Quella sporca dozzina

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Un film di Robert Aldrich. Con Lee Marvin, Ernest Borgnine, Charles Bronson, Jim Brown.
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Titolo originale The Dirty Dozen. Drammatico, durata 150 min. - USA 1967. MYMONETRO Quella sporca dozzina * * * 1/2 - valutazione media: 3,79 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La riscossa di dodici galeotti in cerca di libertà Valutazione 3 stelle su cinque

di GreatSteven


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lunedì 8 maggio 2017

 

QUELLA SPORCA DOZZINA (USA, 1967) diretto da ROBERT ALDRICH. Interpretato da LEE MARVIN, ERNEST BORGNINE, ROBERT RYAN, CHARLES BRONSON, JOHN CASSAVETES, TELLY SAVALAS, DONALD SUTHERLAND, JIM BROWN, GEORGE KENNNEDY

Londra, 1944. Un maggiore sovversivo, più volte richiamato all’ordine, dell’Esercito britannico viene incaricato di addestrare dodici prigionieri, tutti condannati a morte o a lunghe pene detentive, per una missione suicida che si propone di assaltare una roccaforte nazista in cui operano numerosi gerarchi da eliminare. Il maggiore accetta il compito controvoglia e riunisce la "sporca dozzina" in un campo in aperta campagna, imponendo loro di non rivelare la propria identità e il proprio grado a chicchessia. L’addestramento è impegnativo e severo e proprio perché l’ufficiale si fa intendere, i risultati dopo un po’ arrivano, finché, dopo una battaglia simulata, lo scalcinato gruppo di galeotti è pronto per l’azione. Su dodici ci rimetteranno la pelle in dieci, ma il maggiore, un sottufficiale polacco e un soldato riceveranno gli elogi dal colonnello e dal generale che avevano lungamente diffidato del maggiore, dei suoi metodi poco ortodossi e dell’improbabile successo dell’attacco. È, tutto sommato, un film figlio della propria epoca, sebbene ambientato ventitré anni prima: il 1967 preparò il terreno per la protesta studentesca esplosa di lì a poco, iniettò endorfina negli animi di coloro che contestavano la guerra in Vietnam e, più in generale, dimostrò l’inadeguatezza politica e culturale di una società ormai strozzata da convenzioni antiquate e desiderosa di un cambiamento. Il film di Aldrich mette soprattutto in scena uomini fin troppo comuni, soldatacci di scarsa cultura, psicopatici con megalomanie, perdenti di tutti i giorni, imbecilli di professione, che trovano una ragione di riscatto quando viene loro prospettata la possibilità della libertà definitiva. Ma appare chiaro fin da subito che questa lotta non è animata da nobili ideali, bensì dall’istintivo, quasi animalesco, bisogno di tornare a vivere liberi come l’aria. Ed è proprio questo il motivo che rende simpatici i personaggi al pubblico, prevalentemente maschile: le interpretazioni sono il piatto forte di questo blockbuster avanti lettera che fonde l’azione all’avventura, senza mai rendere le due cose fini a sé stesse e adottando un linguaggio espressivo diretto che, esclusi alcuni indugi e forzature, convince grandemente per il suo umorismo caustico, la sua denuncia dell’umana ignoranza e la sua ricerca, felicemente coronata, di una riabilitazione, intesa in ampio senso trasversale. Indimenticabili i caratteri che un cast foltissimo, con attori all’epoca tutti in auge, traccia con bravura straordinaria: dal ribelle ai limiti della schizofrenia di Cassavetes (candidato all’Oscar per l’attore non protagonista) al sottufficiale duro, laconico e imperscrutabile di un Bronson sotto le righe, dal maniaco religioso misogino e aggressivo di Savalas al ritardato mentale tenero e pacioso di Sutherland, dal rigido generale di Borgnine al superbo e indisponente colonnello di Ryan, senza ovviamente dimenticare il protagonista, un Marvin in formissima che, con la consueta espressione marmorea e il piglio autoritario, delinea un efficace uomo d’armi che rivede una parte di sé stesso negli uomini che addestra, non mente mai loro sulla sorte della missione che si apprestano a compiere e sa scoprire, pur mediante il rigore e il vigore, doti inaspettate in un’armata Brancaleone made in UK composta di beceri individui che sono al tempo stesso avanzi di galera e volontari della morte che le vanno incontro con coraggio, abnegazione e un sorprendente spirito di sacrificio. Permeato di un umorismo caustico, divertente in molteplici occasioni, mai volgare e perfino critico nei confronti dell’esercito inglese più che della guerra, appartiene al suo autore, un R. Aldrich che dirige con mano attenta il materiale narrativo, dosando con saggezza le pause, i colpi di scena, i momenti spassosi, le polemiche sociali e perfino gli istanti distensivi (esemplificativa, in tal senso, è la comparsa delle prostitute al campo per risollevare l’umore dei soldati stanchi e affaticati). L’esito è molto più che dignitoso: un film d’azione e d’ambiente bellico che non risparmia gli ordini perentori, ma anche disonesti e fallimentari, dei comandanti, per ripristinare lo spirito di corpo di chi questi ordini li deve eseguire anche contro la propria volontà, dimostrando che, seppure in mancanza di un background di lealtà e fedeltà all’esercito che si serve, si può trasformare anche un branco di idioti lavativi in un piccolo plotone in grado di prendere un intero castello e far strage del nemico. A tal proposito, i nazisti, presenti fisicamente solo per pochi minuti, non vengono demonizzati come è accaduto spesso in altri film di quel periodo, ma solo trattati come un qualunque, gigantesco avversario da abbattere al più presto. Anche al prezzo di rimetterci il collo, per usare un’espressione del maggiore (Marvin). La guerra simulata è una delle sequenze più azzeccate: gli stratagemmi del cambio delle fasce e dei missili sparati dalle mitragliatrici in campagna sono formidabili. Successo al botteghino pienamente meritato. Una statuetta andò agli effetti sonori.

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