This Must Be the Place |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten.
continua»
Drammatico,
durata 118 min.
- Italia, Francia, Irlanda 2011.
- Medusa
uscita venerdì 14 ottobre 2011.
MYMONETRO
This Must Be the Place
valutazione media:
3,62
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Americanadi Writer58Feedback: 53218 | altri commenti e recensioni di Writer58 |
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domenica 16 ottobre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Uscendo dalla sala, non mi sentivo in grado di formulare una valutazione, come se il film di Sorrentino "This must be the place" avesse oscurato le mie capacità di giudizio. Avvertivo una sensazione un po' sgradevole, simile a quella di un panno bagnato passato sulla schiena che fa rabbrividire e provoca una reazione istintiva di difesa nel corpo. Mi è venuto da pensare all'assenza, al vuoto che caratterizza questa fase della nostra vita attuale, alla perdita di un sistema di riferimenti condivisi, alla mancanza di un orizzonte di senso comune. Sotto questo aspetto, la pellicola di Sorrentino rappresenta un eccellente esempio di opera "postmoderna". Si respira un forte senso di straniamento che coinvolge sia i luoghi, sia le persone; lo stesso protagonista (un bravissimo Sean Penn) appare segnato da un'abulia che lo rende quasi afasico e imprigionato nella maschera di una ex star della pop music, imbellettata come un trans di mezz'età, che gira a vuoto tra la sua grande casa e altri punti random della geografia urbana di Dublino. Il protagonista vive agiatamente grazie ai proventi della sua attività musicale, trascina una depressione strisciante e ha col suo passato un atteggiamento ambivalente: lo rievoca col suo look e, insieme, lo rifugge, come se fosse appartenuto a un'altra persona. La morte del padre, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, lo spinge a compiere un viaggio negli Stati Uniti, alla ricerca di un criminale nazista che invecchia in qualche angolo della provincia Americana. L'America che Penn incontra nel suo viaggio - e che assomiglia a quella narrata da De Lillo in diversi suoi romanzi- appare come una collezione casuale di luoghi e di individui legati tra di loro da un paradigma di spaesamento: le distanze appaiono come punti di assenza su una mappa troppo vasta e frammentata per essere raccontata in modo unitario; le persone che incontra (una donna con un figlio obeso, un anziano che ha brevettato la valigia con le ruote, lo stesso criminale nazista) sono rappresentati come i superstiti di un naufragio, presenze disperse di una modernità che ha smarrito il suo rapporto con il passato e con le radici comuni. Il protagonista nega, in un colloquio telefonco con la moglie, di essere alla riscoperta di se stesso, di fare un viaggio per ritrovarsi. Credo che questa affermazione risponda a verità: il film di Sorrentino costituisce un apologo dell'anomia che cinge il mondo attuale come un sudario e che annulla e congela qualunque dimensione emozionale. In questo senso, il suo lavoro è eccellente, anche se il distacco che si respira rischia di azzerare il piacere della fruizione.
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