato a "Quarto potere" aveva stuzzicato la mia curiosità.Così sono andato a ripescare vecchi film come "La ballata di Cable Hogue" ,ho avuto la fortuna di incappare ne "I cancelli del cielo",ho rivisto persino un pò de "Il gigante".Non ho scomodato Welles però,e ho fatto bene.Sarebbe stato come avere i "preliminari" con Eva Mendes e poi andare a letto con Platinette.Eh sì,perchè "Il petroliere" è un film molto sopravvalutato,persino più di quanto avessi preventivato all'inizio.Io sono disposto a vedere di tutto,anche una sola inquadratura con due lucertole che si accoppiano,a patto che non mi si dica che "quella sequenza rappresenta lo svilimento dell'amore,bla,bla e ancora bla".Non dubito che le intenzioni del regista-sceneggiatore fossero le migliori,però cosa ne è uscito alla fine?Una pellicola dai toni lugubri,moraleggianti e predicatori.Pesante,piena di sequenze inutili e noiose,sempre alla ricerca del "colpo ad effetto",di simbolismi che lasciano il tempo che trovano.I personaggi non hanno affatto lo spessore necessario alla bisogna:Plainview ed Eli,gli unici posti in rilievo,sono troppo esasperatamente negativi per essere credibili,gli altri sono invece figure a due dimensioni,che fanno solo da sfondo.In questo caso la straordinaria bravura di un attore come Daniel Day-Lewis serve a poco.Che sia un interprete eccezionale è fuori di dubbio,ma in certi momenti la sua espressione baffuta mi ha ricordato quella di James Finlayson (inglese come lui),e in un film drammatico non dovrebbe accadere.
Torniamo al punto di partenza:l'obiettivo di Anderson.Qual'era,denunciare l'avidità,il lato oscuro del sogno americano,il male rappresentato dal petrolio?Sì,fin qui ci siamo.Ma questo intento (nobile,almeno sulla carta) doveva essere perseguito in maniera diversa, magari creando un personaggio magnetico e irresistibile come l'Orson Welles di "Quarto potere" o il James Dean de "Il gigante",non plasmando un carattere che è troppo smaccatamente "nero" come il petrolio che cerca,che personifica l'avidità in maniera così monocorde da risultare poco credibile.Il limite del film è proprio lì,nella sceneggiatura,che invece di rielaborare in maniera critica un periodo storico della civiltà occidentale in generale e statunitense in particolare si riduce ad un pistolotto infinito,con conseguente dilatazione a tre ore di un sermoncino che sarebbe potuto durare una mezzoretta.E' così lugubre che pare scritta dal predicatore Eli Sunday e non dal regista Anderson.Più che "Quarto potere" mi è sembrato "Quando potere?" (uscire dalla sala)...
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mario scafidi
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domenica 17 febbraio 2008
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sopravvalutato su tre fronti.
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Dal romanzo di Upton Sinclair “Oil” (1927). Daniel Palinview (Daniel Day-Lewis) è un uomo con le idee molto chiare e determinato a far soldi attraverso il petrolio. Inizia la sua attività di trivellatore dissennato completamente da solo, si cala nei buchi del sottosuolo e con le mine crea le vie d’uscita del petrolio. Inseguirà l’oro nero a costo di tutto, accettando il sacrificio della salute del proprio bambino, e sporcandosi le mani col sangue di più di un uomo. La parabola di un self made man raccontata con stile e tanto, tanto accademismo. La propaganda che ha accompagnato la pellicola l’ha definita il nuovo “Quarto Potere” (vizietto dei pubblicitari, che già sei anni fa, in occasione dell’uscita del polpettone “Gangs of New York”, avevano azzardato un accostamento con “Nascita di una Nazione”).
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Dal romanzo di Upton Sinclair “Oil” (1927). Daniel Palinview (Daniel Day-Lewis) è un uomo con le idee molto chiare e determinato a far soldi attraverso il petrolio. Inizia la sua attività di trivellatore dissennato completamente da solo, si cala nei buchi del sottosuolo e con le mine crea le vie d’uscita del petrolio. Inseguirà l’oro nero a costo di tutto, accettando il sacrificio della salute del proprio bambino, e sporcandosi le mani col sangue di più di un uomo. La parabola di un self made man raccontata con stile e tanto, tanto accademismo. La propaganda che ha accompagnato la pellicola l’ha definita il nuovo “Quarto Potere” (vizietto dei pubblicitari, che già sei anni fa, in occasione dell’uscita del polpettone “Gangs of New York”, avevano azzardato un accostamento con “Nascita di una Nazione”). Parliamo chiaramente: siamo lontani anni luce dalla magnificenza della pellicola di Orson Welles. Pur non essendo affatto un fallimento, “Il Petroliere” sembra aver poco da dire; a voler essere scrupolosi in effetti un significato di fondo c’è, e risiede nella risposta ad un interrogativo, che allo scoccare dei 135 minuti - su 160 - viene automatico porsi: ha un senso oggi, raccontare al grande pubblico questa storia? La risposta è sì, e mi sembra l’unica possibile. Il fine del film è quello di riportare (partendo dalle origini) immagine e significato al termine “petrolio”, una parola abusata dalla stampa e ben chiara nel suo valore (in senso strettamente economico) nelle menti degli uomini dei palazzi del potere: l’oro nero è la causa dominante (potremmo dire l’unica?) dei conflitti bellici in Medio Oriente, nei quali gli Stati Uniti investono imponenti quantitativi di energie, uomini, ed il sangue di questi ultimi. Candidato ad otto premi Oscar (tra cui Miglior film, miglior attore protagonista e miglior regia), “Il Petroliere” ha ricevuto i maggiori elogi sul fronte del lavoro fatto da Paul Thomas Anderson (ultimamente premiato a Berlino) e della prova di Daniel Day-Lewis (scontata appare la sua vittoria alla prossima cerimonia dell’Academy). Né l’uno, né l’altro mi sembrano particolarmente di spicco. Per quanto attiene, in particolare, alla regia, appare chiara l’ispirazione di Anderson allo stile di John Ford e Gorge Stevens, e non si tratta di uno scimmiottamento mal riuscito; frequente è l’uso della macchina dolly, delle carrellate e del piano sequenza. Daniel Day-Lewis ha, certamente, dato anima e corpo al personaggio, ma non ha apportato alcun contributo personale capace di sganciare il suo Daniel dallo stereotipo. Film soddisfacente, ma sopravvalutato.
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