Meglio Depp di Alice
di Lietta Tornabuoni L'Espresso
Nella fantasia di Lewis Carroll, Alice è una bambina intelligente che piange spesso; nel film di Tini Burton è una ragazza vittoriana ardua e indipendente che al matrimonio preferisce viaggiare e lavorare. Wonderland, il paese delle meraviglie, nel film diventa Underland, il Sottomondo. La protagonista cortese e stupefatta si trasforma nella guerriera d'un avventuroso film d'azione. La Regina Bianca, vecchia sciatta bisbetica e bizzarra, si muta in una giovane donna perfettamente vestita, truccata e pettinata: ma svagata, stupida. Nulla di strano. Durante i suoi 150 anni di vita, l'amatissima "Alice nel Paese delle meraviglie" è stata riraccontata in un'infinità di versioni. Nei sessanta una delle canzoni di maggior successo degli Jefferson Airplane era "White Rabbit" e Raivi Shankar scrisse la musica di una variante oggi diffusa in dvd. Nei Settanta non mancò una porno-Alice in film. Più recentemente, il videogioco "American Magee's Alice" immagina la protagonista chiusa in manicomio. Ogni generazione e cultura ha la sua Alice: a testimoniare quanto la meravigliosa opera di Lewis Carroll risulti introiettata e indispensabile. Tim Burton ha adattato Alice al proprio stile: la fiaba fantastica e ironica si fa oppressa e rivoltosa: Wonderland si fa sinistro, un bosco di tanti neri spogli e scheletriti; la sorpresa diventa malinconia; la beffa dell'autoritarismo nel personaggio della Regina Rossa con il suo motto "Tagliategli la testa!" diventa un'autentica minaccia di morte. Chi ama l'Alice originale può essere sconcertato e il risultato non è certo un capolavoro. Ma non si può non amare le due invenzioni più affascinanti del film: Johnny Depp nella parte del Cappellaio Matto, occhi stellanti e aria sognante, metà clown e mera scienziato pazzo, bellissimo; e l'uso degli effetti speciali, in particolare nella figura della Regina Rossa, gran testa e corpicciolo, ridicolaggine e livore, impersonata da Helena Bonham Carter, la moglie di Tim Burton.
Da L'Espresso, 18 marzo 2010
di Lietta Tornabuoni, 18 marzo 2010