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Le stanze di Rol, la nuova sezione del TFF38 è un mix imperdibile di generi, formati, durate

Pier Maria Bocchi è il curatore di una selezione che si lascia affascinare dall’arcano ma sa andare oltre, lungo le direttrici dello spazio e di una concezione dell’opera cinematografica priva di qualunque scetticismo. NOLEGGIA UN FILM A € 3,50 OPPURE ACQUISTA UN CARNET OPPURE ABBONATI »
di Tommaso Tocci

domenica 22 novembre 2020 - Torino Film Festival

Sotto la rinnovata stella della Mole Antonelliana, il Festival di Torino lancia su MYmovies la sua trentottesima edizione. Tra le varie novità, una sezione dal nome suggestivo come "Le stanze di Rol". Cosa ci troveranno dentro gli spettatori del festival tra il 20 e il 28 novembre?

Non soltanto uno spazio dedicato al cinema di genere, come spesso avviene in questi casi (Torino stessa aveva in precedenza il programma Afterhours), ma un territorio di ricerca allargato e reso più ibrido, con un più acuto gusto della scoperta che in modo liberatorio mescola non solo i generi ma anche i formati e le durate. Questa è l’intenzione del curatore Pier Maria Bocchi, personalità sempre intrigante che ha voluto mettere le cose in chiaro fin dal nome. Rol si riferisce infatti a Gustavo Adolfo Rol, studioso e sensitivo che ha attraversato di slancio il Novecento, dalla guerra all’amicizia con Fellini. Una vita e una carriera dallo stampo metafisico e sorprendente, per di più legata a doppio filo al capoluogo piemontese che già di suo è forse la più esoterica tra le città italiane.

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Ce n’è abbastanza per avvicinare il pubblico a una selezione di film che si lascia certamente affascinare dall’arcano ma sa andare oltre, lungo le direttrici dello spazio e di una concezione dell’opera cinematografica priva di qualunque scetticismo.

E per dimostrare la sua eterogeneità è importante che siano rimaste visibili le radici di genere della sezione, incarnate con orgoglio da titoli come The dark and the wicked (regia di Bryan Bertino, che gli appassionati ricorderanno dai tempi di The strangers) e The oak room (di Cody Calahan), nel solco classico dell’horror e del gotico nordamericano ed entrambi, forse non per caso, attenti a cercare l’orrore nell’impossibile ritorno verso casa. Il primo con due fratelli che rientrano alla fattoria d’infanzia per una visita al padre malato, e il secondo con una tormenta di neve che riporta il protagonista in un bar del suo paesino, dove lo attendono vecchie conoscenze e debiti mai pagati.

Il filone thriller-horror però fa presto a sdoppiarsi e riconfigurarsi tra le stanze di Rol, virando verso la satira (in Lucky di Natasha Kermani, che “normalizza” l’incubo dell’aggressione misogina quotidiana per svelarne l’assurdo) e attraversando gli oceani (Breeder di Jens Dahl - già sceneggiatore dell’esordio alla regia di Nicolas Winding Refn, Pusher - porta gli spettatori in Danimarca, dove una società biomedica estremizza la sua ricerca cosmetica fino alla tortura più sadica).

Da lì in poi, le coordinate di genere smettono di essere esatte. Funny Face e Fried Barry sono accomunati dalla ricerca di identità (terrena nel primo caso, con due ragazzi outsider, e paranormale nel secondo, grazie a un alieno che si impossessa del corpo di un uomo) attraverso l’esplorazione cittadina, rispettivamente a New York e a Città del Capo. Sfumato e ricco di risvolti sentimentali il primo, calibrato sull’eccesso più sfrenato il secondo, ma entrambi legati da un filo sottile.

L’ultima frontiera della sperimentazione si trova nel resto dei titoli, che uniscono una pluralità di forme d’immagine: gli eccitanti codici del racconto seriale televisivo in Antidisturbios, in cui Rodrigo Sorogoyen segue i membri dei reparti antisommossa della polizia spagnola (disponibili i primi due episodi in proiezione unica, con promessa della stessa intensità dell’ottimo thriller a sfondo politico firmato due anni fa da Sorogoyen, Il regno), l’affascinante cortometraggio thailandese Red Aninsri, opera di Ratchapoom Boonbunchachoke su cui Bocchi si è speso in prima persona, e perfino il saggio per immagini con The Philosophy of Horror: A Symphony of Film Theory dei registi Péter Lichter e Bori Máté. Un ritorno più teorico e “ricostruttivo” al mondo dell’horror per chiudere il cerchio della selezione, e che testimonia l’originalità delle proposte di Le stanze di Rol.


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