di Gian Piero dell'Acqua
Bonifacio B., un giovanotto che corre sempre, alla ricerca del suo posto nella società, ha ricevuto un’edt~cazione clericale e reazionaria, ha visto disgregarsi le amicizie e le solidarietà giovanili, ricorda ancora i colori dei funerali di un « compagno », ha fatto abortire la sua ragazza, e adesso è di fronte alla necessità di inserirsi nel « sistema ». Film di un esordiente assai scaltro, già assiduo frequentatore di cineteche, In capo al mondo (secondo il primitivo titolo, di cui gli fu imposta, per motivi ignoti, la sostituzione in sede di censura) poté apparire, esteriormente, un tentativo italiano di fare dei cinema come i giovani « arrabbiati »inglesi o americani, salvo vedervi addirittura, e insieme, i segni della tentazione anarchica e della riflessione imprudente.
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di Giuseppe Marotta
Non potevo non cercare di veder subito il film di Tinto Brass In capo al mondo ( Chi lavora è perduto), né posso trattenermi dal parlarvene immediatamente (scrivo in data 7 ottobre), ossia mentre accese polemiche divampano sui giornali e ignoriamo se il Brass verrà appeso o no per la gola a un gancio di confine tra l'odierna Italia del monocolore e quella, imminente, del Centro-Sinistra Fanfani II o Moro I che sia. In questo clima di interregno, di reggenza, è possibile, tendendo l'orecchio di notte, udire il brusio della mola che gira affilando ogni sorta di lame, e i clic dei grilletti che sì alzano (forza con l'immaginazione!) come baiadere dal guanciale, sazi cioè di languori estivi.
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