Sulla carta era il progetto perfetto. Tutti a chiedersi per anni «Come mai Tim Burton non porta sullo schermo Alice nel Paese delle meraviglie? Sembra un film fatto apposta per lui», tant’è che quando poi la pellicola è stata annunciata sembrava persino troppo bello per essere vero. Ora, come noto, l’attesa è spesso superiore all’evento, più grandi sono e più rumore fanno candendo, sei solo chiacchiere e distintivo e via discorrendo. Purtroppo Alice non è così bello come avrebbe potuto e forse dovuto essere. Anzi, anche sull’aggettivo “bello” su può avere qualche remora, perché se è vero che il film ha indubbie qualità, si porta dietro anche un pesante fardello di difetti non da poco.
La prima buona idea che ha Tim Burton è quella di sganciarsi dal dittico originale per conferire ad Alice una personalità più definita e adulta. Nel film, decisamente “femminista”, la protagonista è una giovane donna in procinto di maritarsi per salvare sé stessa, la madre e la sorella da un’incombente rovina economica. Siccome è una tipa tosta, a dispetto del visino d’angelo (ed essendo il promesso sposo una faccia da fesso di notevole caratura), decide di inseguire il bianconiglio nel buco che la porterà – pardon, ri-porterà – nel Paese delle meraviglie, che, come si scopre subito, aveva già visitato quand’era piccina. Qui la pulzella incontra i classici personaggi della storia, nessuno dei quali però batte, quanto ad originalità e simpatia, quelli del film d’animazione della Disney di cinquant’anni fa. No, nemmeno il cappellaio di Depp, sorry. Il fulcro del film è la faida tra sorelle regine (rossa vs bianca) ovvero la splendida Helena Bonham Carter contro un’evanescente Anne Hataway, che tanto gentile e tanto onesta pare, ma fa davvero la figura della gatta morta per le poche inquadrature che il regista le regala. I problemi di Alice in Wonderland sono numerosi: la storia non scorre, i dialoghi non incidono, non c’è pathos, i personaggi non comunicano empatia. Buono il cast, anche se in più di una occasione pare che i personaggi digitali recitino meglio di quelli umani, il ché non è un dettaglio trascurabile. Se la colonna sonora di Danny Elfman è eccellente e così pure può dirsi per l’aspetto visivo del film, in particolare riguardo alle scenografie, la regia di Burton va invece bocciata: poche idee, nessun guizzo e una scena del prefinale (la “danza” di Depp) che fa onestamente venire l’orticaria, forse é la peggiore trovata del regista. Insomma, Alice è un film riuscito a metà, ma visti i presupposti, la delusione c’è ed è pure cocente. Peccato.
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