paolo 67
|
martedì 25 ottobre 2011
|
il tempo dantesco del cammino
|
|
|
|
Provinciale inurbato Fellini è affascinato e insieme disgustato da Roma, metropoli mondana e caotica, città tentacolare, sirena e prostituta, pantano in cui tutto e tutti possono sprofondare. Il protagonista, un uomo qualsiasi, viaggia attraverso la notte e scende agli inferi della civiltà, la Grande Madre Mediterranea di cui parlava lo psicanalista Jung, descritta con antico simbolismo lirico nelle immagini dilatate e barocche del film. Peculiarità dell'opera è la ricerca del linguaggio, che rinnega la drammaturgia tradizionale a favore di blocchi narrativi giustapposti, che bloccano gli eventi al loro culmine. Con l'intento di creare un giornale in pellicola, ispirato anche figurativamente ai rotocalchi del tempo, Fellini è arrivato a comporre un vasto affresco, per cui qualcuno parlerà del " Satyricon del XX° secolo".
[+]
Provinciale inurbato Fellini è affascinato e insieme disgustato da Roma, metropoli mondana e caotica, città tentacolare, sirena e prostituta, pantano in cui tutto e tutti possono sprofondare. Il protagonista, un uomo qualsiasi, viaggia attraverso la notte e scende agli inferi della civiltà, la Grande Madre Mediterranea di cui parlava lo psicanalista Jung, descritta con antico simbolismo lirico nelle immagini dilatate e barocche del film. Peculiarità dell'opera è la ricerca del linguaggio, che rinnega la drammaturgia tradizionale a favore di blocchi narrativi giustapposti, che bloccano gli eventi al loro culmine. Con l'intento di creare un giornale in pellicola, ispirato anche figurativamente ai rotocalchi del tempo, Fellini è arrivato a comporre un vasto affresco, per cui qualcuno parlerà del " Satyricon del XX° secolo". Interprete degli umori dell'Italia in un particolare momento storico e sociale, diario -come sempre in Fellini- insieme pubblico e intimo, il film trasfigura nella fiaba, e con un significato complessivo sereno nonostante i toni cupi e agghiaccianti di molti particolari, una realtà sulla quale il film decide di non esprimere giudizio alcuno. Girato negli anni della distensione, dell'ecumenismo e della Nuova Frontiera, il film rivela una carica liberatoria in cui lo spettatore può fare l'esperienza di una vacanza (con occhi e orecchie bene aperti) che è una specie di rivincita su quello che in psicoanalisi è definito l'Io sul Super-Io e i suoi condizionamenti che obbligano a misurare e a giudicare. Più che un film, un'esperienza esistenziale capace di modificare qualcosa in ciascuno di noi. Il produttore Rizzoli non si spiegò il successo straordinario che il film (rifiutato da ben 11 produttori) ebbe (probabilmente contribuì molto la furibonda campagna censoria e il caso politico che ne seguì, con scontro tra i cattolici anche parlamentari dello stesso partito). Una delle chiavi più centrali per la comprensione del film (e metafisicamente rappresentata dai vari ambienti della città) è il rapporto dell'uomo con la donna, che si rivela un caleidoscopio dalle tante facce, che appaiono come apparizioni fantasmatiche al protagonista, insoddisfatto del rapporto colla sua amante e alla ricerca, più o meno vaga, di qualcosa o qualcuno in cui trovare se stesso, una presa più forte con la realtà e la vita. Qualcuno ha scritto che la Roma di Fellini è insieme un girone dell'Inferno e un paese di cuccagna. Ma al cattolico (e cosa è se no uno che incornicia il film tra Gesù Cristo e l'apparizione Mariana?) Fellini il diavolo (come la "Saraghina" di "Otto e mezzo") non fa paura. Rispetta tutti, non odia nessuno. E la speranza non è solo il finale; c'è qualcosa di positivo in ognuno degli episodi in cui è coinvolto Marcello. Per Fellini la curiosità è sempre stata una salute morale: questo film ne rappresenta anche un risultato. Cult movie se mai ve ne furono, coniatore di neologismi, spartiacque del cinema non solo italiano, attuale e anche profetico, "La dolce vita" descrive una condizione umana nella sua atemporalità, in una prospettiva apocalittica che forse influenzerà il Kubrick di "2001" (entrambi i film finiscono, dopo una specie di discesa alle Madri, con quello che potrebbe essere un essere superiore che si volta a guardare lo spettatore), altro capolavoro, altra indagine sul senso della vita. L'invito di Fellini è quello di guardare le cose come sono, se necessario ridimensionando e ricostruendo. Anita Ekberg nella fontana di Trevi è emblematica dello stupore meravigliato di fronte al mistero dell'esistenza, che costituisce una delle vere radici poetiche di un autore che ha saputo eternare nel mito le paure, le speranze, i dubbi, le fiducie, gli orrori, le velleità della sua epoca ma anche esprimere la dolcezza "profonda e irrangiungibile", tutto sommato, della vita, che è il vero significato del titolo e dell'opera.
[-]
[+] copione
(di vice-gipinna)
[ - ] copione
|
|
[+] lascia un commento a paolo 67 »
[ - ] lascia un commento a paolo 67 »
|
|
d'accordo? |
|
dandy
|
domenica 27 novembre 2011
|
la vita solo apparentemente dolce.
|
|
|
|
Assieme ad "8 e mezzo" e "Amarcord",il film più bello di Fellini(anche sceneggiatore)e cult intramontabile del cinema italiano.Sfavillante e caotico affresco di una Roma sbalorditiva,dolente e a tratti quasi aliena(vedi la processione sotto la pioggia),specchio di umanità senza più punti di riferimento,remore o certezze.Un mondo dove tutto è destinato a crollare,dagli ideali ai valori(autentici o meno),dalle tradizioni secolari alle convinzioni appena sbocciate.Mondo in cui Marcello,giornalista "umano" se paragonato agli implacabili paparazzi(termine che si diffuse all'estero da qui)pronti a fiondarsi su qualsiasi persona o avvenimento che possa far notizia,si muove diviso tra superficialità e insoddisfazione.
[+]
Assieme ad "8 e mezzo" e "Amarcord",il film più bello di Fellini(anche sceneggiatore)e cult intramontabile del cinema italiano.Sfavillante e caotico affresco di una Roma sbalorditiva,dolente e a tratti quasi aliena(vedi la processione sotto la pioggia),specchio di umanità senza più punti di riferimento,remore o certezze.Un mondo dove tutto è destinato a crollare,dagli ideali ai valori(autentici o meno),dalle tradizioni secolari alle convinzioni appena sbocciate.Mondo in cui Marcello,giornalista "umano" se paragonato agli implacabili paparazzi(termine che si diffuse all'estero da qui)pronti a fiondarsi su qualsiasi persona o avvenimento che possa far notizia,si muove diviso tra superficialità e insoddisfazione.Alla ricerca di qualcuno(o qualcosa?)che forse non troverà mai o ha sempre avuto vicino(emblematiche le scene in cui si sfoga con la frustrata e opprimente fidanzata Emma,gridandole di andarsene ma tornando sempre da lei).E forse qualcosa che è troppo tardi per trovare,come quel briciolo di umanità innocente e di speranza che legge negli occhi della giovane Paola,che nel finale sulla spiaggia cerca invano di sentire,per poi voltarle le spalle ed allontanarsi con quella gente "disumanizzata" di cui,in un modo o nell'altro,fa parte anche lui.Fischiato alla prima di Milano,e accolto da accesissime polemiche(celebre gli articoli scritti sull"Osservatore romano" da Oscar Luigi Scalfaro["Basta!" e "La Sconcia vita")nochè dagli attacchi dei missini,la DC e numerosi nobili,che però ebbero come unico effetto una maggiore affluenza del pubblico nelle sale cinematografiche.Contro Fellini si schierò anche Dino De Laurentiis,in principio produttore poi dissociatosi per screzi col regista(oltre a questioni di budget,per scelte di casting:De Laurentiis avrebbe voluto un attore americano come protagonista,come Paul Newman,ma Fellini voleva un attore italiano e scelse Mastroianni).Il successo di pubblico fù(giustamente)immenso,replicatosi anche all'estero.E sarebbe stato fonte di ispirazione ed omaggi per molti registi futuri(Ken Russel,Woody Allen,MIchelangelo Antonioni,e persino Quentin Tarantino).Per la scena diventata il simbolo del film(ed entrata nel mito),del bagno nella fontana di Trevi,pare che la Ekberg restasse in acqua per ore senza problemi,mentre Mastroianni dovette indossare una muta sotto i vestiti e scaldarsi con la vodka(la scena venne girata tra gennaio e marzo).Breve apparizione per il 22enne Celentano,(al suo terzo film)nel ruolo del cantante rock.Debutto sullo schermo per Nico,futura star dei "Velvet Underground".E del futuro regista Giulio Questi,nel ruolo di Giulio Mascalchi.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a dandy »
[ - ] lascia un commento a dandy »
|
|
d'accordo? |
|
paolo 67
|
martedì 31 gennaio 2012
|
favoloso e terribile diario di 7 giorni mondani
|
|
|
|
Disse Oreste Del Buono, uno dei pochissimi critici che Fellini salvava :“LA DOLCE VITA più che un film è un pezzo della vita di chi lo guarda. Dura tre ore, ma sarebbe lo stesso ne durasse sei o due”. Fellini, le polemiche lo dimostrarono, era più avanti sia politicamente che esteticamente. Venne accusato di essere ossessionato dal sesso e di ingigantire episodi marginali da provinciale inurbato. Che svela il film? Il mistero della natura, le incognite del progresso, le incertezze e le contraddittorietà dell'uomo, il caos e la confusione del mondo.
[+]
Disse Oreste Del Buono, uno dei pochissimi critici che Fellini salvava :“LA DOLCE VITA più che un film è un pezzo della vita di chi lo guarda. Dura tre ore, ma sarebbe lo stesso ne durasse sei o due”. Fellini, le polemiche lo dimostrarono, era più avanti sia politicamente che esteticamente. Venne accusato di essere ossessionato dal sesso e di ingigantire episodi marginali da provinciale inurbato. Che svela il film? Il mistero della natura, le incognite del progresso, le incertezze e le contraddittorietà dell'uomo, il caos e la confusione del mondo. Le intepretazioni favorevoli del film sorpresero qundo non inquietarono l'autore. Non si riteneva un neodecadente. Il film è così ricco da giustificare praticamente ogni approccio. Quello che il film mostra è la necessità di uscire dai condizionamenti. Esso interpretava anche gli entusiasmi di una stagione di passaggio dal dogmatismo alle scienze umane, dalle illusioni sbagliate (di cui il film mostra lo sfacelo dei risultati) a una più adulta consapevolezza (c'è chi ha detto che con “La dolce vita” il cinema italiano è diventato adulto e chi (Morando Morandini) laico e democratico. Non è stato stranamente mai dato molto rilievo al personaggio dell'amante di Marcello interpretata da Yvonne Furneaux, l'unico, con la sua “animalità” (tutti gli altri sono come delle apparizioni chimeriche, problematiche, fantasmatiche al protagonista), concreto e vitale pur nelle sue passioni elementari. Un'altro equivoco del film, di cui Mastroianni non si è più liberato, è l'interpretazione dongiovannesca del suo personaggio, un “seduttore” che in realtà non seduce nessuno, ma viene costantemente preso in giro e usato dalle donne. Anche il personaggio di Paola non è necessariamente simbolo del soprannaturale. Non ci sono segni obbligatori di questo. Si potrebbe indicare una soluzione più laica: il protagonista poteva ritrovare un senso della vita insegnando alla ragazza a scrivere a macchina, cosa che sapeva lei avrebbe voluto imparare, superando così l'angoscia della propria condizione -che è esistenziale in senso umano prima che storico- non solo nel sentirsi utile a qualcuno ma anche nel sopravvivere a se stesso attraverso quello che si fa/che si è fatto (tema felliniano). Il protagonista non doveva avere una grande personalità, per questo Fellini scelse Mastroianni, ma anche perchè la sua aria da bravo ragazzo che ispirava fiducia e simpatia gli avrebbe consentito l'attraversamento di una giungla più o meno allucinante che è il territorio del film, dove il protagonista rischia di perdersi nella sua disponibilità ad ogni avventura ma è capace anche di galleggiare sulla palude della disgregazione. La sequenza dove l'orrore è maggiore è l'”orgia” nella casa del nuovo ricco, ma il logo del film è giocoso e magico: Anita nella Fontana di Trevi, a confermare il significato complessivo dell'operazione, nonostante tutto sereno. A Fellini l'intellettualità raziocinante doveva sembrare arida (vedi la figura -o la fine- che fa l'intellettuale in tutti i suoi film); gli intellettuali, in genere grandi ammiratori del film non potevano accettare la funesta figura di Steiner, che rivela anche la sua inconsistenza e da cui Marcello si sente in qualche modo “tradito” oltre che tragicamente abbandonato. Stilisticamente il film varia come varia di tono, trasfigurando nella fiaba con elementi di irrealtà innestati in contesti fortemente realistici. Molto importante in questo senso il lavoro di Gherardi alle scenografie e ai costumi (che furono premiati con l'Oscar). Il giornale in pellicola assurge così alla dimensione del mito e della fiaba. Gli attori si sono tutti innamorati dei personaggi e si sono divertiti molto a lavorare con Fellini. La loro allegria ha contagiato le scene, rendendo quello che Fellini voleva evidenziare: cioè l'allegria, persino la gioia anche in una società in disfacimento. Fellini non era animato, non è mai stato animato da sdegni. Non aveva intenzione di criticare aspramente. Certo la sua visione della realtà è disincantata. Per comprendere il film bisogna considerare il recupero del sentimento e della sensualità rispetto all'intelletto e alla coscienza. Il film invita all'abbandono alla circolarità degli eventi (il Marcello de LA DOLCE VITA è secondo alcune interpretazioni la continuazione del Guido di OTTO E MEZZO e non il preludio) e all'indulgenza nel giudicare il prossimo. L'originalità de LA DOLCE VITA sta nella sua costruzione ad affresco, a blocchi giustapposti, affidandosi alla potenza e alla suggestione delle immagini. Marcello Rubini è un uomo complesso, ambiguo, debole, vile, crudele, ma anche infantilmente buono e umano, intelligente, cinico ma abbastanza sensibile, ingenuo approfittatore e insieme vittima di tutte le situazioni. Una specie di tramite neutrale che rappresentava la società italiana del tempo, coi suoi riti stanchi, annoiati, meccanici, spettrali. Alla penna di Ennio Flaiano va addebitato quanto c'è di impietosamente satirico nel film, mentre Tullio Pinelli fornisce un fondamentale contributo alla trasfigurazione nel fantastico. Ma un apporto piuttosto importante lo diede Brunello Rondi (tra l'inizio della gelosia di Flaiano), con Fellini suggestionato dai suoi racconti dai trarrà ispirazione per interi episodi. La musica di Nino Rota contribuisce a rendere il senso levantino della grande città (raffinatissimo il cinismo del commento musicale della riuscitissima sequenza dei nobili -che escono peraltro dal film meno peggio di altri- ispirato a”Make the knife” di Kurt Weill, una canzone su un criminale ispiratrice anche di “Goldfinger”). La Roma di Fellini è una città donna. Madre e prostituta (aperta a tutti). Il personaggio più moderno (e più rappresentativo della “dolce vita”, tanto è vero che il protagonista la rincontra circolarmente a film avanzato ed è la prima donna con cui parla all'inizio del film) è Maddalena, l'ereditiera, completamente corrotta, simbolo di una civiltà ricca e opulenta che può avere tutto e non sa quel che vuole. In generale sui i riti che sono presenti nel film aleggia il senso della morte (richiamata ad esempio in senso subliminale dall'aspetto tombale dei night club). Affascinante e spettrale la figura di Nico Otzak (cioè Christa Paffgen, una delle muse di Andy Wahrol) che introduce Marcello nell'incredibile mondo degli aristocratici. Riguardo a quello che ho letto di ciò che è stato scritto, niente può concludere meglio che citare Enrico Ghezzi (da “Paura e desiderio”, Bompiani, 2008): “La dolce vita”(...) accoglie di nuovo, (…) qualsiasi domanda di oggi (...) troppo più avanti rispetto a qualsiasi regista esordiente italiano di questi giorni (…)” (da “Fellini della memoria” La casa Usher, 1983).
[-]
|
|
[+] lascia un commento a paolo 67 »
[ - ] lascia un commento a paolo 67 »
|
|
d'accordo? |
|
paolo 67
|
sabato 14 aprile 2012
|
l'allegra apocalisse
|
|
|
|
Il film di Fellini più famoso e ricordato nel mondo è tutt'ora un potente, affascinante, stimolante, provocante, sconvolgente spettacolo. Affresco e rotocalco, è un' “opera mondo” dalla forma epica, transizione di Fellini dal neorealismo all'espressionismo onirico, col sentimento della meraviglia di fronte alla magia della realtà raccontata come una fiaba, che, senza moralismi o indignazioni, ha una gran forza morale.
[+]
Il film di Fellini più famoso e ricordato nel mondo è tutt'ora un potente, affascinante, stimolante, provocante, sconvolgente spettacolo. Affresco e rotocalco, è un' “opera mondo” dalla forma epica, transizione di Fellini dal neorealismo all'espressionismo onirico, col sentimento della meraviglia di fronte alla magia della realtà raccontata come una fiaba, che, senza moralismi o indignazioni, ha una gran forza morale. I personaggi, con la sola eccezione di Emma, l'amante possessiva e troppo materna, sono come apparizioni per il protagonista, un anti-eroe che si lascia vivere, ma più contemplativo che passivo: se Silvia è la donna mitica, irraggiungibile, il personaggio più moderno del film, il più affascinante, misterioso, inquietante, col quale Marcello cerca invano di stabilire un rapporto paritario, è Maddalena. In ogni episodio Fellini interpreta anche figurativamente umori e stati d'animo diversi, cambiando ma anche combinando diverse maniere espressive: in quello del padre ritroviamo il Fellini dei primi film, col personaggio tradizionale della prostituta buona. La sequenza della morte di Steiner, l'intellettuale che non crede più nella vita (episodio che Fellini difese assolutamente mentre decise di non girare quello di Dolores, amante e protettrice di Marcello), potrebbe anche essere un incubo del protagonista. Nelle figure dei paparazzi c'è un'implicita critica del realismo. Gli episodi più potenti sono la festa degli aristocratici (una grottesca galleria dove Marcello incontra -a rappresentare anche la circolarità senza tempo del film- Maddalena che più di ogni altro personaggio rappresenta nella sua dissipazione la dolce vita) e l'orgia (che comunica un senso di orrore) nella villa kitsch del nuovo ricco, un episodio che termina in una parata spettrale. Alla fine per il protagonista la fanciulla angelicata (un personaggio esaltato dai cattolici favorevoli al film) e il mostro marino, simbolo di un mondo morente, non fanno differenza: non sceglie. Per Fellini il film era “di schietta intonazione cristiana”, “il film ideale secondo il documento di Papa Pio XII”. Il cardinale Siri (al quale padre Arpa, gesuita amico di Fellini aveva fatto vedere il film) lo definì “una bolgia dantesca”, giudizio che contribuì alla buona reputazione del film e che fu riportato all'allora Presidente della Repubblica Gronchi. Un reportage dell'Inferno, con Via Veneto come stazione di reclutamento. Senza essere accreditato collaborò al film Pasolini, amico di Fellini dai tempi de LE NOTTI DI CABIRIA, che scrisse suggerimenti per la sceneggiatura che furono in parte accolti. Egli considerava il film neodecadente ma cattolico, “il più alto e assoluto prodotto del cattolicesimo di questi anni”. Nel film sembra esclusa qualunque prospettiva di salvezza. Ma Fellini guarda al mistero della vita. Come ha osservato Pasolini la Grazia sembra pronta a discendere in ogni momento; i personaggi hanno, con tutti i loro difetti, un vitalismo, una purezza, un momento di energia quasi sacra, e il film spesso raggiunge il sublime in maniera quasi incredibile. Un mondo insieme grottesco, orrido e seducente è ideale per un artista come Fellini, che era alla ricerca di nuove ispirazioni. Il mondo appare sazio. Ha scritto John Baxter: “Roma sembra in attesa della terza guerra mondiale, di un miracolo o dei marziani” (come Gore Vidal parlerà in ROMA dell'attesa della fine del mondo). Il protagonista non capisce cosa vuole, se vuole veramente cambiare. Insoddisfatto, prende le distanze da tutto, pur facendone parte. E' sempre troppo dimesso, o troppo concentrato. La civiltà è sull'orlo del baratro. Le tradizioni si trovano in stato fatiscente. I valori tutti svalutati, dominano i vizi capitali. L'alta società indulge nelle orge. Marcello, immaturo errante ma in buona fede e con buone intenzioni, attraversa l'angoscia dell'uomo moderno sulla vita, il lavoro, i rapporti colle donne (significativamente in un periodo in cui il ruolo sociale della donna comincia a mutare), cerca di trovare se stesso, ma si perde e alla fine della sua parabola discendente, nella coscienza di un disfacimento totale, è triste e felice insieme. Un film molto onesto e più che mai attuale.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a paolo 67 »
[ - ] lascia un commento a paolo 67 »
|
|
d'accordo? |
|
paolopacitti67
|
domenica 2 novembre 2014
|
gli anti-eroi
|
|
|
|
Fellini pensava che mostrare le cose come sono senza sovrapporre giudizi fosse l'unico contributo che un autore può dare alla comprensione della realtà e al rapporto individuale con essa. Sebbene riconoscesse l'importanza degli intellettuali per la comprensione e l'interpretazione dialettica della realtà la sua opera non è intellettualistica; si ricollega piuttosto all'alto artigianato illuminato dal genio. Fellini aveva il senso della parabola, e trasfigurava la realtà nella fiaba e nel mito. Egli aveva la consapevolezza della tragicità immanente sul destino umano nonostante la vena scherzosa e sorridente che costituisce un aspetto fondamentale della sua poetica.
[+]
Fellini pensava che mostrare le cose come sono senza sovrapporre giudizi fosse l'unico contributo che un autore può dare alla comprensione della realtà e al rapporto individuale con essa. Sebbene riconoscesse l'importanza degli intellettuali per la comprensione e l'interpretazione dialettica della realtà la sua opera non è intellettualistica; si ricollega piuttosto all'alto artigianato illuminato dal genio. Fellini aveva il senso della parabola, e trasfigurava la realtà nella fiaba e nel mito. Egli aveva la consapevolezza della tragicità immanente sul destino umano nonostante la vena scherzosa e sorridente che costituisce un aspetto fondamentale della sua poetica. Per lui l'umorismo era la massima aspirazione dell'essere umano, i comici benefattori dell'umanità. Fellini si sentiva animato da una curiosità esistenziale; i suoi film sono sempre stati un diario insieme pubblico e privato, con la potenza espressiva di visioni, senza i legami della drammaturgia tradizionale. Questo procedere a blocchi si manifestò in modo sconcertante e nuovo ne “La dolce vita”, che Pasolini paragonò al “Satyricon” di Petronio e che, come quest’ultimo, arriva a mettere in causa un’intera civiltà. Attraverso la mediazione del protagonista, il regista conduce lo spettatore da un ambiente all'altro e compone in una specie di affresco. Il film interpreta anche figurativamente umori e sensazioni di una società in trasformazione. La sua singolarità è che una visione apocalittica del destino umano è mostrata nel suo aspetto allegro, con la dolcezza che la vita conserva sempre; questo intendeva Fellini col titolo del film. Il suo sguardo è spesso impietoso ma non è mai indignato né aspramente critico.Qualcuno, specie all'estero, comprese quanto Fellini era avanti rispetto al dibattito sociopolitico convenzionale. Una delle chiavi più autentiche per la comprensione del film è quella del rapporto dell'uomo con la donna, una delle cose che in quel periodo stava cambiando. La donna è per Fellini un essere superiore alle convenzioni maschili. Quanto al prezioso apporto dei collaboratori, Nino Rota è come sempre la consustanza uditiva di Fellini, Ennio Flaiano aiuta con la sua ironia a evitare il sentimentalismo mentre Tullio Pinelli da un contributo decisivo alla trasfigurazione fantastica e metafisica, così come con le scenografie e i costumi Piero Gherardi, non a caso premiato con l'Oscar. Il fotografo Otello Martelli diede alle immagini una morbida raffinatezza, soprattutto negli interni. Con la sua straordinaria intelligenza e sensibilità Mastroianni intuì perfettamente le intenzioni di Fellini, che lo scelse per la sua faccia da bravo ragazzo, in modo da aiutare lo spettare accompagnandolo nella giungla del film. La civiltà appare in piena decadenza, con le tradizioni, i valori in stato fatiscente. Ad eccezione di Emma, l'amante possessiva e materna – che il protagonista sente come una castrazione -, i personaggi sono tutti spettrali. Sui riti del film aleggia la morte. Il protagonista è ambiguo, confuso, pieno di contraddizioni; si muove in una allegra apocalisse da uomo insieme crudele e sensibile, ingenuo e cinico. Il personaggio più rappresentativo di questo mondo è Maddalena, la ricca ereditiera, simbolo di una civiltà che può avere tutto e non sa, o non capisce, o riconosce, quello che vuole.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a paolopacitti67 »
[ - ] lascia un commento a paolopacitti67 »
|
|
d'accordo? |
|
elgatoloco
|
lunedì 31 agosto 2015
|
dolce vita-mera fenomenologia
|
|
|
|
"La dolce vita", un"monumento", notoriamente. Fellini e la sua"icona"etc., quasi fosse tutta in un solo film la poetica di un autore come lui. Detto questo, che "La dolce vita"sia emblematica di un"nouveau regard"è indubbio. Riassumerei le mie riflessioni in merito in una formula:"La dolce vita"è meramente e convintamente"fenomenologia"(analisi descrittiva, il che non vuol dire superficiale, anzi), non vuol dare soluzione alla"cosa in sé", al"noumeno", per dirla in termini kantiani, da parte di un non kantiano quale modestamente sono. La"cosa in sé", eventualmente, interroga critici e spettatori, mentre Fellini, Flaiano, TUllio Pinelli, Pasolini(ossia gli sceneggiatori, dove bisogna ricordare che Pasolini non era accreditato , nell'elenco)si riservano, appunto, la parte fenomenologica.
[+]
"La dolce vita", un"monumento", notoriamente. Fellini e la sua"icona"etc., quasi fosse tutta in un solo film la poetica di un autore come lui. Detto questo, che "La dolce vita"sia emblematica di un"nouveau regard"è indubbio. Riassumerei le mie riflessioni in merito in una formula:"La dolce vita"è meramente e convintamente"fenomenologia"(analisi descrittiva, il che non vuol dire superficiale, anzi), non vuol dare soluzione alla"cosa in sé", al"noumeno", per dirla in termini kantiani, da parte di un non kantiano quale modestamente sono. La"cosa in sé", eventualmente, interroga critici e spettatori, mentre Fellini, Flaiano, TUllio Pinelli, Pasolini(ossia gli sceneggiatori, dove bisogna ricordare che Pasolini non era accreditato , nell'elenco)si riservano, appunto, la parte fenomenologica. Del resto il cinema, che vive di immagini, parole e musiche, in realtà fa ciò: lo fa con Bunuel, con Bergman, con Godard, con Truffaut, pur se in questi autori(escluso Truffaut, più"fenomenologo")si avverte una maggiore tendenza a porre i problemi , certo interrogandosi e interrogandoci, ma con una tendenza(larvata ma talora non solo)alla soluzione. Ne"La dolce vita", che si parli delle rassegne iniziali, delle"apparizioni", dell'attrice svedese, del suicidio di Steiner, del"mostro marino"finale, la"soluzione"manca, mentre le presunte soluzioni che gli autori darebbero hanno favorito gli equivoci sorti in merito alla questione, con tutte le polemiche(da parte ipercattolica ma non solo)sorte più che "in merito" tout court"contro"il film. El Gato
[-]
|
|
[+] lascia un commento a elgatoloco »
[ - ] lascia un commento a elgatoloco »
|
|
d'accordo? |
|
minnie
|
martedì 1 settembre 2015
|
un film profetico
|
|
|
|
E’ straordinario come rivedere oggi questo film epocale, sia ancora un evento denso di significato. Come tutti i capolavori, La dolce vita è un film seminale: ci sono in esso i prodromi di tutto quello che avverrà dopo, e il riassunto di ciò che è stato prima. Film che viene ricordato giustamente anche per fotogrammi, la scena di Silvya, l’attrice svedese che chiama Marcello a seguirla nella fontana di Trevi, la tromba delle scale nell’appartamento del folle scrittore Steiner (folle solo nel tragico, imprevisto finale) - magistralmente interpretato da Alain Cuny - la scena dell’isterismo religioso sotto la pioggia che ricorda L’asso nella manica (e lì Marcello è Kirk Douglas) di Billy Wilder ma anche molti film di Rossellini, di cui Fellini può ben dirsi l’allievo più geniale, torna stranamente d’attualità proprio adesso. La scena iniziale infatti, con la grande carrellata della cinepresa dall’elicottero che trasporta un Cristo di legno, noi l’abbiamo vista due anni fa al telegiornale, ma certo: era l’elicottero che portava via papa Benedetto XVI dal Vaticano al volontario esilio di Castelgandolfo. E il giovanilismo del padre di Marcello (uno straordinario, elegantissimo Marcello Mastroianni, che nel film si chiama di cognome Rubini e sarà, anni dopo, proprio un autentico Rubini, Sergio, a interpretare Fellini da giovane), è lo stesso di tanti sessantenni d’oggi (a partire da Gep Gambardella de La grande bellezza)e il fenomeno dei paparazzi (il nome fu inventato allora, con la complicità di Flaiano, cosceneggiatore con Fellini), e le scazzottate in via Veneto, questo ormai è storia. Ma era agli albori l’insofferenza del maschio nella classica crisi dei 30 anni che di solito si risolve con il matrimonio nei confronti delle donne che amano troppo (una patologia di là da venire), come Emma magnificamente interpretata da Yvonne Furneaux a cui Marcello si ribella per abbracciare uno stile di vita più effimero e non a caso passando da giornalista a pubblicitario, naturale evoluzione della società dei consumi. E quante stragi in famiglia abbiamo visto? Famiglie normali, in cui a un certo punto quello che fino a ieri era un padre amorevole si trasforma in assassino dei suoi figli, come appunto Steiner, che Marcello ammirava e seguiva come un guru. Sarà che gli ha portato male la chiesa dove suonava l’organo; quella stessa chiesa di don Bosco al Tuscolano dove i Casamonica hanno recentemente dato spettacolo, così come la moglie di Steiner è nientemeno che la compianta Renée Longarini, a fianco di Enzo Tortora nella sfortunata tragedia di Portobello e della denuncia falsa nei confronti del conduttore televisivo. E quel suo ritorno a casa, ignara del dramma imminente, ci pare sinistramente profetico, anche qui. Ma del resto Fellini era un mago, si sentiva così ma mai si sarebbe pensato che lo fosse fino a tal punto, che un film talmente famoso fosse in fondo tanto consapevole delle sorti della stessa Italia che rappresentava e che anticipasse i tempi fino all’abisso. L’occhio della manta, scrutatore e distante come la natura infinita e distante, sembra poi come indicare il confronto costante con il pianeta (un po’ come i fenicotteri a Roma nel film di Sorrentino e il rinoceronte in “Prova d’orchestra”, sempre di fellini). Piero Gherardi ha avuto l’Oscar per i costumi e giustamente perché sono tutti molto eleganti in questa pellicola, primo fra tutti Marcello, ma sono fenomenali anche le sue scenografie e la fotografia. E un Oscar sarebbe spettato sicuramente anche a Nino Rota per le musiche indimenticabili e pure ad Anita Ekberg, mai più così fortemente eponima, un’attrice un film. Marcello è il prototipo di tutti i vitelloni, di tutti i perdigiorno di un’Italia in cui ormai anche il lavoro non è che un tentativo di guadagnarsi il pane senza alcuna certezza. Eh sì, il buon Federico aveva davvero capito tutto. E Sorrentino ha appreso la lezione.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a minnie »
[ - ] lascia un commento a minnie »
|
|
d'accordo? |
|
jekyll
|
sabato 12 dicembre 2015
|
babilonia 2000
|
|
|
|
Film epocale su una civiltà intera, ha sconcertato per la sua arditezza stilistica ma soprattutto per un'apocalisse descritta nella sua allegria e senza alcun giudizio. Ma aleggia, in una civiltà in decadenza, la morte. Fellini riscatta una visione disincantata e amara della realtà con uno spiritualismo di marca cattolica, più laico che religioso, da stoicismo classico. Il suo sguardo, mai indignato né aspramente critico, é molto laico e moderno. Il film é un diario, pubblico e privato, espresso con potenti visioni. Per Fellini mostrare le cose come sono era l'unico vero contributo che un autore poteva dare alla comprensione,al rapporto, all'accettazione della realtà stessa. Molto congeniale al film l'ironia di Ennio Flaiano, mentre Tullio Pinelli ha fornito un decisivo contribuito alla trasfigurazione fiabesca, come lo scenografo e costumista Piero Gherardi, premiato con l'Oscar.
[+]
Film epocale su una civiltà intera, ha sconcertato per la sua arditezza stilistica ma soprattutto per un'apocalisse descritta nella sua allegria e senza alcun giudizio. Ma aleggia, in una civiltà in decadenza, la morte. Fellini riscatta una visione disincantata e amara della realtà con uno spiritualismo di marca cattolica, più laico che religioso, da stoicismo classico. Il suo sguardo, mai indignato né aspramente critico, é molto laico e moderno. Il film é un diario, pubblico e privato, espresso con potenti visioni. Per Fellini mostrare le cose come sono era l'unico vero contributo che un autore poteva dare alla comprensione,al rapporto, all'accettazione della realtà stessa. Molto congeniale al film l'ironia di Ennio Flaiano, mentre Tullio Pinelli ha fornito un decisivo contribuito alla trasfigurazione fiabesca, come lo scenografo e costumista Piero Gherardi, premiato con l'Oscar. La fotografia di Otello Martelli é di morbida raffinatezza, specie negli interni. La musica di Nino Rota come sempre è il complemento auditivo del film. Il finale marino simboleggia la placenta materna che riassorbe personaggi e situazioni. Mastroianni si afferma internazionalmente come attore serio affrancandosi dai cliché della commedia dialettale, come era nelle sue ambizioni. Forse la sequenza della morte di Steiner è un sogno, un incubo del protagonista. Nico nella parte di se stessa introduce la sequenza dei nobili, mortuaria, un intermezzo gotico che potrebbe anche esso essere un sogno, un incantesimo che finisce all'alba, con i figli della notte, fantasmi di un altro mondo. Anche l'"orgia" finale termina con una passerella di spettri. Il cardinale Siri, quattro volte tra i papabili (1958, 1963, agosto 1978 in finale con Albino Luciani e ottobre 1978 come favorito assoluto) definì il film una bolgia dantesca che dovrebbero vedere i seminaristi del quarto anno di teologia per rendersi conto di com'è il mondo, e le reazioni quelle di di chi si é visto descritto e ha avuto paura di se stesso. A fargli vedere il film fu il gesuita Padre Arpa, amico e ammiratore di Fellini. Il Presidente della Repubblica Gronchi chiese ad Arpa una lettera autografa a conferma del giudizio non negativo di Siri. Rizzoli inviò a Padre Arpa un assegno di 10 milioni dell'epoca. Deluse e addolorò Fellini invece il cardinale Montini, futuro papa Paolo VI, che convocò il superiore della comunità di San Fedele, i gesuiti favorevoli a Fellini, e gli ordinò di modificare il giudizio. Ma i gesuiti si opposero e, per iniziativa di Montini, furono puniti fino all'esilio all'estero. Montini non aveva visto "La dolce vita" nè mai lo vide, come il direttore de "L'Osservatore romano" che condannò l'opera e dove apparvero articoli non firmati scritti dal futuro Capo dello Stato Scalfaro che deplorava i Padri Gesuiti e si rivolgeva ai pubblici poteri. Fellini fu difeso molto a sinistra ma anche a destra (Montanelli) e alle interrogazioni parlamentari contro il film rispose, con insospettata fermezza, il sottosegretario al Turismo e Spettacolo Magrì, democristiano. Era in corso non solo una lotta riguardo al cinema e lo spettacolo, ma anche una lotta politica, nello stesso partito, la DC, del quale Attilio Piccioni probabilmente sarebbe diventato Capo del Governo o dello Stato se il figlio Piero non fosse stato coinvolto nel caso Montesi, che in parte ispirò il film, specie l'orgia finale; forse il pesce morto sulla spiaggia allude al cadavere della ragazza trovato sulla spiaggia di Capocotta.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a jekyll »
[ - ] lascia un commento a jekyll »
|
|
d'accordo? |
|
luca scial�
|
venerdì 25 dicembre 2015
|
il lato cinico e malinconico dello spettacolo
|
|
|
|
Pellicola considerata il capolavoro di Federico Fellini. E a ragione. Qui vi si trova un pò di tutto: dal neorealismo che andava spegnendosi, alla critica alla borghesia tanto cara ad Antognoni, passando per il visionarismo che da qui in poi sarà predominante nel cinema del regista, fino alla descrizione per la prima volta del cinismo e dell'ipocrisia del mondo dello spettacolo.
Il film di fatti racconta la vita di Marcello, che ama il giornalismo d'inchiesta e fare lo scrittore, ma si ritrova a scrivere articoli di gossip sui divi del cinema di passaggio a Roma. Fondamentalmente infelice va avanti e si muove in una Roma cinica, ipotrica, spietata, pacchiana e appariscente.
[+]
Pellicola considerata il capolavoro di Federico Fellini. E a ragione. Qui vi si trova un pò di tutto: dal neorealismo che andava spegnendosi, alla critica alla borghesia tanto cara ad Antognoni, passando per il visionarismo che da qui in poi sarà predominante nel cinema del regista, fino alla descrizione per la prima volta del cinismo e dell'ipocrisia del mondo dello spettacolo.
Il film di fatti racconta la vita di Marcello, che ama il giornalismo d'inchiesta e fare lo scrittore, ma si ritrova a scrivere articoli di gossip sui divi del cinema di passaggio a Roma. Fondamentalmente infelice va avanti e si muove in una Roma cinica, ipotrica, spietata, pacchiana e appariscente. Anche il rapporto con la fidanzata si sta logorando, mentre quello con gli amici si limita a sedute di salotto annoiate e malinconiche.
Fellini dà così il via, come detto, a una serie di temi, poi ripresi in futuro sovente dal Cinema. Inoltre, da questo film in poi il suo Cinema abbandona definitivamente il neorealismo per dedicarsi a una sfera quasi esclusivamente onirica e visionaria. Ma non per questo meno critica nei confronti della società borghese, di Roma e del mondo dello spettacolo. Una spartiacque che segna anche un draguale declino nella filmografia felliniana.
Epica la scena con Anita Ekberg nella fontana di Trevi. Tragicomica quella dei bambini che vedono la Madonna, circondati da curiosi e fedeli. Drammatica quella del suicidio dell'amico intellettuale, che uccide anchei suoi due figli. Il finale è enigmatico e dà adito a più interpretazioni.
Volendone azzardare una, è come se il sorriso della giovane Paola, così innocente e puro, nonché contrapposto a quello stanco e stravolto di Marcello, volesse salvarlo da tutto quel tourbillon di perdizione.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a luca scial� »
[ - ] lascia un commento a luca scial� »
|
|
d'accordo? |
|
paoletto67
|
martedì 5 gennaio 2016
|
i figli della notte
|
|
|
|
L'angoscia e l'inquietudine di fondo di una società, pur essendo la base del discorso, non intaccano la superficie brillante, la esteriorità divertente; inoltre la cronaca di riferimento degli episodi ha sempre interessato il pubblico. Fellini in piena libertà creativa compone un grande affresco che non ha perso nulla del suo fascino anche per le sue componenti profetiche e atemporali. Era essenziale che il protagonista avesse il volto simpatico di Mastroianni, anche se reso ambiguo dal trucco, ma anche che fosse un debole. Con un uomo di forte personalità, che avrebbe potuto dar vita ad esempio una unione con Maddalena, non sarebbe esistita la storia, anzi la non-storia del film. Fellini riesce a esprimere a meraviglia l'aria, l'atmosfera del tempo, gli anni di passaggio dal secondo dopoguerra al boom economico; l'Italia stava rapidamente cambiando.
[+]
L'angoscia e l'inquietudine di fondo di una società, pur essendo la base del discorso, non intaccano la superficie brillante, la esteriorità divertente; inoltre la cronaca di riferimento degli episodi ha sempre interessato il pubblico. Fellini in piena libertà creativa compone un grande affresco che non ha perso nulla del suo fascino anche per le sue componenti profetiche e atemporali. Era essenziale che il protagonista avesse il volto simpatico di Mastroianni, anche se reso ambiguo dal trucco, ma anche che fosse un debole. Con un uomo di forte personalità, che avrebbe potuto dar vita ad esempio una unione con Maddalena, non sarebbe esistita la storia, anzi la non-storia del film. Fellini riesce a esprimere a meraviglia l'aria, l'atmosfera del tempo, gli anni di passaggio dal secondo dopoguerra al boom economico; l'Italia stava rapidamente cambiando. Quando uscì molte cose erano pronte a esplodere, e quest'opera ne fu detonatore. Saltarono sia unioni che contrapposizioni ideologiche, la critica italiana fu presa in contropiede, il film divenne fenomeno di costume e caso politico. Alcuni che forse avevano avuto orrore nel riconoscersi intrapresero una furibonda campagna moralizzatrice e un tentativo di censura che però diede una grossa pubblicità al film. Lo stesso produttore Rizzoli rimase sbalordito dalla grandezza del successo che ebbe, ed e è difficile pensare che lo avrebbe avuto tale per i valori artistici. Il bianco e nero - operatore Otello Martelli - raggiunge una delle vette pittoriche più alte della storia del cinema. Alcune immagini - su tutte Anita Ekberg nella fontana di Trevi - restano tra i simboli del XX secolo. La critica di costume e l'ironia di Ennio Flaiano sono una delle principali qualità dell'opera ma Fellini ha evitato che conferissero il carattere di una condanna morale. Prevale la fiaba, il fantastico grazie anche all'apporto di Tullio Pinelli e a Piero Gherardi, premiato con l'Oscar per la scenografia e i costumi. Una cosa che Flaiano non amava era l'importanza sempre più grande che assumeva l'intesa di Fellini con Brunello Rondi (fratello del critico Gianluigi) e soprattutto con Pasolini. Se il film é così ricco lo si deve anche alla sua evoluzione in fase di costruzione (alcune sequenze furono aggiunte girando, altre previste non vennero girate, il finale venne lasciato in sospeso), nella varietà e diversità degli apporti, anche se la qualità straordinaria di Fellini era la capacità di farne un corpo unico. Il coraggio dell'autore non era solo tematico, era innanzitutto stilistico. Nessuno aveva mai fatto un film così, e nessuno lo poté ignorare dopo: "La dolce vita" fu davvero uno spartiacque. Alla allegria del film contribuisce il clima in cui si svolse la lavorazione, che gli interpreti ricordano come una lunga vacanza, entusiasmante, esaltante, di un abbandono totale, di una felicità assoluta a cominciare da Mastroianni: "Non so se "la dolce vita" é esistita veramente, ma per me fu la lavorazione del film". Ed é proprio questa "felicità di esistere" che Pasolini riconosce a tutti i personaggi, a cui sembra che tutto va bene anche nel male o nell'insensatezza. Per l'attrazione verso la Morte, che corrisponde a un ritorno nel grembo materno (con nel finale il mare come simbolo placentare) e per il fatto che il film si svolge in gran parte di notte (quando i fantasmi si scatenano prima di essere scacciati dalle luci dell'alba) "La dolce vita" può anche essere considerata un capolavoro del gotico italiano.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a paoletto67 »
[ - ] lascia un commento a paoletto67 »
|
|
d'accordo? |
|
|