Titolo originale | Roland Blessé |
Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | Francia |
Durata | 121 minuti |
Regia di | Vincent Dieutre |
MYmonetro | 2,92 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento domenica 30 novembre 2014
CONSIGLIATO SÌ
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Un regista-viaggiatore francese giunge per la prima volta in Sicilia, in cerca di una nuova speranza politica che possa in qualche modo salvare un'Europa allo sfascio ma, esattamente come i Pupi, le marionette più note del teatro palermitano dimenticate nei ripostigli, piange il proprio destino.
Il documentario di Dieutre parte dal teatro, sfiora la letteratura, fa proprio Pier Paolo Pasolini e le sue profezie socio-politiche (principalmente quella della scomparsa delle lucciole e il trionfo del castello di bugie), per arrivare a una cruda critica di un'Italia berlusconiana che è specchio di un'Europa retta di mere bugie. Il tutto sotto il segno di Orlando di legno, che ferito, rimane appeso ai fili che lo comandano.
Potrebbe essere definito un intimo sguardo lucido sulla Sicilia di oggi, sui suoi luoghi comuni (la teatralità della gente, la mafia, l'omosessualità repressa, il culto della morte) e sulle sue ribellioni che generano sacche di testarda resistenza a una nuova forma di imperialismo culturale, ma Orlando ferito è molto più di questo.
«Darei l'intera Montedison per una lucciola», scriveva il 28 agosto 1975 Pier Paolo Pasolini, pochi mesi prima di essere ucciso, e Dieutre, attraverso i Pupi e le lucciole, segue oggi quei pochi esseri viventi rimasti che ancora emettono flussi di fotoni, che esistono perché ancora sprigionano la luciferina in una danza d'amore per la vera e propria cultura (non quella televisiva inzozzata da soubrette sempre nude, balletti pornografici e intrattenimento dalla risata facile), della quale rimane a malapena la fragile grazia di uno spettro che è più un chiarore di candela.
Orlando ferito spiega, quindi, un genocidio culturale, l'ultimo crimine di una realtà fascista che è peggiore di quella post-mussoliniana, e il neocapitalismo, l'artificiosità dei suoi strumenti sociali e la fredda operazione di eclissare tutto ciò che non rientra in uno stereotipo.
Si esaminano, per dirla con le parole di Georges Didi-Huberman, uomini-lucciole, parole-lucciole, immagini-lucciole, saperi-lucciole condannati ad andare perduti e che in questa stessa minaccia, per personalità come quella del regista o di qualsiasi altro intellettuale, rappresentano sintomo di disperazione, di barbarie che procede senza intoppi, di rovina e di oscurantismo.
Rimangono i bagliori, come suddetto. Resistono, si chiudono a lutto, ma cercano di non paralizzare le proprie intelligenze, di non andare schiacciate in un montaggio in cui potrebbero essere scartate.
Un confronto appassionante che ci vuole suggerire un'idea di sopravvivenza, una prospettiva, una soluzione al declino e alla catastrofe antropologica, curando e preservando quelle risorse che sono scintille di umanità da una spaventosa assenza di cultura e da una sempre più totale e degradante ignoranza.
Un bell'attacco a una nuova borghesia, più potente della precedente e più povera allo stesso tempo, incapace di staccarsi dal consumismo, dal comprendere le reali minacce alla civiltà.