La dolce vita |
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Un film di Federico Fellini.
Con Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aim?e, Yvonne Furneaux, Alain Cuny.
continua»
Commedia,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 173 min.
- Italia, Francia 1960.
- Cineteca di Bologna
MYMONETRO
La dolce vita
valutazione media:
4,64
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Così.........di FlegiàsFeedback: 0 |
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giovedì 27 marzo 2008 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La dolce vita, film di ampie proporzioni, rappresenta il tentativo di mettere ordine nel caos di una autobiografia affidata a storie dall'apparenza oggettiva. Dopo aver fissato in personaggi estranei i fantasmi del proprio inconscio, il regista si proietta direttamente nelle immagini dilatate dello schermo (usa la dimensione “innaturale” del cinemascope), nel gioco dei frammenti organizzati in sequenze discontinue, nella “festa” di una tenera e compiaciuta gratificazione narcisistica. L'autore costruisce accuratamente un “periplo intorno a se stesso”, che produce due conseguenze nelle quali va cercata la ragione della novità di La dolce vita: una provocatoria esaltazione della soggettività e la spavalda invenzione di una realtà autosufficiente. Questo avveniva alla soglia degli anni sessanta, in un cinema come quello italiano che al neorealismo e alla oggettività sociologica aveva immolato tutte le sue vittime sacrificali. Le tappe del “periplo” sono le seguenti. Il giornalista Marcello, giovanotto intraprendente venuto dalla provincia, è al lavoro, a bordo di un elicottero che trasporta una grande statua di Cristo (sull'inconsueto trasporto dovrà scrivere, appunto, un servizio). La sera, in un night club, è a caccia di notizie per la cronaca mondana (questo giornalista, così poco “vero”, fa di tutto e pare sempre che non faccia nulla: è un fantasma di professionista, ossia una proiezione mascherata dall'autore). Incontra una donna inquieta e annoiata (la quintessenza della noia e della inquietudine: un altro fantasma, come tutti i successivi). Insieme a lei, imbarca sulla macchina una prostituta, che presta loro la sua casa (uno scantinato invaso dall'acqua: scenografia “fiabesca” che sottolinea la coerenza della fantasia) per una notte d'amore fuori del comune. Torna nell'appartamento dove abita (ci abita pochissimo, fedele alle regole di un inesistente giornalismo) e scopre che la donna con cui convive - la dolce, appiccicosa e gelosissima Emma - ha tentato il suicidio. La porta all'ospedale (ambiente stilizzato e “svedese”, altra dimora di fantasmi), la salva. Corre all'aeroporto di Ciampino per accogliere Sylvia, una celebre diva che deve interpretare un film a Roma. La segue alla conferenza stampa (dove, tra l'altro, si ironizza malignamente sul neorealismo), la accompagna in una visita alla cupola di San Pietro. Si ritrova con lei, la notte, in un ristorante alle Terme di Caracalla, e, più tardi, a zonzo per le vie del centro. Fa il bagno con lei - favolosamente pazza - nella fontana di Trevi. Davanti all'albergo in via Veneto è aggredito dall'amante di Sylvia. Marcello vede un uomo entrare in una chiesa. Gli sembra di conoscerlo. L'uomo è Steiner, un intellettuale che gli concede un'affettuosa amicizia. Nuovo cambiamento di scena. Marcello si è rifugiato in una trattoria sulla riva del mare, per scrivere in pace. Telefona a Emma, la rassicura (lo ha già fatto altre volte, lo rifarà spesso), ed è colpito dalla fresca innocenza della cameriera ragazzina. Un nuovo cambiamento di scena, più “favoloso” (il “periplo” procede in crescendo, sul filo di una eccitazione sempre maggiore). In campagna arrivano Marcello, Paparazzo ed Emma per un servizio: dicono che alcuni bambini hanno “visto” la madonna, molta gente è accorsa a chiedere la Grazia. La notte scoppia un temporale, la folla dei malati si disperde in una confusione indescrivibile, sotto lo sguardo di una televisione straordinariamente efficiente. All'alba, uno dei malati è trovato morto. Rivediamo Marcello e la sua donna in casa di Steiner, a una riunione mondano-intellettuale. Marcello è colpito dalla serenità del suo ospite e dalla dolcezza dell'amore che porta alla moglie e ai due figlioletti. I cambiamenti incalzano. Una sera Marcello incontra in via Veneto il padre venuto dalla provincia a salutarlo. Lo conduce in un tabarin e lo accompagna a casa di una sgualdrinella (patetica, come si conviene a una fantasia autoconsolatoria). Il vecchio si sente male, si vergogna (è una pagina di giusta commozione, svolta nel grigiore di un anonimo interno e di una piazza di periferia), e vuol ripartire subito. Sale il ritmo, si moltiplicano e intensificano le sorprese. Marcello è prelevato da alcuni amici aristocratici e portato in una grande villa dove si celebra la stravaganza di una festa principesca. Si stordisce. Dopo aver furiosamente litigato (è l'ennesima volta) con Emma, si commuove e torna a casa con lei. Una telefonata lo fa accorrere (è la frenetica, infantile esasperazione della fantasia) a casa di Steiner, dove l'amico ha ucciso i bambini e si è suicidato. Assiste, impietrito, all'arrivo della moglie ignara, aggredita da uno stuolo di fotografi. Ultimo cambiamento di scena, il “periplo” sta per concludersi, dopo l'acme della dissipazione, nella (prevista) autocommiserazione. Marcello partecipa a un'orgia in una villa di Fregene, si incarognisce e si umilia. All'alba (un'altra alba, questa volta “purificatrice”) Marcello e i suoi amici scoprono sulla spiaggia un grande pesce mostruoso. Accanto alla riva di un fiumiciattolo la servetta della trattoria fa cenni a Marcello, che la riconosce ma non riesce a sentirla, per il rumore della risacca. Così com'è venuta - apparizione magica - la ragazzina scompare, correndo: inafferrabile, perché così esige la logica del sogno.
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