Llewelyn Moss trova un camioncino circondato da cadaveri. A bordo si trovano ancora un carico di eroina e due milioni di dollari. Quando Moss prende i soldi, innesca una reazione a catena di violenza catastrofica che nemmeno la legge del Texas, impersonata dal disilluso sceriffo Bell, riesce a fermare. Moss, si ritroverà a fronteggiare faccia a faccia, l’incarnazione del male…
Sarà vero che un film può reggersi solo ed esclusivamente sui personaggi, quasi dimenticandosi della storia che narra? Osservando No Country for Old Men saremmo indotti a dare una risposta positiva. L’ultima fatica di una delle “coppie” più celebri del panorama cinematografico odierno ha basi solide, solidissime: il libro da cui è tratta la pellicola è infatti un pluripremiato romanzo di Cormac McCarthy che, in poco più di 200 pagine, racconta una storia di sangue, morte, soldi e west; tutti argomenti cari ai Coen che, una volta spurgato il testo originale di alcuni elementi secondari e aumentato il livello di humour (nero), si concentrano sul terzetto di protagonisti ottenendo risultati decisamente lusinghieri.
No Country for Old Men è quasi un film ad episodi: i tre protagonisti non si incrociano mai e ognuno di essi ha sufficiente forza per catalizzare l’attenzione del pubblico. Moss è l’uomo ordinario che cade nella trappola ordita dalla sorte: potrebbe rinunciare al denaro, ma crede di essere abbastanza furbo e scaltro da evitare conseguenze (che invece ovviamente arriveranno) per sé e per sua moglie; Chigurh è il male in persona, la morte con la falce e la clessidra, una macchina abbatti uomini paranoica con una curiosa passione per il gioco del “testa o croce” e la peggiore pettinatura mai vista su essere umano; Bell è il vecchio, stanco e rassegnato sceriffo che non riesce a comprendere le origini del male che lo circonda e soverchia.
I Coen, che sfruttano al meglio la sensazionale fotografia di Roger Deakins (da premiare seduta stante), firmano almeno una mezza dozzina di sequenze da cineteca: il dialogo tra Bardem e l’ottimo Harrelson, la chiacchierata finale tra lo sconsolato sceriffo e la moglie, l’incidente automobilistico, l’escamotage pensato e realizzato dal killer per entrare nella farmacia e rubare le medicine di cui ha bisogno… e si potrebbe continuare. Senza pretese di realismo nella messa in scena (Chigurh è praticamente immortale, la violenza è presente in dosi dopanti e messa in scena in maniera alquanto creativa), i fratelli tornano ai fasti di Fargo e Blood Simple, offrendo al pubblico il loro marchio di fabbrica, la loro cifra stilistica: personaggi memorabili, dialoghi di spessore, scene da ricordare, citazioni e omaggi al grande cinema di una volta (Ford e Peckinpah in primis).
Il cast è semplicemente straordinario: Josh Brolin dimostra di essere la sorpresa del momento, visto che interpreta film su film mantenendosi sempre su un ottimo livello, Tommy Lee Jones è un talento di razza che negli ultimi anni ha finalmente ritrovato se stesso dopo qualche filmaccio di troppo mentre Javier Bardem, che ha già l’Oscar in tasca (e vorremo pure vedere…), firma la sua migliore interpretazione di sempre, dando folle umanità e autentico spessore ad un personaggio singolare e sopra le righe. Crudele, poetico, minimalista, mistico, crepuscolare e pessimista, Non è un paese per vecchi centra il bersaglio: dopo un paio di film non del tutto riusciti, almeno in base agli alti standard che hanno caratterizzato la loro carriera, i Coen sono tornati alla grande.
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