stefanocapasso
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domenica 23 settembre 2018
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quando l'umanita perde se stessa
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Marcello è un aspirante scrittore che passa le giornate ciondolando per le strade di Roma, trovando il punto centrale di raccolta in Via Veneto dove incontra paparazzi e personaggi più o meno importanti. Consuma una quantità di flirt senza che lascino alcun segno nella sua vita, mentre porta avanti un rapporto burrascoso con una fidanzata gelosa che poco condivide il suo stile di vita.
Fellini entra appieno nella modernità costruendo il carrozzone di personaggi variopinti che di lì in poi lo accompagneranno nei suoi lavori. Dipinge un’umanità, borghese che è alle prese con problemi nuovi, non più quelli della ricostruzione di uno stato, ma della costruzione di individui.
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Marcello è un aspirante scrittore che passa le giornate ciondolando per le strade di Roma, trovando il punto centrale di raccolta in Via Veneto dove incontra paparazzi e personaggi più o meno importanti. Consuma una quantità di flirt senza che lascino alcun segno nella sua vita, mentre porta avanti un rapporto burrascoso con una fidanzata gelosa che poco condivide il suo stile di vita.
Fellini entra appieno nella modernità costruendo il carrozzone di personaggi variopinti che di lì in poi lo accompagneranno nei suoi lavori. Dipinge un’umanità, borghese che è alle prese con problemi nuovi, non più quelli della ricostruzione di uno stato, ma della costruzione di individui. E lo fa senza esserne pienamente consapevole, oscillando tra momenti di inquietudine e depressione ad altri ricorrenti di fuga dalla realtà. Il risultato è che gli individui finiscono via via per allontanarsi sempre più dalle proprie emozione, dal contatto con l’umanità interiore, e Marcello nel finire del film, non riesce più a comunicare con la giovane Paola conosciuta tempo prima, esempio invece di semplicità e purezza
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angelo umana
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mercoledì 22 gennaio 2020
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fellini precursore a 100 anni dalla nascita
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Martin Scorsese disse che La Dolce Vita è un film che ha cambiato tutte le regole. I film si dividono in quelli che vengono prima e quelli che vengono dopo. Ha portato un cambiamento nella società e nel cinema. Chissà se nella società almeno italiana davvero abbia portato un cambiamento, può essere, ma solo in parte. Fellini fu un rivoluzionario, dissacrante e controcorrente, fantasioso nel cinema e nella società suggeritore del "sovvertimento dell'ordine costituito", delle credenze comuni, su come ad esempio vivessero "bene" i partecipanti al bel mondo, o alla vita dolce, con tutte le star, divi dive e primattori, ma anche rincalzi e poveretti che a quei personaggi si avvicinavano per guadagnarne o goderne, e i "paparazzi" consacrati in quel film (l'attore Enzo Cerusico interpreta uno di questi).
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Martin Scorsese disse che La Dolce Vita è un film che ha cambiato tutte le regole. I film si dividono in quelli che vengono prima e quelli che vengono dopo. Ha portato un cambiamento nella società e nel cinema. Chissà se nella società almeno italiana davvero abbia portato un cambiamento, può essere, ma solo in parte. Fellini fu un rivoluzionario, dissacrante e controcorrente, fantasioso nel cinema e nella società suggeritore del "sovvertimento dell'ordine costituito", delle credenze comuni, su come ad esempio vivessero "bene" i partecipanti al bel mondo, o alla vita dolce, con tutte le star, divi dive e primattori, ma anche rincalzi e poveretti che a quei personaggi si avvicinavano per guadagnarne o goderne, e i "paparazzi" consacrati in quel film (l'attore Enzo Cerusico interpreta uno di questi). Gli occhiali scuri in ogni dove s'era scoperto che rendono più “in”. C'è pure il giovane Celentano col suo rock degli albori.
Già con la prima scena dovette subire le reprimende delle autorità cattoliche: un Cristo dorato e dall'aria gaudente che viene portato in elicottero "al Papa", dice il Marcello protagonista che lo segue su altro elicottero e coi suoi amici fotografi, presunto giornalista che si cibava di quel mondo, un Gambardella più sommesso e meno sputasentenze dello Jepp della Grande Bellezza: è inevitabile, rivedendo questo film, pensare continuamente a quanto Sorrentino abbia preso da Fellini e la sua Roma. Per colmo della riprovevolezza l'elicottero vira e fà un giro panoramico sulle bellezze in bikini che prendono il sole sul terrazzo di un quartiere-bene, l'accostamento è da scomunica...! E non basta: Fellini "veste" con abito e cappello da prete la diva americana Silvia mentre sale i gradini della sacra cupola - la splendida maggiorata svedese Anita Ekberg appena sbarcata nella città, conquistata dalla pazza Roma che "never sleeps". Marcello ne resta ammaliato - ma non poi così tanto, gode di quel mondo luccicante in modo accorto - dice alla magnifica possibile preda sei tutto,sei la prima donna del primo giorno della creazione, addirittura. Eppure Roma, fuori dal centro e dalla sue macchinone, è ancora la città del neorealismo con le macerie, le strade sterrate le campagne e i palazzoni, è il 1960, da solo 15 anni finita la guerra. Non manca poi la creduloneria dei semplici, con un'apparizione celeste che "deve" essere avvenuta, i fedeli ancora vogliono che le cose siano avvenute, per aggrapparsi a cose in cui credere, per staccarsi dalla realtà di una vita grama, e i mezzi di informazione e le telecamere di allora che devono riprendere tutto, come oggi riprendiamo tutto coi nostri telefonini, un miracolo o qualcosa che s'è vissuto esistono davvero solo se fotografati.
E' un'enclopedia di costume questa pellicola, 180' che passano in rassegna l'intera società e Roma, coi suoi anfratti e palazzi antichi dove i ricchi celebrano le loro feste grottesche o i ritrovi finto-intellettuali per passare il tempo, ricordano i ricchi veneziani nella decadenza della Serenissima repubblica. Marcello dice all'amica del cuore e di letto Maddalena (Anouk Aimée), una ricca che si dice stufa di quell'ambiente ma che su un'isola deserta non andrà, che Roma è una giungla tiepida e tranquilla dove nascondersi. Loro due lo fecero nel basso di una prostituta trovata per strada, bevvero il caffè da lei così, per provare nuove esperienze.
La scena più bella e più vera è in chiusura: all'alba i ricchi e i loro seguitori vengono via dalla spiaggia dove hanno visto un cetaceo grottesco e mostruoso, come certe loro vite. La ragazzina umbra acqua e sapone – una purissima Valeria Ciangottini, allora 15enne - che fa da cameriera in un locale sulla spiaggia chiama da lontano Marcello, conosciuto giorni prima, coi segni lo invita ad una passeggiata o a ballare, ma lui non capisce o preferisce seguire il suo gregge. Il viso di lei è appena dispiaciuto, con un sorriso pensoso sembra consolarsi di non far parte di quel mondo, abbastanza misero e vacuo. Sorrentino in La Grande Bellezza ripetè tutto e fu Oscar, per La Dolce Vita solo una Palma, d'oro.
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joker 91
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domenica 23 gennaio 2011
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la genialità di fellini
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con questo film nasce il cinema ed il paparazzo ed tutto lo star sistem che oggi conosciamo. Fellini regala un qualcosa di stupendo che è entrato a fare parte della storia del cinema mondiale,la vita dolce viene rappresentata in modo fantastico ed sotto tutti gli aspetti attraverso il personaggio di un certo MARCELLO MASTROIANNI che da qui diventerà il miglior attore italiano della storia del nostro cinema ed a oggi il più amato all' estero. DA VEDERE, gli americani hanno imparato tutto dal nostro fellini nel fare cinema ed il nostro cinema era davvero in quel periodo il più grande ed difficilmente tornerà. Grazie maestro
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urbano78
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martedì 12 luglio 2016
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le velleità di una società in trasformazione
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Quello che colpisce, in questo film, è l'amore e il rispetto di Fellini per i personaggi e la loro vitalità, seppure in modi diversi (confrontiamo la festa dei nobili con quella dell'ambiente misto verso la fine del film). Certo, il tono è sovente spettrale e funereo, ma queste sono caratteristiche di tutta l'opera del regista riminese, della sua visione del mondo e della civiltà. Apparentemente superficiale come la vita che ritrae, "La dolce vita" rappresenta una visione per alcuni aspetti profetica, oltre che un'avviso in anticipo, colto con la sensibilità dell'artista, del genio, degli sviluppi di ciò che era appena sul nascere nella Italia di quegli anni e più in generale nella civiltà contemporanea.
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Quello che colpisce, in questo film, è l'amore e il rispetto di Fellini per i personaggi e la loro vitalità, seppure in modi diversi (confrontiamo la festa dei nobili con quella dell'ambiente misto verso la fine del film). Certo, il tono è sovente spettrale e funereo, ma queste sono caratteristiche di tutta l'opera del regista riminese, della sua visione del mondo e della civiltà. Apparentemente superficiale come la vita che ritrae, "La dolce vita" rappresenta una visione per alcuni aspetti profetica, oltre che un'avviso in anticipo, colto con la sensibilità dell'artista, del genio, degli sviluppi di ciò che era appena sul nascere nella Italia di quegli anni e più in generale nella civiltà contemporanea. Si tratta di una civiltà in decadenza, proprio mentre sembrava in fiore, ma in Fellini, anche negli ultimi e più sconfortati film, l'apocalisse non è mai totale; c'è sempre la possibilità di ricominciare. La angelica adolescente, di cui Marcello rifiuta il richiamo non per superbia, ma perché non se ne sente degno, rappresenta la Grazia (in un suo risvolto piacevole e terrestre) dell'amore benevolo (quello che nella società della "dolce vita" sembra scomparso, a parte quello possessivo e castrante dell'amante di Marcello) che tutto crede, tutto sopporta, tutto spera, tutto tollera, che non ha fine e senza la quale tutto il resto non è niente. Fellini credeva di aver fatto un'opera cattolica, come capirono i gesuiti del Centro San Fedele che difesero strenuamente, finendo per subire punizioni, il film dagli attacchi dei bigotti, e fu sorpreso - oltre che dall'enorme successo che ebbe che e di cui il produttore Rizzoli non seppe darsi una spiegazione razionale - dalle polemiche che suscitò (interrogazioni parlamentari, preghiere per Fellini "pubblico peccatore" ecc.). Una signora affrontò Fellini dicendo che era meglio mettersi una pietra al collo e buttarsi a mare piuttosto che dare scandalo alle genti come egli aveva fatto. Il film rende perfettamente l'atmosfera dell'epoca modellandosi anche figurativamente ai rotocalchi di allora come "Lo specchio"; "Oggi"; "L'Europeo" dove la vecchia Italia si incontrava con quella nuova dei "Nastri d'Argento" in passerelle, feste, autocelebrazioni, premi. Una Italia che a Fellini volle ritrarre per il piacere di raccontare e per prenderla per il bavero, ma che a lui inquietava e questo si sente nel film, perché anche senza dare un giudizio, una condanna - fu questo sia il motivo del successo che delle polemiche -, in più di un momento (nell'orgia nella villa del nuovo ricco per l'intero episodio) c'è autentico orrore. I personaggi de "La dolce vita", come avveniva nel tardo Impero Romano, giocano con la morte per esorcizzare le paure, le angosce, che il film trasmette assieme alle speranze e alle illusioni; Fellini si è rivelato, pur con il suo sentimentalismo - qua tenuto a bada dall'ironia tagliente di Flaiano - "un cinico che crede in quello che fa" (Kezich). Pasolini, collaboratore non accreditato al film, diede suggerimenti importanti e il suo amore per Fellini fa giustizia rispetto a coloro che hanno liquidato l'opera di questo smisurato genio come senza idee, addirittura indegna di essere chiamata cinema, o incapace di una visione coerente della realtà sociale. Ma erano i politici di allora a essere indietro, impegnati a rinfacciarsi reciprocamente tra destra e a sinistra anche all'interno del mondo cattolico la responsabilità dello sfascio che si vede nel film.
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paolino77
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mercoledì 17 agosto 2016
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il padrone della realtà e l'immacolata
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Fellini satirico rappresenta i vizi con l’esagerazione e la caricatura, ma più desideroso di mostrare che di dimostrare. Girando in epoca di esistenzialismo egli era convinto dell’esistenza di Dio e della necessità dell’amore ma anche che per poter capire la bontà, i veri valori della vita, bisogna confrontarsi con la realtà del peccato, entrarci dentro, conoscere la vera disperazione, scendere nel proprio inferno, intraprendere un cammino dantesco (come aveva capito il cardinale Siri, che a differenza di Montini, che deluse Fellini, e che fu eletto papa al posto suo - cosa che accadrà più volte al cardinale ligure - non aveva condannato il film).
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Fellini satirico rappresenta i vizi con l’esagerazione e la caricatura, ma più desideroso di mostrare che di dimostrare. Girando in epoca di esistenzialismo egli era convinto dell’esistenza di Dio e della necessità dell’amore ma anche che per poter capire la bontà, i veri valori della vita, bisogna confrontarsi con la realtà del peccato, entrarci dentro, conoscere la vera disperazione, scendere nel proprio inferno, intraprendere un cammino dantesco (come aveva capito il cardinale Siri, che a differenza di Montini, che deluse Fellini, e che fu eletto papa al posto suo - cosa che accadrà più volte al cardinale ligure - non aveva condannato il film). Un viaggio attraverso un mondo spesso alla rovescia: celebrità idolatrate come divinità e donne come bestie: Silvia ulula come un cane mentre una ragazza che partecipa una festa viene ricoperta di piume e trasformata in una gallina. Il film è il sonno della ragione. Steiner, l'intellettuale, è un paranoico ossessionato dalla “natura”. Marcello sa che l'innocenza, l'amore, la spiritualità sono la vera essenza della vita ma è ancora troppo affascinato dal diavolo per abbandonare la “dolce vita”. Il mostro marino nella luce livida dell’alba è simbolo del male; con il suo occhio senza anima evoca Lucifero. La dolce vita è il mondo dell’illusione. Ricchi, oziosi, illusi; una vita senza responsabilità morale, ma Fellini non spinge troppo sul pedale del moralismo, anzi, poco e appena avvertibile in alcuni momenti del film. Paola, la ragazza che incontra al bar sulla spiaggia, è l'innocenza, l'onestà, la semplicità. Il tentativo fallito di riuscire a comunicare con lei alla fine non dipende, come all'inizio del film con le ragazze sulla terrazza, dalla tecnologia, ma dal rumore del mare, la “natura” materiale che atterriva Steiner. Ma è probabile che prima o poi Marcello, vale a dire l'uomo moderno, intellettuale o meno, si ravveda: si avverte in ogni episodio del film come più o meno vagamente egli sia alla ricerca di una redenzione, consapevole dei suoi limiti come scrittore e come uomo; è gentile e generoso, aperto, forse inconsapevolmente, alla grazia.
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francesco2
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mercoledì 16 marzo 2011
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otto e mezzo? no. e neanche sette
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Premetto una cosa: in un'intervista a una rivista di cinema, un signore che non ricordo chi fosse, ma credo abbastanza attendibile, sosteneva di apprezzare sicuramente più questo Fellini che non quello di "Otto e mezzo", perché testimonianza -Sintetizzo- di un Fellini meno narcisista e più attento alla società. Mi spiace, ma io mi trovo doppiamente in disaccordo. Il regista riminese non dà il meglio di sé quando debba o voglia cimentarsi nella critica sociale. Del resto, quando nell'86 realizzò "Ginger e Fred", venne accusato a torto o a ragione di essere caduto nel moralismo antimediatico, e nel '90, quando io giovanissimo vidi "La voce della luna", anche a me parve un'opera ingombrata ed ingombrante di didascalie sulla società di quel tempo.
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Premetto una cosa: in un'intervista a una rivista di cinema, un signore che non ricordo chi fosse, ma credo abbastanza attendibile, sosteneva di apprezzare sicuramente più questo Fellini che non quello di "Otto e mezzo", perché testimonianza -Sintetizzo- di un Fellini meno narcisista e più attento alla società. Mi spiace, ma io mi trovo doppiamente in disaccordo. Il regista riminese non dà il meglio di sé quando debba o voglia cimentarsi nella critica sociale. Del resto, quando nell'86 realizzò "Ginger e Fred", venne accusato a torto o a ragione di essere caduto nel moralismo antimediatico, e nel '90, quando io giovanissimo vidi "La voce della luna", anche a me parve un'opera ingombrata ed ingombrante di didascalie sulla società di quel tempo.
Del resto, al di là di trovate discutibili come il suicidio finale (Sinceramente: non si trattasse di un'opera sua, una trovata simile non avrebbe ricevuto maggiori critiche?)anche in questo film il regista secondo chi scrive, dà il meglio di sé quando il SOGNO si sostituisce alla panoramica sulla società. Tra l’altro una tematica simile, credo, sarà presente anche nel discusso "Giulietta degli spiriti", e del resto un film dedicato a spettacolo e paparazzi (Espressione che nacque allora) intreccia già in partenza realtà ed onirismo, fermo restando che lo "Spettacolo" in questione è quello di fine anni '5o. Quando la Ekberg chiama Mastroianni dalla famosa fontana, lo spettatore(Non nel senso cinematografico, ma in quello di CHI VEDE), per un attimo entra in contatto diretto col feticcio: Il "Sogno" è lì, ti sta chiamando, e tu incauto fotografo rischi di abboccare all'amo per sfuggire alla noia del quotidiano. Da un certo punto di vista, anche alle scene sula Madonna si potrebbe attribuire questa valenza: l’illusione di entrare in contatto con la trascendenza, per gente-credo- di bassa estrazione sociale. Però qualcuno muore, ed il sogno assume i contorni dell'incubo. Dunque, la fascinazione per l'"Altro" può riservare pericoli piccoli e grandi , come anticipava Pirandello nei suoi "Quaderni di Serafino Gubbio operatore", anticipando forse la fascinazione ma anche i rischi insiti in una nuova creazione.
Ma il nucleo della mia tesi è un altro. Si pensi alle scene della festa, quando Mastroianni è solo con la donna, ma contemporaneamente in un altro lato della stanza. Nessuna critica sociale –Ad avercene,, per carità- ma un (mancato) contatto con una figura femminile, che solo Fellini poteva rendere, in quel momento, così vicina e lontana dal protagonista. Ma "La dolce vita" è grande anche quando in questa festa il protagonista sembra sedotto da una dimensione femminile misteriosa, raffigurata tramite primi piani che rimandano, per certi versi, a determinate pagine pirandelliane quando ironizzava sule sedute spiritiche di fine'800, lui che era antiilluminista ma anche laico.
Il resto però si esaurisce in figure prevedibili come il i vari paparazzi, il padre, il già citato futuro suicida, ed a trovate come l'attrazione per la presunta apparizione della Madonna. Come ben testimonia la bella, forse molto bella, scena finale, Marcello deve andarsene perché un'epoca è finita. Ma Fellini sarà più bravo a raccontarci quella successiva.
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ladyhepburn
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venerdì 23 ottobre 2009
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la dolce vita: nascita del "paparazzo"
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Roma 1960. Nel film La dolce vita di Federico Fellini, Marcello Mastroianni è Marcello, un giornalista che passa i suoi giorni (e le sue sere) cercando di cogliere le celebrità in atteggiamenti inaspettati.
Nella panoramica del cinema di quegli anni, la fotografia cambia forma e obiettivi: nasce il termine paparazzo.
Così Marcello Geppetti (1933-1998), che inizia la sua carriera di reporter fotografico nell’agenzia di fotogiornalismo Meldoni-Canestrelli-Bozer nel 1959, inizia a ritrarre in forma dinamica momenti della vita privata di personalità del mondo del cinema, spettacolo, cultura, sport, politica. Il suo è un linguaggio fotografico nuovo, realistico, precursore degli stili contemporanei.
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Roma 1960. Nel film La dolce vita di Federico Fellini, Marcello Mastroianni è Marcello, un giornalista che passa i suoi giorni (e le sue sere) cercando di cogliere le celebrità in atteggiamenti inaspettati.
Nella panoramica del cinema di quegli anni, la fotografia cambia forma e obiettivi: nasce il termine paparazzo.
Così Marcello Geppetti (1933-1998), che inizia la sua carriera di reporter fotografico nell’agenzia di fotogiornalismo Meldoni-Canestrelli-Bozer nel 1959, inizia a ritrarre in forma dinamica momenti della vita privata di personalità del mondo del cinema, spettacolo, cultura, sport, politica. Il suo è un linguaggio fotografico nuovo, realistico, precursore degli stili contemporanei. Roma si rivela un set a cielo aperto: per le sue strade circolano le stelle internazionali e Geppetti scatta foto che faranno epoca, come il primo nudo di Brigitte Bardot o il bacio che rivelò il tradimento di Liz Taylor a Eddie Fischer. Diventa ben presto uno dei precursori dei paparazzi e anche uno degli esponenti più importanti di quel movimento di fotografi di costume e, ad eccezione di Marylin Monroe ed Elvis Presley, che non hanno mai toccato nella loro carriera il suolo Italiano, ritrae tutte le più grandi star dell’epoca e rilegge la “Dolce Vita” con ironico distacco e perturbante senso del vero”.
A poco più di venti anni di età, insieme a un piccolo gruppo di giovani fotografi, Geppetti si trova a scrivere una nuova storia della fotografia, costellata di “stelle“, “dive” e di tutto il “glamour” che ha caratterizzato un’epoca, la fotografia d’azione.
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[+] la dolce vita
(di dessy)
[ - ] la dolce vita
[+] la dolce vita
(di ladyhepburn)
[ - ] la dolce vita
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flegiàs
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giovedì 27 marzo 2008
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così.........
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La dolce vita, film di ampie proporzioni, rappresenta il tentativo di mettere ordine nel caos di una autobiografia affidata a storie dall'apparenza oggettiva. Dopo aver fissato in personaggi estranei i fantasmi del proprio inconscio, il regista si proietta direttamente nelle immagini dilatate dello schermo (usa la dimensione “innaturale” del cinemascope), nel gioco dei frammenti organizzati in sequenze discontinue, nella “festa” di una tenera e compiaciuta gratificazione narcisistica. L'autore costruisce accuratamente un “periplo intorno a se stesso”, che produce due conseguenze nelle quali va cercata la ragione della novità di La dolce vita: una provocatoria esaltazione della soggettività e la spavalda invenzione di una realtà autosufficiente.
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La dolce vita, film di ampie proporzioni, rappresenta il tentativo di mettere ordine nel caos di una autobiografia affidata a storie dall'apparenza oggettiva. Dopo aver fissato in personaggi estranei i fantasmi del proprio inconscio, il regista si proietta direttamente nelle immagini dilatate dello schermo (usa la dimensione “innaturale” del cinemascope), nel gioco dei frammenti organizzati in sequenze discontinue, nella “festa” di una tenera e compiaciuta gratificazione narcisistica. L'autore costruisce accuratamente un “periplo intorno a se stesso”, che produce due conseguenze nelle quali va cercata la ragione della novità di La dolce vita: una provocatoria esaltazione della soggettività e la spavalda invenzione di una realtà autosufficiente. Questo avveniva alla soglia degli anni sessanta, in un cinema come quello italiano che al neorealismo e alla oggettività sociologica aveva immolato tutte le sue vittime sacrificali.
Le tappe del “periplo” sono le seguenti. Il giornalista Marcello, giovanotto intraprendente venuto dalla provincia, è al lavoro, a bordo di un elicottero che trasporta una grande statua di Cristo (sull'inconsueto trasporto dovrà scrivere, appunto, un servizio). La sera, in un night club, è a caccia di notizie per la cronaca mondana (questo giornalista, così poco “vero”, fa di tutto e pare sempre che non faccia nulla: è un fantasma di professionista, ossia una proiezione mascherata dall'autore). Incontra una donna inquieta e annoiata (la quintessenza della noia e della inquietudine: un altro fantasma, come tutti i successivi). Insieme a lei, imbarca sulla macchina una prostituta, che presta loro la sua casa (uno scantinato invaso dall'acqua: scenografia “fiabesca” che sottolinea la coerenza della fantasia) per una notte d'amore fuori del comune. Torna nell'appartamento dove abita (ci abita pochissimo, fedele alle regole di un inesistente giornalismo) e scopre che la donna con cui convive - la dolce, appiccicosa e gelosissima Emma - ha tentato il suicidio. La porta all'ospedale (ambiente stilizzato e “svedese”, altra dimora di fantasmi), la salva. Corre all'aeroporto di Ciampino per accogliere Sylvia, una celebre diva che deve interpretare un film a Roma. La segue alla conferenza stampa (dove, tra l'altro, si ironizza malignamente sul neorealismo), la accompagna in una visita alla cupola di San Pietro. Si ritrova con lei, la notte, in un ristorante alle Terme di Caracalla, e, più tardi, a zonzo per le vie del centro. Fa il bagno con lei - favolosamente pazza - nella fontana di Trevi. Davanti all'albergo in via Veneto è aggredito dall'amante di Sylvia.
Marcello vede un uomo entrare in una chiesa. Gli sembra di conoscerlo. L'uomo è Steiner, un intellettuale che gli concede un'affettuosa amicizia. Nuovo cambiamento di scena. Marcello si è rifugiato in una trattoria sulla riva del mare, per scrivere in pace. Telefona a Emma, la rassicura (lo ha già fatto altre volte, lo rifarà spesso), ed è colpito dalla fresca innocenza della cameriera ragazzina. Un nuovo cambiamento di scena, più “favoloso” (il “periplo” procede in crescendo, sul filo di una eccitazione sempre maggiore). In campagna arrivano Marcello, Paparazzo ed Emma per un servizio: dicono che alcuni bambini hanno “visto” la madonna, molta gente è accorsa a chiedere la Grazia. La notte scoppia un temporale, la folla dei malati si disperde in una confusione indescrivibile, sotto lo sguardo di una televisione straordinariamente efficiente. All'alba, uno dei malati è trovato morto. Rivediamo Marcello e la sua donna in casa di Steiner, a una riunione mondano-intellettuale. Marcello è colpito dalla serenità del suo ospite e dalla dolcezza dell'amore che porta alla moglie e ai due figlioletti. I cambiamenti incalzano. Una sera Marcello incontra in via Veneto il padre venuto dalla provincia a salutarlo. Lo conduce in un tabarin e lo accompagna a casa di una sgualdrinella (patetica, come si conviene a una fantasia autoconsolatoria). Il vecchio si sente male, si vergogna (è una pagina di giusta commozione, svolta nel grigiore di un anonimo interno e di una piazza di periferia), e vuol ripartire subito. Sale il ritmo, si moltiplicano e intensificano le sorprese. Marcello è prelevato da alcuni amici aristocratici e portato in una grande villa dove si celebra la stravaganza di una festa principesca. Si stordisce. Dopo aver furiosamente litigato (è l'ennesima volta) con Emma, si commuove e torna a casa con lei. Una telefonata lo fa accorrere (è la frenetica, infantile esasperazione della fantasia) a casa di Steiner, dove l'amico ha ucciso i bambini e si è suicidato. Assiste, impietrito, all'arrivo della moglie ignara, aggredita da uno stuolo di fotografi. Ultimo cambiamento di scena, il “periplo” sta per concludersi, dopo l'acme della dissipazione, nella (prevista) autocommiserazione. Marcello partecipa a un'orgia in una villa di Fregene, si incarognisce e si umilia. All'alba (un'altra alba, questa volta “purificatrice”) Marcello e i suoi amici scoprono sulla spiaggia un grande pesce mostruoso. Accanto alla riva di un fiumiciattolo la servetta della trattoria fa cenni a Marcello, che la riconosce ma non riesce a sentirla, per il rumore della risacca. Così com'è venuta - apparizione magica - la ragazzina scompare, correndo: inafferrabile, perché così esige la logica del sogno.
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dario
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domenica 22 agosto 2010
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narcisistico
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Un film torrenziale, compiaciuto, diretto con mano sicura e molta furbizia. Variamente graduato - toccante l'episodio che vede coinvolto il grande Alain Cuny - con chiara preferenza per il tocco bizzarro, per quasi un irridere alla vanità del tutto, al continuo carnevale umano sempre pronto a tramutarsi in dramma o tragedia, o addirittura commedia. Fellini guarda distaccato, con passione stranita, barocca, piena di fisicità e allo stesso tempo dispiega uno scetticismo malato, in realtà, di domande senza risposta. Un fluire onirico, sull'orlo dell'incredulità e sulla speranza di una presa e di un senso del vero, con annessa disperazione epidermica per una istintiva volontà di non approfondire.
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Un film torrenziale, compiaciuto, diretto con mano sicura e molta furbizia. Variamente graduato - toccante l'episodio che vede coinvolto il grande Alain Cuny - con chiara preferenza per il tocco bizzarro, per quasi un irridere alla vanità del tutto, al continuo carnevale umano sempre pronto a tramutarsi in dramma o tragedia, o addirittura commedia. Fellini guarda distaccato, con passione stranita, barocca, piena di fisicità e allo stesso tempo dispiega uno scetticismo malato, in realtà, di domande senza risposta. Un fluire onirico, sull'orlo dell'incredulità e sulla speranza di una presa e di un senso del vero, con annessa disperazione epidermica per una istintiva volontà di non approfondire. Materia magmatica, difficile da governare per la commistione di pensieri poco espressi e di pretese esplicative spettacolari: Fellini si rifugia automaticamente nello spettacolo, nell'esternazione superficiale, carnale dei suoi pensieri, arricchendoli materialmente di particolari, come un rifugio delle sue imprendibili ossessioni. Gli attori (anche troppi). Mastroianni non riesce ad uscire dal suo provincialismo (l'attore è valido in film meno complessi, qui resiste per il suo fisico) mentre la Ekberg appare una bambolona spersa in un universo più greande di lei. Gli altri sono marionette vere e proprie al servizio di un pigmalione capriccioso (Fellini, appunto), in questo senso molto funzionali.
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