Titolo originale | A Febre |
Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Brasile, Francia, Germania |
Durata | 98 minuti |
Regia di | Maya Da-Rin |
Attori | Regis Myrupu, Rosa Peixoto, Johnatan Sodré, Kaisaro Jussara Brito, Edmildo Vaz Pimentel Anunciata Teles Soares, Rodson Vasconcelos, Lourinelson Vladmir, Suzy Lopes, Erismar Fernandes Rodrigues, Dalvina Pinto Neves, Sandro Medeiros, Ricardo Risuenho, Silvia Pimenta, Josimar Marinho, Gabryelle Araújo Dos Santos, Eró Cruz, Demétrio Alves da Silva, Marcelo Gordo, Seu João, Elis Marinheiro, Jusceli Melo, Jesus Miguel. |
MYmonetro | 2,99 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 14 agosto 2019
Un uomo si ammala di una misteriosa malattia.
CONSIGLIATO SÌ
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La città brasiliana di Manaus è un avamposto industriale nel mezzo della regione amazzonica, dalla quale molti abitanti delle popolazioni indigene arrivano in città per lavorare. Tra loro Justino, che ha lasciato parenti, tradizioni e identità per costruirsi una vita nuova in compagnia della moglie e dei figli. Dopo la morte di sua moglie, però, i turni come guardia di sicurezza al porto si fanno più difficili da sostenere, e quando anche la figlia Vanessa decide di trasferirsi a Brasilia per studiare medicina, Justino inizia ad accusare i sintomi di una strana febbre. Come i Desano, a cui appartiene Justino, sono tante le comunità indigene amazzoniche nel nord del Brasile, al confine con la Colombia. Parlano le lingue tucano e vivono in armonia con il contesto naturale. Il degrado e la precarietà delle condizioni della foresta amazzonica spingono però sempre più persone verso la migrazione urbana, una chiave che, come tanto cinema brasiliano del periodo, acquista valore politico anche al di là delle sue intenzioni.
C’è comunque un rigore partecipe alla base di The Fever, esordio nel cinema di finzione per la regista Maya Da-Rin, che viene dal documentario.
Con rispetto, curiosità ed esattezza, la cineasta e artista visiva brasiliana sintetizza un contesto sociale variegato nella figura stoica ma sofferente di Justino, un esempio di trapianto urbano ben metabolizzato che però, sulla lunga distanza, inizia a sgretolarsi con una presa di coscienza improvvisa. Il lavoro di Da-Rin nasce dall’osservazione sul campo, anche se il prodotto finale viene levigato da passaggi ripetuti nei vari script lab europei, che paradossalmente ne limitano la forza espressiva e lo riducono a qualcosa di già visto. Non c’è dubbio però che l’occhio iniziale sul particolare contesto socio-culturale sia di valore, e venga ben supportato da un notevole impianto visivo. Anche da sola, la fotografia digitale di Bárbara Alvarez dice tutto il necessario su Justino, per il quale lo sfondo urbano è una sottile ma continua minaccia: come la superstrada che gli si alza vertiginosa alle spalle quando rientra a casa la sera, o come la profondità di campo che lo spinge pericolosamente vicino ai camion a bordo carreggiata. E poi il lavoro al porto, che lo schiaccia tra i container e ne rende comprensibile il senso di disorientamento che gli procura un avvertimento dal responsabile delle risorse umane.
Il protagonista Regis Myrupo è, come tutto il cast principale, un membro delle comunità di lingua tucano; non proprio un esordiente alla recitazione, ma una sorpresa come attore principale: un cacciatore reso inerte dall’assenza di preda, o forse tramutato egli stesso in preda dall’industrializzazione. Un esempio di mascolinità ostinata, che giudica se stessa dalla durezza della pelle e dalla purezza del sangue, ma si rende per fortuna permeabile a una certa inquietudine sentimentale. È il suo corpo la superficie più affascinante di The Fever, uno studio antropologico che si porta dentro grande complessità pur nel tentativo insistito di adattarla a un contesto a cui non appartiene.
Il world cinema - termine già problematico, denso di impliciti - ci ha spalancato le porte su storie non bianche. Gli studi postcoloniali le hanno trasformate in storie di corpi, prima ancora che di parole. Abbiamo visto questi corpi incarnare uno spaesamento, metabolizzare il proprio essere altri mutandosi in zombie, fantasmi, animali. Per Justino, operaio di origine desana nel porto industriale di [...] Vai alla recensione »
Porto di Manaus, le edificazioni di container si ergono alle spalle di Justino, indio quarantacinquenne che sta nella notte del porto industriale, col suo casco in testa, fermo ad ascoltare l'antico passato che gli scorre nelle vene. La casa che ha costruito alla periferia della città, nel quartiere che sta a ridosso della foresta in cui la sua gente ha vissuto, è ogni sera l'approdo che raggiunge [...] Vai alla recensione »