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Aspettando, diffidando, Il Grande Gatsby

Sulle tracce di Scott Fitzgerald.
di Pino Farinotti

In foto una scema del film Il Grande Gatsby.

domenica 12 maggio 2013 - Focus

Siamo assediati dal Grande Gatsby. È in uscita il nuovo film di Baz Luhrmann e il marketing ha scatenato una vera guerra. Cartellonistica invasiva, locandine ovunque, con un aspetto altamente positivo, le riedizioni del romanzo di Scott Fitzgerald. Io stesso ne ho comprata una, ricca e rilegata a prezzo superpopolare, pur possedendone già una decina. Mi sta molto a cuore il "Grande Gatsby", uno dei libri decisivi del novecento, non solo americano. Capita di leggere: "ho deciso di fare l'attore dopo aver visto Marlon Brando" oppure "ho fatto il calciatore dopo aver visto Maradona". Nella mia piccola aneddotica personale, posso dire "ho fatto lo scrittore per colpa&merito del Grande Gatsby, e, aggiungo, della "Luna e i falò" di Cesare Pavese. Poi naturalmente c'è tutta la letteratura che appartiene alla mia generazione, e ad altre: i britannici, i russi, i tedeschi, i francesi, i mitteleuropei, i sudamericani, e tutti i grandi classici "scolastici". Insomma, la nostra più bella educazione sentimentale, e anche quella culturale. Ma il Grande Gatsby nella mia gerarchia del cuore è lì, in alto. Nel mio "dizionario" ho attribuito il cinque stelle - rarissimo, non più di un paio di volte l'anno - a Midnight in Paris di Woody Allen. Il protagonista Gil, scrittore, si ritrova negli anni venti e incontra Fitzgerald, Hemingway e tanti altri eroi dell'epoca. Forse non è un film da cinque stelle, ma mi sono concesso quella mia debolezza personale, perché Gil sono io. Dunque frequentazione assidua e appassionata con quel romanzo e, di conseguenza, la pretesa da parte mia di una certa titolarità e proprietà. Insomma ne sono geloso. Scott e Zelda -quanto si è scritto su di loro- sono una coppia modello di vita e di cultura di quegli anni, visitati, rivisitati, strarivisitati. Ricordo un paio di testi recenti, di qualità: La morte della farfalla di Piero Citati, e Zelda&Francis Scott Fitzgerald di Kyra Stromberg. La lunga, potente onda del marketing ha portato anche un libro di Alfonso Signorini sulla vicenda della coppia, Amore folle amore, un titolo alla Harmony piuttosto che al "Grande Gatsby". Ecco, che un Signorini abbia toccato Fitzgerald, un po' di disagio me lo provoca. Ma anche questo, nella potente onda, ci può stare.
Sono preparato alla regia strapatinata, frenetica e ipertrofica di Luhrmann. È uno di quegli autori che vogliono raccontare una storia a propria immagine e somiglianza - sappiamo cos'ha combinato con lo shakespeariano Romeo+Giulietta - anche se la storia è importante e perfetta, da rendere superfluo ogni ottimizzazione o restyling. Ho visto i trailer del film e mi sono fatto un'idea. Sono in attesa, trepida e sospetta, di vedere l'opera completa. Ma il cinema, sappiamo, ha le sue regole. E' l'eterno scontro fra l'opera letteraria e il film derivato. Abbiamo visto, negli ultimi tempi edizioni di Sherlock Holmes, Anna Karenina e I miserabili, con contaminazioni tanto estreme da essere grottesche, in chiave di filologia, ma efficaci in termini di cinema e spettacolo. Se non si è capito, io sto... con la filologia, pur accettando le contaminazione. Staremo a vedere.

In attesa ripropongo due miei interventi precedenti su Mymovies. Nell'insieme dovrebbe uscirne un quadro largo ed esauriente. Soprattutto ripropongo l'incipit e il finale del Grande Gatsby, due momenti di incanto e di sortilegio fra i più alti della letteratura universale.

Negli anni più vulnerabili della giovinezza, mio padre mi diede un consiglio che non mi è mai più uscito di mente: < mi disse << ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu.> Non disse altro, ma eravamo sempre stati insolitamente comunicativi nonostante il nostro riserbo, e capii che voleva dire molto più di questo. Perciò ho la tendenza a evitare ogni giudizio.
"... Gatsby non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, da qualche parte in questa vasta oscurità dietro la città, dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte. Credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. Ci è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia... e una bella mattina... Così continuiamo a remare, barche controcorrente risospinti senza posa nel passato.

UN PICCOLO RISARCIMENTO A Scott Fitzgerald
Il curioso caso di Benjamin Button è tratto da un racconto di Francis Scott Fitzgerald, naturalmente rivisto secondo il cinema. Narrasi la vicenda di questo Benjamin, che nasce l'ultimo giorno della prima guerra mondiale, ma nasce al contrario, novantenne con salute relativa, sordità, cecità, ossa doloranti, eccetera. Da quel momento comincia a ringiovanire. Il senso della sua vita è l'amore per una donna più grande di lui che sta invecchiando come tutti. Le due parabole, quella naturale di lei e quella fenomenale di lui, si incontreranno intorno ai cinquant'anni. Quando un film si ispira alla letteratura è sempre una bella notizia. Se l'ispiratore è Fitzgerald allora giocano altre forze, quasi sortilegi. C'è tutta una mitologia che riguarda quest'uomo, che visse una vita esattamente come se fosse lo scrittore di se stesso, capace di guardarsi come un personaggio (alla fine) tragico, e di rappresentarsi nel successo, nell'infelicità e anche nella morte. "Benjamin Button", film di qualità, è in testa agli incassi, magnifica anomalia e segnale virtuoso in controtendenza. E' un piccolo, piccolissimo risarcimento che il cinema deve allo scrittore, perché Fitzgerald, dal cinema, fu ucciso. Il racconto era uscito nel '22, sul Metropolitan Magazine, l'editore aveva pagato all'autore 3.000 dollari. Tutto funzionava a meraviglia in quel 1922 per Scott, e per la sua bella moglie Zelda. Lo scrittore aveva appena pubblicato il suo secondo romanzo, Belli e dannati mentre il primo Di qua dal paradiso, continuava ad essere in classifica, come si direbbe oggi. A 26 anni Scott non era solo lo scrittore emergente d'America, ma era uno dei personaggi più popolari, il principe (troppo giovane per essere un re) delle copertine, lui e Zelda. La coppia era il simbolo di quel momento socialmente e culturalmente sfrenato, i Fitzgerald erano modelli perfetti di una felicità privilegiata e al sicuro, con Cadillac decappottabili e coppe di champagne sempre alzate. Uno dei personaggi di Scott, Elena, in Babilonia rivisitata diceva "dobbiamo vivere una vita di ultimi giorni". All'uscita di "Benjamin Button" la coppia viveva a Long Island, dopo un periodo noioso a St. Paul. Feste, sprechi, shopping furioso, high society. Si immersero vestiti nella fontana davanti al Ritz. Davano giovanile scandalo. Erano gli idoli di tutti. Poco dopo trasferirono il loro vorticoso menage fra Antibes e Parigi, dove c'era la meglio gioventù, la ricchezza più in vista, l'intelligenza più avanzata del mondo. I soldi uscivano a fiumi, Scott, per far fronte, scriveva come un pazzo, senza preoccuparsi dunque della qualità. Chiedeva anticipi agli editori. Zelda, vicino a un genio vero, ossessionata dall'emulazione tentò di scrivere, di dipingere, di ballare e cominciò a dar segni di instabilità. Poi si ammalò sul serio e venne ricoverata in una clinica, in quella più costosa naturalmente. E c'era la figlia Scottie, ormai adolescente, che studiava, nei college più costosi, naturalmente. Poi tutto cambiò, minore energia, minori successo e denaro. E poi la salute: Scott ormai aveva sempre il bicchiere in mano. E così il romanziere pensò al cinema. A metà degli anni trenta andò a Hollywood. Fitzgerald non vide mai un film tratto da un suo libro. Il primo, Il Grande Gatsby, con Alan Ladd, è del 1949, Scott era morto nove anni prima. Seguirono L'ultima volta che vidi Parigi, dal racconto Babilonia rivisitata (1954), con Liz Taylor; Tenera è la notte (1962) con Jennifer Jones; un altro Grande Gatsby (1974) con Redford e Gli Ultimi fuochi (1977) con De Niro. Biografie televisive, all'infinito: i Fitzgerald erano perfetti per essere raccontati. Nel 1959 Gregory Peck aveva dato corpo e volto allo scrittore nel biopic Adorabile infedele. L'autore credeva che Hollywood lo avrebbe accolto come una star, lui il grande maestro. Ma non fu così. Quando la Metro, che aveva lo scrittore sotto contratto, lo presentò a Joan Crawford, la diva, che non lo aveva mai sentito nominare gli disse "lavori sodo giovanotto". Il sistema del cinema era fondato sul mercato più che sulla qualità. L'eleganza di scrittura, l'armonia del fraseggio, non trovarono accoglienza in California. Scott venne applicato a molte sceneggiature, anche importanti, come I tre camerati, e Via col vento. Scriveva i suoi dialoghi, poi arrivavano un paio di sceneggiatori con un vocabolario di 50 parole, che tiravano delle righe e correggevano. Mortificazioni per un uomo ormai debole, e tristissimo. Una volta lesse su Variety della rappresentazione a Pasadena di un suo racconto, Un diamante grande come il Ritz. Noleggiò una Rolls Royce e in pompa magna, con Sheyla Graham, la sua ultima compagna, andò a Pasadena, per scoprire che si trattava della recita di un gruppo di studenti in uno scantinato. Finché un giorno Irving Thalberg, il gran capo della Metro, lo convocò e gli disse che era costretto, a malincuore, a rinunciare alla sua collaborazione: " la tua prosa è un godimento, ma non possiamo fotografare gli aggettivi". Scott cercò un recupero, si disse disponibile ad adattarsi, si umiliò. Ma lo Studio fu irremovibile. Fu il colpo di grazia: salute in caduta verticale, crisi da alcol quasi mortali. Sheila gli tese la mano, si offrì di sostenerlo per la stesura di un nuovo libro. Scott nutriva l'idea per una romanzo proprio su Hollywood, che vedeva come il ricorso di una corte rinascimentale, con monarchi e principi, dignitari, giullari, artisti, puttane e faccendieri. Si sarebbe chiamato The last tycoon, in italiano Gli ultimi fuochi. Si ritirò in una villetta davanti al mare di Malibu. Scrisse sette capitoli e li spedì all'editore Scribner. Un mese dopo ricevette una busta con un assegno di 5.000 d'anticipo. Dopo molti anni era tornato scrittore vero e sperò di poter ricomporre miracolosamente la salute e di arrestare la caduta. Una felicità di pochi giorni. Morì di infarto poco prima del natale del quaranta, mangiando una tavoletta di cioccolato. Brad Pitt, facendo Benjamin Button, ha pagato un milionesimo del debito che il cinema aveva contratto con lo scrittore di maggior talento e dolore della letteratura americana.

DI CAPRIO SARA' L'EROE CREATO DA FITZGERALD
Il Grande Gatsby è uno dei più importanti romanzi americani. Lo deve alla sua qualità e anche al suo autore, Francis Scott Fitzgerald, popolare, negli anni del romanzo (1925), come un divo del cinema. Quella popolarità, che possiamo anche chiamare leggenda, è dovuta anche al legame autobiografico che connette l'autore coi suoi personaggi. Soprattutto con Gatsby. Si racconta la vicenda di un giovane povero, che si innamora della ricca Daisy. Ma lei sposa un altro della sua condizione sociale. Allora Gatsby decide di diventare ricco per riconquistarla. Ci riesce, ma ha dovuto pagare, e dovrà pagare, prezzi altissimi.
Fitzgerald nacque nel settembre del 1896 a St. Paul, middle west. I genitori, cattolici, lo iscrissero alla Newmann School, una scelta decisiva. Francis avrebbe più volte dichiarato "Ero il ragazzo più povero in una scuola per ricchi." Così, come Gatsby, prese la decisione di diventare ricco e di essere di conseguenza felice. Guadagnò molto, moltissimo, ma non fu mai davvero ricco, e mai davvero felice. Fu fortunato per il "mezzo", cioè per la sua dotazione, che era la scrittura. E con lui siamo tutti fortunati, perché abbiamo letto i suoi romanzi.

Scopo
Per raggiungere il suo scopo Gatsby non esita di fronte a nulla, in sostanza la scorciatoia significa crimine, siamo negli anni del proibizionismo. Fitzgerald lascia che sia nebulosa questa fase di carriera. C'è solo qualche richiamo. Il compromesso di Gatsby è anche quello di Fitzgerald, che per tener testa alle esigenze di sua moglie Zelda, molto viziata, scrisse una quantità di racconti, centosessanta, che non erano all'altezza dei romanzi. Le pubblicazioni specializzate pagavano anche 5.000 dollari ciascun racconto. E non mancò chi accusava lo scrittore di aver sacrificato dignità morale e orgoglio di autore per guadagnare un po' di più. La crisi finale di Scott fu dovuta anche a quella consapevolezza. E anche questo lo disse più volte: "Avevo molto talento, ho finito per sprecarlo." Ai tempi del "Gatsby" Zelda e Scott erano la giovane coppia d'America e del mondo. La famosa leggenda. Fitzgerald scrisse gran parte del romanzo in Francia, dove la coppia si era trasferita. La leggenda dei Fitzgerald continuava a vivere, nei rapporti, nelle feste, ma sembrava una felicità voluta, quasi artificiale. Forse gli anni d'oro erano già alle spalle. Inoltre Zelda aveva avuto una relazione con un francese. La precarietà sentimentale di Daisy e di altri personaggi femminili successivi, poteva anche derivare da quell'esperienza.

Cadenza
La cadenza dei rifacimenti di Gastby presenta quattro film a partire dagli anni venti. Il primo, Fitzgerald fece in tempo a vederlo. Nel 1926 Hollywood acquistò i diritti del romanzo che era uscito l'anno prima. C'era fretta di farlo. L'edizione era firmata da tale Herbert Brenon, un mestierante di non grande talento. Di quel film non si hanno tracce. Ma nel '49 la Paramount riacquisì i diritti e organizzò una produzione all'altezza. Diede la regia a Elliott Nugent, buon artigiano, e il ruolo di protagonista ad Alan Ladd. Ladd era perfetto. La sua vicenda aveva punti in comune con quella di Gatsby: famiglia povera e fortuna cercata un po' dovunque prima di approdare a Hollywood. Non lo conobbe, ma a Fitzgerald l'attore sarebbe piaciuto. Piccoli entrambi di statura, biondi, occhi azzurri, tristi e tormentati il giusto. Un quarto di secolo dopo, ancora la Paramount decise per il remake, diede la regia a Jack Clayton e il ruolo a Robert Redford. I personaggi principali del romanzo sono oltre a Gatsby, Jack Buchanan il ricco marito di Daisy, e Nick Carraway, il narratore, cugino dei Buchanan che diventerà amico di Gatsby. Redford è un californiano nato bene, non nascondeva il mistero scuro del protagonista, avrebbe potuto fare altrettanto bene il ricco Jack, anche se fu più che corretto nel ruolo.

Cifra
Il quarto film sarà prodotto dalla Warner. Si comincerà in agosto, Di Caprio sarà Gatsby. La scelta è buona. Leonardo possiede quella cifra opportuna di ansia e di febbre. L'augurio è che non esageri, che non voglia ad ogni sequenza mostrare la propria grazia. Un auspicio da estendere anche a Luhurmann, un autore con un linguaggio visibile, magari opprimente (Romeo+Giulietta, Moulin Rouge). Sequenze aggressive, di pochi secondi. Qui c'è un racconto con cadenze stabilite. Decise alla perfezione da uno che conosceva il mestiere. Il regista deve capire che a comandare sono un grande romanziere e un grande libro. Non c'è bisogno d'altro. Per il ruolo di Daisy l'opzione si chiama Carey Mulligan, emergente (Wall Street 2). Tobey Maguire dovrebbe essere Nick Carraway.

Dovuto
Il Grande Gatsby è uno di quei titoli ai quali i remake sono dovuti, come Romeo e Giulietta, I miserabili, I tre moschettieri, Tarzan, Anna Kerenina, Il postino suona sempre due volte. E altri. Riproposti nei vari decenni coi significati che venivano adeguati al tempo, all'umano e al sociale, spesso con risultati tristi e impropri. Va detto che nel concetto di "unicum", cioè di opera libro&film, certi titoli possono presentare due paternità. Alcuni, esemplari, possono essere: Furore di Steinbeck&Ford; Rebecca di Du Maurier&Hitchcock; Lawrence d'Arabia di Lawrence&Lean; Il gattopardo di Lampedusa&Visconti; Barry Lindon di Thackeray&Kubrick. Ma per Fitzgerald questa regola non vale. I "Gatsby", Tenera è la notte, L'ultima volta che vidi Parigi, Gli ultimi fuochi, "Benjamin Button", hanno una sola paternità, la sua. Sarà così anche per questo remake. Un grande romanzo diventa film. E' sempre una buona notizia.

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